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Sentenze granata

di Gian Paolo Ormezzano

Il racconto del mito granata

Torino, primavera 2019

Valentino Mazzola fu una divinità calcistica così grande che io, ai suoi tempi semplice catecumeno della sua religione, posso anche infiocchettarlo adesso con un nastrino frivolo: tanto, il ricordo è così assoluto che impreziosisce tutto quello che a esso si lega. Premetto e preciso: nel tempo mi sono anche specializzato come, diciamo, esegeta della tribù dei Mazzola. Amico dei figli, Sandro il forte e Ferruccio buonanima il tenero. Amico di Mariangela e Stella, cugine prime dei due e impegnate nel culto a Cassano d’Adda, il paese di famiglia, invitato dalle due dolci signore a convocare tutti i superstiti della tribù per una sorta di stati generali al cimitero di Torino, dove Valentino riposa: il club diede 150mila lire di quel 1949 alla famiglia, perché la salma fosse lasciata lì, in vista di un monumentone mai eretto. Così posso qui raccontare e permettermi un Valentino Mazzola ‘altro’, mio e di pochi intimi granata anagraficamente appesantiti come me. E si capisce filadelfiani, quel giorno.

Ecco, per dire di Mazzola: poteva anche permettersi questo, poteva anche attirare l’insulto degli insulti, poteva reagire umanamente, essere poveruomo furioso intanto che grande calciatore e sommo sportivo implacabile ma giusto

Una chicca a completare, e pazienza se leggerissimissimamente a inquinare il mare di celebrazioni ospitate in questo stesso giornale, anche per scrittura, dunque, colpa mia. Premessa: parto da Ennio Flaiano, uno scrittore italiano così intelligente che per disamorarmi parzialmente di lui dovetti conoscere e frequentare Marcello Marchesi, il ‘signore di mezza età’ di una serie televisiva, scrittore e poeta e creatore di slogan pubblicitari sommi e sceneggiatore di tanti film e mio guru di ironie. Ennio Flaiano, rewind: scrisse anche una commedia, ‘Un marziano a Roma’, sucessone, televisione e teatro con Vittorio Gassman, il massimo del meglio. La storia di un alieno che atterra su un’astronave nella smagata Roma degli indifferenti storici, la città che ha metabolizzato anche i Cesari. Celebrità repente del marziano, interviste, curiosità popolare, ma poi la Roma ‘mangia personaggi’ fagocita anche lui, che diventa un quirite qualsiasi, un ‘sor Nando’ come tanti, patisce pacche sulle spalle, truffe e scherni e persino insulti da suburra, «a marzià, che stronzate me dici oggi?». E un giorno la consacrazione al contrario, per lui che è ormai un terricolo, anzi un romanaccio: in strada gli arriva l’insulto che è anche un’unzione, ‘a cornutooo!’. Fine del marziano che risale sull’astronave e se ne va fra l’indifferenza targata SPQR. Io c’ero.

Il 2 maggio 1948, Torino-Alessandria al Fila, mancano Maroso e Menti, subito in gol Ossola, due volte Loik, una Mazzola. Secondo tempo con 6 gol in 13 minuti: Grezar Grezar Fabian Fabian Mazzola Gabetto. Il 10 a 0 è ancora il massimo punteggio vittorioso in serie A dal girone unico. Piove. Quando Grezar da centrocampo fa gol, calciando da una pozzanghera su rinvio di Diamante portiere dei grigi, un tifoso granata dice «bastaaaa!», Mazzola si accosta alla rete: «Siamo sportivi e professionisti». Lo dice in campo anche a Gallea dell’Alessandria, ex del Toro che gli chiede di non maramaldeggiare. Mazzola da qualche tempo vive con quella che diventerà per un tribunale estero – il divorzio in Italia ancora non c’è – la sua nuova moglie. La gente conosce le vicende del suo matrimonio in crisi. Uno spettatore non sa più che dire e urla al marziano a Torino: «Cornuto! ». Valentino si avventa alla rete, lo devono calmare. Ecco, per dire di Mazzola: poteva anche permettersi questo, poteva anche attirare l’insulto degli insulti, poteva reagire umanamente, essere poveruomo furioso intanto che grande calciatore e sommo sportivo implacabile ma giusto. Ancora questo dovevo ricordare, ora mi sento sgravato di un ricordo in qualche modo trasferito anch’esso sulla grandezza totale del mio capitano.