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Il diritto è oggi questione complessa, e solo chi dispone di specifiche competenze può veramente trattarlo. Ciò implica un aumento dell’importanza del ruolo del giurista, il tecnico del diritto
Torino, estate 2018
Pur avendo da subito pensato che la risposta al quesito «A che cosa serve il diritto» fosse assolutamente ovvia, la presentazione del libro così intitolato e scritto dal Prof. Vincenzo Di Cataldo, mi ha indotta ad alcune riflessioni sul ruolo sociale della mia professione. Prima di chiederci «A che cosa serve il diritto» dobbiamo forse chiederci che cos’è il diritto. L’uomo, per garantire una convivenza pacifica ha sentito, sin dagli albori del mondo, la necessità di stabilire delle regole che tutti dovessero osservare, riconoscendo anche il potere di un’Autorità delegata a farle rispettare. Ogni società si regge infatti su norme morali, religiose e giuridiche che sono denominate, nel complesso, norme sociali, create con lo scopo di assicurare all’individuo e alla collettività l’ordine, la giustizia e quindi il rispetto dei diritti. L’insieme delle norme giuridiche costituisce il diritto.
Il Prof. Stefano Rodotà, noto politico, giurista e accademico italiano definiva, molto realisticamente, il diritto come «apparato simbolico che struttura una organizzazione sociale anche quando sa che alcune sue norme sono destinate a rimanere inapplicate». Il diritto può essere semplicemente definito come il regolamento dei rapporti tra individui che fano parte di una comunità statale, la cui osservanza è garantita dal potere dell’Autoritá dello Stato che sanziona le violazioni delle regole stabilite e codificate. La società sta oggi perdendo fiducia nell’intervento statale, forse perché non ha ancora compreso a cosa servono le regole. Due interrogativi sono d’obbligo: i cittadini conoscono le regole? E, in secondo luogo, i meccanismi di reazione alla violazione delle regole sono efficaci?
Oggi la produzione normativa è affidata al Parlamento, corpo elettivo che decide su base maggioritaria, che rappresenta il metodo migliore che l’uomo abbia inventato per costruire le regole da imporre a tutti. Oltre alla legge, in senso formale, opera anche la giurisprudenza, ovvero l’interpretazione delle norme che discende dal quotidiano operare del giudice. Tutto ciò certamente determina una iper produzione normativa; non sempre le regole sono facilmente comprensibili e condivisibili, ma tale realtà risulta assolutamente inevitabile in un sistema moderno dove le logiche non possono essere immediatamente identificabili da chiunque.
Tutti questi fattori, frutto della complessità della nostra società, rischiano di minare il principio fondamentale dello stato di diritto ossia il mantra secondo cui il diritto dovrebbe riguardare tutti e che quindi ciascun uomo dovrebbe poterlo conoscere. Se é vero che la società deve garantire a tutti il pieno accesso al diritto, risulta tuttavia evidente a chiunque che il diritto é oggi questione complessa e solo chi dispone di specifiche competenze può veramente trattarlo, ciò implicando un aumento considerevole dell’importanza del ruolo del giurista, inteso quale tecnico del diritto. Venendo poi ai meccanismi di reazione alla violazione delle regole, quanto meno per come percepiti, non si può non constatare che il numero sempre più ampio di conflitti sociali determina una seppur fisiologica ritardata risposta dell’autorità giudiziaria, che quindi appare di per sé inadeguata. Per migliorare la qualità della vita sarebbe quindi necessario una più ampia diffusione di una cultura giuridica di base perché, citando il prof Di Cataldo «perdiamo tutti qualcosa quando le regole non sono seguite, guadagneremmo tutti qualcosa se le regole fossero più rispettate».
In tutto questo l’avvocato, proprio in ragione del suo ruolo sociale, del suo essere ‘uomo sociale’ come lo definiva Calamandrei, ha la grande responsabilità, nel suo agire, di spiegare al mondo a cosa serve il diritto e in che modo si tutelano i diritti. È necessaria una comunicazione inclusiva perché solo in questo modo non si perderà l’occasione di ricucire i legami in una comunità di cui ciascuno è parte, nell’assoluta convinzione che «rispettare la legge conviene a tutti» per garantire e continuare a credere nella nostra democrazia.
Michela Malerba
Nata a San Maurizio Canavese nel 1962, è avvocato iscritto al Foro di Torino dal 1991. Dopo aver svolto la pratica nello studio dell’avvocato Francesco Bosco, dove è rimasta fino al 1997, ha proseguito l’attività professionale in uno studio proprio. Nel dicembre 2000 ha costituito lo studio legale Capelletto Malerba, che si è sciolto nel maggio 2016; successivamente, insieme all’avvocato Gian Piero Chieppa, ha fondato lo studio Chieppa Malerba. Iscritta all’Albo dei Cassazionisti dal 27 gennaio 2012, dal 2017 al 2019 è stata presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino.