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Torino, 15 maggio 2020
Una volta ho conosciuto una ragazza che amava l’Uruguay. Sembra il titolo di un film, di quelli lunghi che vogliono far parlare di sé. Invece è successo davvero e questo è ciò che mi rimane di quell’incontro. Ero seduto a dei tavolini di via Mazzini, c’era il sole, un primo caldo di maggio direi. Saremmo stati in quattro, non ricordo bene il motivo per cui fossi lì. Al tavolo c’era una ragazza, chiacchieriamo, e la seconda cosa che le ho chiesto, dopo il nome, è stata: «Cosa ti piace?». Lei mi ha risposto «L’Uruguay», e io sono rimasto stupito. Non ricordo molte altre cose di quel pomeriggio ma ricordo sicuramente quella risposta.
Quella ragazza parlava con gli occhi di chi ha visto l'Oceano e conosciuto sfumature del mondo che a me onestamente, e un po' colpevolmente, mancano.
Ricordo che mi ha raccontato di averci vissuto, in Uruguay, e che ne amava la musica, le persone, il cielo. Me lo ricordo forse perché è una vita che sogno di veder giocare dal vivo il Peñarol e di visitare Montevideo, con le strade in salita e i caffè raccontati da Eduardo Galeano. Forse perché rimango tuttora incredulo se ripenso a quella affermazione così sincera, così intimamente disposta a lasciarsi conoscere, sebbene ci si fosse incontrati da cinque minuti. Quella ragazza parlava con gli occhi di chi ha visto l’Oceano e conosciuto sfumature del mondo che a me onestamente, e un po’ colpevolmente, mancano.
Chissà dov’è adesso quella ragazza, chissà se i caffè a Montevideo sono proprio come li descrive Galeano e se effettivamente le strade salgono. Mentre scrivo cartoline da Torino penso che mi piacerebbe riceverne alcune dal mondo, un paio di volte all’anno.
Ho un amico fortunatamente che il mondo l’ha visto a svariate latitudini; e quando torna, anche a orari improponibili, accetta di accaparrarsi una birra e raccontarmi le sensazioni di quei viaggi. A caldo, senza che i giorni ne mitighino le impressioni. E allora in quelle sere il mio piccolo mondo chiamato Torino si ricorda di un mondo più grande, riscopre se stesso attraverso uno sguardo rivolto a cosa c’è fuori.
Ci si confronta, si reinventa, si tiene stretto ciò che ha di unico. Un po’ come un mondo chiuso in casa da troppo tempo che ritrova il coraggio di mettere un piede aldilà dell’uscio, di nuovo.