A 11 anni viene ammesso al Conservatorio di Torino, a 19 si diploma in contrabbasso (con lode). Ha avuto l’onore di essere diretto da Claudio Abbado nell’Orchestra Giovanile Europea EUYO di Londra, di suonare nell’Orchestra Sinfonica della RAI e nell’Orchestra del Teatro Regio di Torino. Ma pur conservando un infinito amore per la musica, Filippo Fonsatti realizza che non e quello il suo mestiere: il futuro sarebbe stato nella programmazione, produzione e gestione. E cosi rimane al Teatro Regio, ma con nuovi abiti: prima assistente del direttore artistico, successivamente del sovrintendente, poi direttore artistico e di produzione del Piccolo Regio e in seguito responsabile dell’Area formazione e ricerca. Nel 2008 viene nominato direttore esecutivo del Teatro Stabile e nel 2015 direttore. Ha appena ricevuto l’incarico per il secondo mandato, all’unanimita. Con questa nuova nomina, resterà in carica fino al 2023.
Nella stagione 2013-’14 abbiamo totalizzato 120mila presenze, nel 2017-’18 160mila, quest’anno 170mila. E abbiamo aperto il teatro a tutti, abbattendo le barriere di accesso e coinvolgendo nuovi cittadini
Al rinnovo del suo mandato ha fatto seguito, di lì a pochi mesi, la pubblicazione di un bilancio da record. Come si fa a sostenere questi numeri in un contesto – è noto a tutti – di grande difficoltà?
«È il risultato di un processo che parte da lontano. Molte realtà culturali, dopo l’euforia olimpica dei contributi straordinari, hanno creduto che questo periodo d’oro potesse durare per sempre. Ma la crisi globale (che a Torino è coincisa con il periodo post olimpico) ci ha fatto cadere in anni davvero difficili per la cultura a livello nazionale. Il Teatro Stabile si è dimostrato reattivo fin dal principio, pensando a una riorganizzazione dei processi produttivi, alla formazione e motivazione del personale, a una generale revisione dei costi e a una differenziazione dei ricavi. Basti pensare che nel 2007 contavamo per il 30% su risorse proprie e private e per il 70% su risorse pubbliche. Oggi siamo arrivati al 51% di proprie e private e al 48% di pubbliche, con circa l’1% di contributi europei. Insomma, riequilibrando il peso pubblico/privato, abbiamo raggiunto la sostenibilità».
Altro dato significativo è stato l’aumento delle recite prodotte: nel 2008 erano 150, nel 2019 oltre 400. Risultati che fanno parte del processo di riorganizzazione?
«Quando sono arrivato allo Stabile, il calendario era distribuito su poco più di sette mesi. L’acquisizione dell’organizzazione di Torinodanza, nel 2009, e la scelta di prolungare la programmazione al Teatro Carignano fino alla fine di luglio hanno significato ampliare la nostra offerta a 11 mesi all’anno. In questo modo abbiamo aumentato la produttività, le presenze e i ricavi da bigliettazione».
Una bella sfida, vinta, visto i numeri e il riscontro del pubblico…
«Sicuramente. Nella stagione 2013-’14 abbiamo totalizzato 120mila presenze, nel 2017-’18 160mila, quest’anno 170mila. Fin dall’inizio abbiamo lavorato sulla promozione mirata e abbiamo cercato di intercettare la domanda con campagne di audience engagement e altre iniziative speciali. Pensiamo ad esempio a ‘Un posto per tutti’, progetto sviluppato con Fondazione CRT: 50mila euro stanziati per sostenere mille abbonamenti da distribuire a un pubblico con ISEE inferiore a 12mila euro. L’idea era di aprire il teatro a tutti, abbattendo le barriere di accesso e coinvolgendo nuovi cittadini. Il riscontro è stato straordinario: leggendo i nomi di coloro che hanno aderito all’iniziativa, abbiamo una rappresentazione plastica del mondo. È stata davvero una bella soddisfazione poter confermare la funzione sociale e civile di un Teatro Stabile pubblico attraverso la diffusione di valori identitari e culturali e, allo stesso tempo, poter offrire a tutti la possibilità di sentirsi parte di una comunità. Questo progetto è diventato una best practice che molti stanno emulando».
L’ampliamento di pubblico c’è stato anche in termini anagrafici…
«Esatto. Anni fa abbiamo digitalizzato tutti i processi di acquisto (siamo l’unico teatro torinese, e tra i pochi in Italia, ad avere due app dedicate, una per il Teatro Stabile e l’altra per Torinodanza) e abbiamo potenziato la presenza sui social: queste scelte ci hanno permesso non solo di facilitare la fruizione della nostra offerta, ma anche di raggiungere un pubblico più giovane. Unendo questo approccio a una politica dei prezzi particolarmente favorevole, su 18mila abbonamenti, oggi, il 41% fa capo a giovani under 35».
I vostri teatri sono sempre pieni. È il momento di pensare a un nuovo sviluppo?
«Teatri storici come il Gobetti e il Carignano continuano a rappresentare per noi dei gioielli carichi di storia. Proprio al Gobetti si eseguì per la prima volta l’‘Inno di Mameli’, mentre al Carignano Toscanini diresse le sue prime opere e Paganini formulò la sua celebre frase (“Paganini non ripete”, NDR): va da sé che questi sono spazi che vanno valorizzati e tutelati con grande cura. Oltre alla gestione delle Fonderie Limone, stiamo pensando ad altri luoghi che possano garantire un’ulteriore crescita della nostra attività e, insieme alla Città di Torino, stiamo valutando il rilancio del Teatro Nuovo».
Anche perché, oltre al pubblico, crescono le vostre produzioni…
«È un processo circolare: se i costi di produzione sono compensati, oltreché dai contributi pubblici, dalla crescita del fatturato e del botteghino, allora possiamo dedicarci ad aumentare l’offerta. Oggi lo Stabile è il primo tra i Teatri Nazionali per finanziamento ministeriale del FUS, che premia la qualità del progetto artistico, la capacità di reperimento di risorse private e l’efficienza produttiva. Tra prosa e danza riceviamo dal Ministero oltre 3 milioni di euro. Siamo passati (tra recite di produzione e coproduzione) dalle 358 del 2017 alle 439 del 2018. Ma non si tratta solo di numeri: negli ultimi sette anni abbiamo ricevuto 20 premi dalla critica, grazie soprattutto a due figure chiave del nostro teatro, i direttori artistici Mario Martone, prima, e Valerio Binasco, ora».
Cosa significa, per Torino, poter vantare una realtà come la vostra?
«L’autorevolezza che viene riconosciuta allo Stabile e il posizionamento raggiunto hanno un impatto positivo sull’attrattività del nostro territorio. In più, crediamo di rappresentare in modo adeguato l’eccellenza della cultura torinese e piemontese nei più bei festival europei e non solo. Siamo stati da poco in Cina: la nostra produzione ‘Così è (se vi pare)’ ha conquistato il Teatro del Popolo di Pechino. Anche questo è un modo per conferire prestigio alla città in contesti globali. Senza dimenticare che Torinodanza coinvolge ogni anno almeno 15 compagnie da tutto il mondo, collegando Torino a una rete internazionale».
Il futuro prossimo del Teatro Stabile.
«La nuova stagione, che abbiamo intitolato ‘Fair Play’, ha un’immagine che rimanda a Greta Thunberg che, con disarmante determinazione, riesce a sensibilizzare milioni di giovani per un futuro più sostenibile e giusto, oppure ci ricorda ‘Il mondo salvato dai ragazzini’ di Elsa Morante: un inno all’adolescenza, alla sua energia e alla sua bellezza, come visione politica per cambiare il mondo. In una società in cui il fair play è sempre più raro, abbiamo scelto di dare un messaggio che parli di lealtà e di rispetto per chi la pensa diversamente. Perciò, oltre ai classici, molti degli spettacoli in cartellone saranno tratti da testi di autori viventi, drammaturghi che affrontano temi d’attualità come il lavoro, l’integrazione e il rispetto di genere».
E il futuro meno prossimo?
«Vorremmo consolidare quel processo internazionale che già stiamo sviluppando da alcuni anni attraverso lo scambio di competenze ed esperienze tra artisti, per contribuire a costruire una solida coscienza europea. Già Martin Kušej, da Vienna, ha diretto una nostra produzione e, quest’anno, la giovane regista ungherese Kriszta Székely, tra i nuovi talenti della scena europea, dirige il suo primo spettacolo in Italia, ‘Zio Vanja’. Cerchiamo di promuovere proposte innovative e riletture dei classici del repertorio che sappiano stimolare il pubblico.
Tornando infine al suo ruolo, cosa significa essere un manager della cultura in Italia?
«Talvolta i vertici di significative istituzioni culturali mostrano una certa fragilità nella gestione aziendale. Considerando il fatto che le nostre sono vere e proprie imprese, la competenza di chi ‘dirige questa orchestra’ non può essere solo culturale. Il Teatro Stabile conta 50 dipendenti a tempo determinato e 200 collaboratori stagionali, artisti e tecnici, con 14 milioni di bilancio. Rappresentiamo uno sbocco professionale per molti giovani artisti, la nostra Scuola per attori è accreditata come agenzia formativa e investiamo nella ricerca, con un archivio completamente digitalizzato che racconta la storia del teatro italiano dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Potete ben capire che qui nulla si improvvisa»
(Foto di FRANCO BORRELLI e ARCHIVIO TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE)