Alla galleria Giorgio Persano sono inaugurate, contemporaneamente, due mostre personali rispettivamente di Susy Gómez, artista spagnola che da quasi trent’anni collabora con la galleria, e di Alfredo Romano.
Il progetto espositivo Via Nuova di Susy Gómez si articola intorno a inedite fotografie di grande formato e a un’importante scultura storica dalla quale trae il titolo la mostra.
Al centro della sala due corpi dorati si protendono l’uno verso l’altro: l’artista ha ricoperto il proprio corpo con una pasta di porcellana fino all'indurimento della stessa per poi rivestirla di una patina di oro che si è fatta tramite tra la realtà fisica e quella incorporea. Ed è proprio questa la condizione dell’opera, che incarna un ricordo che si dissolve e diventa vestigia dello spirito.
Proseguendo nella sua ricerca fotografica, Gómez seleziona soggetti provenienti da riviste sui quali interviene pittoricamente, coprendo parti dei corpi femminili rappresentati. Le immagini ricavate sono poi fotografate, ingrandite e riprodotte su pannelli di alluminio, trascendendo così la loro condizione di fotografie e suggerendo allo spettatore di identificarle come sculture.
Nei lavori dell’artista le figure sono dunque celate rivelando solo una parte, sulla quale Gómez costruisce una riflessione sull’identità individuale e sulla rappresentazione del femminile che cerca di spezzare gli stereotipi imposti da una società patriarcale e machista, come manifesti della difficoltà di raggiungere una totale comprensione e dominio sul proprio corpo.
In contemporanea, nel giardino interno di Palazzo Scaglia di Verrua, sono esposti i nuovi lavori di Alfredo Romano: una grande un’installazione sonora affiancata da un’opera storica e un'inedita serie di pitture su alluminio.
Le opere di Romano vogliono scuotere dall’inerzia, comunicando la condizione dell’artista in seno a una società sopraffatta da conflitti, lotte e disperazione, affrontando temi complessi legati alla fragilità della forma, alla precarietà dell’esistenza, alla temporaneità delle cose, alla solitudine.
Le opere sono invase dal catrame sotto il quale si trova una pittura, una storia occultata, soffocata. La tecnica utilizzata sfrutta un materiale edilizio che nel colare sembra lava bruciante e distruttiva. Come può il singolo opporsi alla compatta visione offerta da quel potere?
Una simile tensione la ritroviamo in Senza titolo (1990), dove i cilindri in marmo ordinati sulla lamiera in alluminio restituiscono una storia fossilizzata e impossibile da decifrare. La medesima drammaticità è inoltre evocata dall’installazione sonora, nella musica di Giuseppe Gavazza.