MUSEI, BORGHI, ROCCHE, CASTELLI MEDIEVALI, ANTICHI CULTI PAGANI, LAGHI, PAESAGGI EMOZIONALI DI UNA TERRA VERA, DOVE LA CUCINA È BUONA E CALOROSA L’ACCOGLIENZA CHE LE SUE GENTI OFFRONO AL VISITATORE
L’Italia è un museo diffuso di beni paesaggistici e architettonici e, in uno dei miei innumerevoli viaggi, sono andata alla scoperta di alcuni di essi nella Campania più orientale, l’Irpinia. Abitato fin dall’antichità, questo distretto dell’Italia meridionale, a ridosso della Puglia, era occupato in epoca preromana dagli Irpini, un popolo di stirpe sannitica che adorava il lupo (chiamato appunto hirpus), ancor oggi simbolo di questa terra. Dopo la colonizzazione romana l’Irpinia sub. una lenta fase di decadenza, che venne superata in epoca normanna. Fu in quel periodo che vennero eretti molti borghi e castelli. Nei secoli successivi l’Irpinia fu aggregata al Regno di Napoli, di cui costituì provincia e il cui capoluogo era inizialmente Montefusco, sostituito da Avellino nell’Ottocento.
Il viaggio inizia da Lacedonia, sede vescovile fin dall’XI secolo, situata su una collina e abitata già nel Neolitico. Vanta un Museo Diocesano custode del trittico di Aquili (‘Madonna con il Bambino’) e del famoso pozzo di San Gerardo. Solo per i reperti lapidei medievali, le testimonianze dell’età del bronzo, le iscrizioni in lingua latina e osca e il trittico, questa località merita una visita.
Il borgo è disseminato di luoghi di culto, eremi diroccati, e c’è anche, fuori dal centro abitato, la bella cappella della Madonna delle Grazie, circondata dalla natura rigogliosa della valle del fiume Osento, in località Bosco Curci, il cui stesso bosco sembra far da custode silvestre a questa semplice chiesa impreziosita dalla manodopera di artisti locali.
Lacedonia ha saputo coniugare nei secoli il potere spirituale con quello temporale. Ne è un esempio la Congiura dei baroni, la ribellione a Ferdinando I d’Aragona dei nobili meridionali, nel 1486, che si svolse nella cattedrale di Lacedonia e che viene rievocata ogni anno durante il mese di agosto. La cittadella conserva l’originario impianto medievale e, nella piazza principale, il Castello Pappacoda, originario del XVI secolo. Di notevole interesse storico le centinaia di grotte e cavità tufacee naturali della località Rupi, situate nella parte medievale del borgo, utilizzate in passato come case. L’architettura urbana di Lacedonia è formata da un’enorme massa tufacea di depositi sedimentari prodotti dalle eruzioni del vicino Vulture.
Non distante da Lacedonia troviamo Aquilonia, cittadina che ha cambiato nome più volte nel corso della sua storia. Durante il Medioevo era conosciuta come Carbonara, per la presenza nel suo territorio di particolari pietre che contenevano petrolio e che bruciavano con fiamma viva come carboni.
Ancora oggi tali minerali si trovano nella contrada detta ‘Sassano’. Assunse il nome di Aquilonia solo dopo l’Unità d’Italia, nel 1861. La produzione di grano è sempre stata la sua ricchezza e, ancor oggi, a questo cereale sono dedicate le prime sale del suo Museo Etnografico. Ma il vero gioiello è la città vecchia di Aquilonia, oggi Parco Archeologico.
Il sito conserva l’originale pavimentazione, i vecchi edifici dei signori di un tempo, gli scavi e il Museo delle Città Itineranti, ovvero di quelle città accomunate dagli effetti devastanti dei sismi, che hanno costretto le genti a lasciare le proprie case per vivere altrove. Il terremoto dell’Irpinia e del Vulture del 1930 fu un sisma di magnitudo 6,7 (X grado della Scala Mercalli). La notte del 23 luglio le scosse fecero tremare l’Irpinia, in particolar modo Aquilonia e Lacedonia, dove crollò il 70% degli edifici. Il terremoto prese il nome dal monte Vulture, alle cui pendici si verificarono ingenti danni, e causò la morte di 1404 persone. Malgrado la totale distruzione degli edifici, i morti furono solo lo 0,05% della popolazione delle province colpite. Ci.̀ fu dovuto al fatto che il sisma avvenne in concomitanza con la trebbiatura del grano e, quindi, gran parte della popolazione stava dormendo in campagna in quel momento.
A soli 11 chilometri da Aquilonia troviamo Monteverde, ufficialmente uno dei borghi più̀ belli d’Italia dal 2013. Il nome, Montis Viridis, deriva dal monte ricco di vegetazione su cui sorge il paese. Il Castello di Monteverde, del 1100, lo sovrasta e domina l’ampia vallata percorsa dal fiume Ofanto.
La fortezza fu edificata dai Longobardi, anche se già in epoca sannitica presentava strutture difensive; ancora oggi, conserva l’originaria forma trapezoidale che, durante il Medioevo, fu integrata con la costruzione di quattro torri angolari. Il borgo antico, un patrimonio architettonico di ineguagliabile bellezza, si erge sulla rocca con le sue strade lastricate, i resti delle antiche torri e soprattutto il castello medievale, di cui si possono ammirare, in visite guidate, le monofore, i resti di un forno-camino e di una cisterna, la torre principale, le torrette di avvistamento e l’antica porta di accesso.
I primi insediamenti della zona sono stati rinvenuti intorno al lago d’Ansanto, luogo di venerazione della dea Mefite, il cui culto era esaltato dal fenomeno naturale delle esalazioni sulfuree che ne evocavano i segni di divinità: dapprima, vennero interpretate come benefiche, tanto da erigere, appunto, un tempio in onore della dea protettrice della salute, patrona delle acque e dei campi; poi, furono considerate malefiche, e la dea fu trasformata in divinità degli inferi. La sacralità del luogo si è conservata anche con l’avvento del cristianesimo, ospitando il santuario di Santa Felicita, sorto in epoca medievale e che custodisce al suo interno una tela del 1573 raffigurante il martirio della santa.
La mia ultima tappa di questo breve viaggio è Bisaccia, sulle orme degli Irpini. La sannita Romulea, nome originario di Bisaccia, collocabile nella zona dell’attuale Castello Ducale, era una città cara a questo popolo italico, tanto da concentrarvici le proprie ricchezze.
La visita al borgo medievale di Bisaccia comincia dal Castello Ducale, arroccato sulla collina del paese, a cui si accede attraversando un portone che conserva lo stemma a tre pigne della nobile famiglia Pignatelli. Nei locali del castello, il Museo Civico accoglie i reperti degli scavi di una vasta necropoli localizzata appena fuori dal borgo: corredi funebri, vasellame in ceramica insieme a oggetti ornamentali in metallo dell’età del ferro (IX e VIII secolo a.C.). Tra gli scavi funebri spicca la tomba femminile 66, detta ‘della principessa’, in cui sono stati trovati ricchi arredi e monili.
Intorno al castello si snodano le stradine del centro storico che ospitano vari palazzi medievali, con portali in pietra e giardini interni. Da visitare la cattedrale nella piazza principale del paese, con la facciata e il portale lapideo del 1515 e la scultura in bassorilievo di San Gregorio Magno, e la chiesa di Sant’Antonio da Padova, un tempo annessa al convento che domina la rupe Andreone, da cui si gode un panorama mozzafiato e dove lo sguardo si perde sull’intera Valle dell’Ofanto, fino alla Puglia. Il territorio di Bisaccia rientra nell’area naturalistica del Bosco di Zampaglione, sito d’importanza comunitaria (SIC).
Il viaggio finisce qui, ma solo per mancanza di tempo, altri borghi e altre storie mi attendono in questa terra dal fascino selvaggio, così piena di cultura, tradizioni e luce.
Lacedonia
Aquilonia
Monteverde
Bisaccia
(Foto di SILVIA DONATIELLO)