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Benché il tempo e la velocità siano ormai l’unico parametro con il quale valutare la qualità del lavoro dei professionisti, l’avvocato e la sua prestazione intellettuale non potranno mai essere sostituiti da un’app
Torino, primavera 2018
Gli avvocati, con i magistrati, quotidianamente dedicano al diritto gran parte del loro tempo e, proprio per questo, non possono dimenticare che il tempo è prezioso, non solo per gli operatori del diritto ma anche per chi ricorre, invoca e attende giustizia. Il tempo della giustizia ha costi importanti, cui però corrisponde, nel comune sentire, una generale percezione di inefficienza in termini sia di funzionamento sia di risultati. La giustizia tardiva è sempre percepita come una cattiva giustizia. Diceva viceversa, e con condivisibile affermazione, lo scrittore José Saramago: «Non bisogna avere fretta, ma non bisogna perdere tempo ». La fretta genera mostri e ogni controversia richiede di essere trattata nel tempo necessario per una corretta delibazione. Il tempo che a essa dev’essere dedicato ha la necessità di essere produttivo ed efficace, perché il tempo è una risorsa limitata.
Benché il tempo e la velocità siano ormai l’unico parametro con il quale valutare – purtroppo – anche la qualità del lavoro dei professionisti, sono fermamente convinta che l’avvocato e la sua prestazione intellettuale non potranno mai essere sostituiti da un’app. Questo perché ogni cliente è una persona con la propria storia, unica, non sovrapponibile, che richiede risposte giuridiche calibrate sulla fattispecie concreta; e costituisce un ineliminabile valore aggiunto avere il conforto e l’attenzione di un’altra persona nel momento in cui gli si demanda la tutela dei propri diritti, dei propri affetti, dei propri beni. Mi piace ricordare, come faccio spesso dopo l’impegno solenne dei giovani che diventano avvocati, un pensiero dell’avvocata Bianca Guidetti Serra, la quale soleva dire che «l’aula giudiziaria è il luogo dei diritti in movimento, confronto tra le istanze della società e i rapporti codificati di poteri, in una dialettica tra le parti che tende a discutere e definire i confini di ciò che si intende per giusto o ingiusto nella vita sociale».
Chi ritiene che la giustizia e la professione dell’avvocato possano essere sostituite dall’intelligenza artificiale dimentica che, nel momento in cui la si alimenta, la società è già cambiata: se la giustizia fosse amministrata dall’intelligenza artificiale avremmo sempre una giustizia coniugata al passato, perché non sarà mai in grado di confrontarsi con i diritti in movimento generati da una società in evoluzione. In quest’ottica, sarebbe auspicabile che gli operatori del diritto, magistrati e avvocati, fossero posti nella condizione di esercitare ciascuno il proprio compito, avendo a disposizione non solo risorse umane e materiali adeguate ma anche una produzione legislativa che, anziché complicare l’attività, ne agevolasse lo svolgimento.
Solo così, il cittadino sentirebbe le leggi come sue leggi e non come incomprensibili imposizioni di un legislatore molto lontano dalla quotidianità. Gli avvocati sono ben consapevoli di queste necessità e del ruolo sociale loro attribuito e non intendono sottrarsi a questo compito, ma rendersi, ogni giorno, promotori di legalità e giustizia.
Michela Malerba
Nata a San Maurizio Canavese nel 1962, è avvocato iscritto al Foro di Torino dal 1991. Dopo aver svolto la pratica nello studio dell’avvocato Francesco Bosco, dove è rimasta fino al 1997, ha proseguito l’attività professionale in uno studio proprio. Nel dicembre 2000 ha costituito lo studio legale Capelletto Malerba, che si è sciolto nel maggio 2016; successivamente, insieme all’avvocato Gian Piero Chieppa, ha fondato lo studio Chieppa Malerba. Iscritta all’Albo dei Cassazionisti dal 27 gennaio 2012, dal 2017 al 2019 è stata presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino.