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Torino, inverno 2020
La pandemia COVID-19 ha riportato in primo piano il bisogno primario alla base della piramide di Maslow: la sicurezza. Una sicurezza morale, fisica, familiare, ambientale, occupazionale. Siamo ritornati là dove siamo partiti. E tutto questo è accaduto principalmente nelle città dove abitiamo, lavoriamo, scambiamo affetti e beni. 3,5 miliardi di persone abitano gli spazi urbani nel mondo e si stima che entro il 2050 saranno circa il 70% della popolazione mondiale. Che incredibile opportunità: cambiare le città tenendo conto delle diversità al loro interno. Quando New York City era l’epicentro globale della pandemia, Manhattan aveva un tasso di infezione di circa 925 per 100mila rispetto a 4125 per 100mila nel Queens. Manhattan e Queens distano 30 minuti in metropolitana, ma la differenza tra loro nel reddito medio annuo è enorme (World Economic Forum). Come a dire che, a Torino, Barriera di Milano è diversa dalla Crocetta. Se le città perdessero lo spazio per uffici utilizzato dai lavoratori le spese urbane potrebbero diminuire di un terzo, con effetti pericolosi a catena sui residenti della città, dai camerieri ai negozianti fino agli attori e artisti, il cui operato infonde alle città gran parte del loro carattere (Nicholas Bloom).
In questo scenario non tutti perdono. Il 31 luglio, mentre usciva la notizia che la crescita economica degli Stati Uniti diminuiva del 32,9%, Amazon ha registrato profitti in aumento del 40% rispetto 2019. Ma nella storia le città hanno già dimostrato di saper resistere alle avversità e rimangono i luoghi più desiderabili in cui vivere. Come proseguire? Sviluppando l’alleanza tra territorio e reti, hardware e software, offline e online. Uno slancio può arrivare da un’analisi più profonda dei nostri dati. Guadagneremo molto perdendo forse un pezzo della nostra privacy. La Cina ha chiesto ad Alibaba di monitorare la diffusione del COVID utilizzando i big data per prevedere dove scoppieranno nuove epidemie. Le ‘città intelligenti’, tra cui Shenzhen, sono le più sicure al mondo, ma con risvolti scivolosi rispetto al tema della sorveglianza degli stati sui cittadini.
Nella storia le città hanno già dimostrato di saper resistere alle avversità e rimangono i luoghi più desiderabili in cui vivere
Oggi le nostre città appaiono vuote ma in realtà sono piene. Piene di umanità. Piene di noi. La pandemia minaccia la nostra umanità minando la nostra propensione alle relazioni e agli scambi, alterando la nostra percezione sui temi della sicurezza e della fiducia. Ritorneremo a vivere come prima o sapremo aprire nuove vie? Dovremo riconsiderare gli spazi, pubblici e privati. Lo smart working ne è un esempio: negli Stati Uniti il 40% della forza lavoro agisce da remoto e i dipendenti Google lavoreranno da casa fino all’estate 2021. «Le aziende scopriranno che non hanno bisogno di tanto spazio per uffici, le persone chiederanno case più grandi». (Richard Florida). Dovremo riconsiderare il tempo e il suo utilizzo negli spazi cittadini. «Se altri virus dovessero entrare nella nostra vita dovremmo immaginare popolazioni diverse che frequentano gli stessi luoghi in orari diversi evitando sovraffollamenti» (Planet B). Amsterdam ha istituito un Sindaco della Notte che lavora per conciliare le esigenze di chi vive di giorno con quelle di chi vive di notte.
Voltiamo pagina ripartendo dalle nostre città, con le nostre capacità e con i nostri cuori. Magari, per una volta, rallentando, come esorta Papa Francesco in un’enciclica: «Una città diventa realmente sostenibile quando prende la velocità degli ultimi». Chiudo gli occhi e sogno che possa iniziare anche da Torino, magari già dal 2021. In un periodo di evoluzione consiglio di leggere ‘Imperfezione’ di Telmo Pievani accompagnandolo con due grandi brani: ‘Road to Nowhere’ dei Talking Heads e ‘Changes’ di David Bowie.