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Torino, estate 2018
Ho la nuca sul cuscino, le braccia lungo i fianchi e il corpo disteso sul letto, i pugni sono chiusi come quando tengono il timone, il vento che domani gonfierà le vele è già dentro di me e non mi fa dormire. Nel buio, tra le travi del soffitto, il mio veliero si accende di lontananza, strattona le cime e le catene che lo trattengono al molo, vuole fare come il vento e partire e scoprire cose grandiose. Gli dico di acquietarsi nella spirale del mio corpo, ma la notte è piena di nuove rotte da esplorare e il sonno è una cosa troppo piccola per lui. Io sono tormentato da un’ansia continua per le cose lontane. Mi piace navigare su mari proibiti dove le navi più esperte temono le onde e le vele più forti non bastono a imbrigliare i venti. Cerco coste inesplorate dentro e fuori di me o forse l’unica cosa che davvero mi importa è impennare la prua per poi sentirla sbattere con un sordo boato sull’onda successiva. Assaporare il panico e lo splendore dell’evento, sentire in fondo allo stomaco la separazione dalla terra, gli occhi a volte mi bruciano per il sale, ma come quello della vita lo scopri sulle labbra; queste costituiscono le sensazioni più attese che io possa mai conoscere. C’è in me l’inquietudine della fuga, l’intolleranza dello spazio chiuso, del consueto.
«Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avrete fatto che per quelle che avrete fatto. Quindi levate l’ancora, allontanatevi dal porto sicuro, prendete i venti con le vostre vele. Esplorate, sognate, scoprite!» Mark Twain
Di confini non ne ho mai visto uno, ma ho sentito che esistono nella mente di molte persone e questi generano le loro paure. Non si può attraversare il mare se si ha paura di perdere di vista la terra. Poi, come diceva Francis Bacon, ci sono cattivi esploratori che pensano che non ci siano terre dove approdare solo perché non riescono a vedere altro che mare attorno a sé, come Cristoforo Colombo che trovò tutto tranne ciò a cui aveva dato un nome. Un viaggio è sempre una scoperta, ma prima dei luoghi nuovi è la scoperta di ciò che i luoghi nuovi fanno alla tua mente e al tuo cuore. A volte servono i sogni a giustificare le imprese, come se queste non bastassero a se stesse, ma se così fosse, i grandi esploratori devono avere avuto sogni così grandi che solo Dio ne è venuto a conoscenza. Sono in questa maledetta stanza che mi terrà prigioniero fino all’alba, sento il corpo ondeggiare come ad accompagnare il rollio del veliero. La notte mi ricorda un’altra notte, quando ero solo un marinaio. Le coste d’Africa erano lontane e la tempesta tropicale mi insegnò una volta per tutte a vincere la paura. Il capitano aveva fatto una scelta sbagliata. Dieci ore di navigazione in buone condizioni di mare si trasformarono in un incubo come non avevo mai immaginato.
La tempesta ci raggiunse; la nave sollevata da onde gigantesche puntava la prua al cielo come due mani giunte a chiedere aiuto a Dio. Dopo essere precipitata da sette o otto metri d’altezza sbatteva fragorosamente la chiglia, la poppa è in pezzi, due alberi su tre si spezzarono. Il capitano al timone ripeteva: «Non ce la facciamo! Non ce la facciamo!». Gli gridai di non dirlo mai più e decisi che se fossi sopravvissuto a quella notte sarei diventato un capitano. L’alba mi risveglia da un sogno ricorrente, come l’alba di quel giorno ci risvegliò a pezzi dalla morte. Finalmente il giorno che aspettavo: la mia nave mi attende come i mariani il loro capitano, sento il profumo della salsedine, mi viene l’acquolina in bocca mentre allaccio i bottoni dorati. «Colui che segue la folla non andrà mai più lontano della folla. Probabilmente colui che va da solo si troverà in luoghi dove nessuno è mai arrivato», Albert Einstein.