Torino, Primavera 2024
Che i media contribuiscano a plasmare la percezione di una città influenzando i comportamenti dei residenti, dei visitatori e degli investitori è indiscutibile. Quando l’influenza diventa malattia? La narrazione mediatica partecipa a definire l’identità di una città determinandone il successo economico e sociale, e precisandone il “posizionamento”, cioè l’immagine che evoca nella mente del pubblico rispetto a quel luogo. Ciò che è meno evidente è che una reale trasformazione avviene solo quando viene vissuta ed esperita dalle persone. Un’azione senza mediazione esterna, trasformazione che diventa evoluzione, vita. Ricordo una frase di Emilio Del Giudice, fisico e divulgatore scientifico: «La fisica quantistica moderna fornisce un modello oggettivo per comprendere ciò che l’umanità ha avuto chiaro fin dai primordi e che la civiltà moderna, fondata sulla competizione e sulla sopraffazione, cerca di sopprimere: la vita si fonda sulla risonanza del diverso e sul desiderio di ognuno di risuonare con il maggior numero possibile di altri». La rappresentazione mediatica delle città è una competizione costante per apparire nei film, nelle serie TV, nei documentari e negli articoli di giornale, sui motori di ricerca e social media. Ma cosa risuona di tutto ciò nelle persone che vivono le città? I media sono veicoli di comunicazione e trasmissione di informazioni mentre noi – visitatori del luogo che viviamo nel tempo in cui lo viviamo – siamo soggetti complessi con emozioni, sogni, esperienze personali e sfumature che i media possono non rappresentare appieno. Quindi, chi influenza chi? Le persone filtrano e interpretano le informazioni attraverso le loro prospettive individuali e possono influenzare i media attraverso la loro partecipazione, produzione di contenuti e risposta alle informazioni.
Le Smart Cities sono davvero smart se veicolano felicità, non solo tecnologia
Ma questo andamento, chissà perché, ad oggi è ancora lento. Questo è il campo di confronto: strumenti controllati, dietro ai quali ci sono persone che sempre più spesso seguono algoritmi di AI da una parte, individui che seguono il proprio codice di vita, unico e rilevante (certamente per loro), fatto di emozioni, relazioni e identità, dall’altra parte. Come stimolare questo scambio e continuare nel processo di trasformazione positiva di una città in modo più fluido, gratificante e rispondente alle aspettative autentiche dei cittadini? Magari iniziando a cambiare il linguaggio. L’influencer, come vediamo, può indurci nella malattia dell’inganno. Le Smart Cities sono davvero smart se veicolano felicità, non solo tecnologia. Il marketing altro non è che un Mercato dove, oltre alle merci, si possono scambiare sorrisi e abbracci. Usiamo l’Intelligenza Artificiale per riassumere ogni mese, in un mega blog condiviso, le aspettative e i desideri (non i bisogni) dell’intelligenza insostituibile di chi vive le città. Ognuno di noi è impegnato ogni giorno a governare la propria vita, nell’altalena dei successi e dei fallimenti. Immagino le difficoltà di chi deve governare un universo così variegato e complesso come una città. La narrazione delle città è il racconto di chi le vive, sempre meno rappresentato dalla narrazione mediatica. Allora, attiviamo e prepariamo una nuova genera zione di “new media”: i nostri figli e nipoti. Alleniamoli all’ascolto di uno strumento classico (prendo esempio dai racconti commoventi di mia figlia Clelia, violoncellista, insegnante di musica in una scuola a Barriera di Milano), alla vista del mare fuori stagione, al silenzio dei boschi in autunno, alla contemplazione del paesaggio da una cima delle nostre montagne raggiunte a piedi, alla vita degli animali in campagna, a una poesia compresa nel profondo, imparata dal cuore e non dalla memoria, nella consapevolezza che l’informazione non è conoscenza. Crescendo, saranno pronti a una trasformazione senza mediazioni, atomi di amorevole bellezza per le città e per l’Universo: «…limitless undying love which shines around me like a million suns it calls me on and on across the universe…», da Across the Universe, The Beatles.