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Torino, speciale 2021
Le città crescono grazie all’energia prodotta per vivere, lavorare, spostarci, informarci, divertirci. Ma anche grazie all’energia generata dalle nostre idee, da sogni e ambizioni. In altre parole, grazie a uno sforzo organizzato e costante per immaginare e costruire un futuro migliore. Si potrebbe pensare che più persone abitano una città e più energie di questo tipo sono disponibili, ma creare città sempre più grandi non è la soluzione. Bisogna creare le condizioni affinché un territorio, indipendentemente dal numero di abitanti, possa favorire la più alta percentuale di individui disposti a mettere in campo il massimo della loro energia. Si chiama capacità attrattiva.
L’Innovation Cities Index del World Economic Forum del 2020 fornisce una classifica dei Paesi più innovativi, prendendo in considerazione indici tra cui il capitale umano, le infrastrutture e le istituzioni, la capacità di generare conoscenza, la creatività e l’innovazione tecnologica. La classifica sorprende con la Svizzera al primo posto. Seguono Svezia, Stati Uniti, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Finlandia, Singapore, Germania, Corea. 6 piccoli Paesi tra i primi 10. Per non deprimervi non vi dico a che punto della classifica galleggia il nostro Paese. Quindi non contano le dimensioni (notizia positiva). Quello che conta è la qualità complessiva del contesto ambientale, in grado di mettere a fattore comune la dinamicità (caratteristica dei più giovani) con l’esperienza (tipica dei diversamente giovani). Maneskin e Rolling Stones allo stesso tavolo.
Una delle metriche più utilizzate per definire una città capace di crescere con i ritmi con- temporanei è quella che valuta la quantità di investimenti in startup (società innovative con ambizioni di crescita illimitate), imprese generalmente fondate da giovani con un’idea tecnologica dirompente alla base. Ho valutato diversi indici, tra cui 2Thinknow e HSE Global Cities Innovation Index, che mostrano risultati simili. New York seguita da Tokyo, Londra, Los Angeles, Singapore, Parigi. La prima città italiana è Milano (al 24° posto in un indice, al 29° nell’altro). A quanto pare concentriamo le nostre energie nel godere del buon cibo e del buon vino, nel prendere il sole contemplando la nostra bellezza. Bene per chi se lo può permettere. Male per tutti gli altri, soprattutto per le nuove generazioni. Bisogna cambiare approccio. Un punto di partenza potrebbe essere il Well-being of Future Generations Act del Galles, che prevede il coinvolgimento attivo dei giovani ai tavoli decisionali.
La nostra città invecchia, ma nello stesso tempo cresce la sua popolazione universitaria con oltre 100mila studenti. Abbiamo cuori e cervelli giovani e brillanti pronti a cimentarsi
Pensando a Torino, in questo scenario mi vengono i brividi. Nel Global Talent Competitiveness Index presentato a Davos nel 2020 siamo al 99° posto per capacità di attrarre l’energia di nuovi talenti. La nostra città invecchia, ma nello stesso tempo cresce la sua popolazione universitaria con oltre 100mila studenti. Abbiamo cuori e cervelli giovani e brillanti pronti a cimentarsi. Abbiamo cuori e cervelli esperti (il termine “vecchi” proprio non mi viene) ricchi di competenze e orgoglio. Perché Torino non li mette insieme in un progetto pilota unico e originale?
Un lavoro di coppia là dove serve, quando serve: nelle istituzioni, nelle aziende, nelle associazioni, nelle professioni. Scegliendo solo per capacità e merito, per prendere decisioni nuove, diverse, che arriverai a gestire la nostra città e il suo (il nostro) futuro, saprai accettare questa sfida? Avrai il coraggio, la lungimiranza, la competenza, il metodo, le reti di relazione, la visione e la velocità necessarie? Per quanto riguarda le idee non preoccuparti: chiedile ai giovani talenti torinesi. Da leggere: Intelligenza Emotiva di Daniel Goleman. Da ascoltare: Forever Young di Bob Dylan.