Home > People > Interviste > Dalia Rivolta: Torino è come un tiramisù
DALIA RIVOLTA, TORINESE CLASSE 1990, NATA IN SAN SALVARIO. È CHEF, INFLUENCER, IMPRENDITRICE, GIRAMONDO, CONSULENTE. POTRESTE AVERLA VISTA A MASTERCHEF ITALIA, O IN UN BEL FORMAT SUI SOCIAL IN CUI CHIEDE “QUAL È IL TUO PIATTO PREFERITO?”
Rompiamo il ghiaccio: il tuo rapporto con Torino?
«Quello di Culicchia, che in un suo libro (Torino è casa mia, ndr) ha detto di avere una stanza in ogni zona di Torino… Solo che io ho quasi ogni stanza a Porta Palazzo».
Tutte tutte?
«No, la “camera da letto” è al Quadrilatero, mentre il portafoglio in zona Aurora, ho comprato una casa là… È un’abitudine dei torinesi “gareggiare” sull’individuare i quartieri “in fase di lancio”».
È sempre stato facile il rapporto con Torino?
«Non proprio. Da ragazza ho vissuto vicende scolasti che “complicate”, ho studiato a Chieri, poi sono stata otto anni all’estero… Diciamo che Torino me la sono dovuta conquistare».
C’è un episodio emblematico del “ritorno”?
«Sono tornata a Torino alla fine del Covid e prima di rientrare ho avuto un incontro con una sorta di chiromante. Ero da molto in Francia e non mi sentivo a posto con me stessa. Questa signora mi disse che il bacino del mio equilibrio era completamente spostato e che dovevo tornare alle mie radici».
Potreste averla vista a Masterchef Italia, o in un bel format sui social in cui chiede “qual è il tuo piatto preferito?”, e poi te lo cucina dal vivoCoincidenza o destino?
«Una cosa a metà. Poi penso che la pandemia per tanti di noi sia stata un’occasione di approfondimento interiore non scontata».
Una cosa che ti piace di Torino?
«Torino è un tiramisù in teglia: cambia tantissimo da quartiere a quartiere, e nonostante ciò ti permette di essere sempre te stesso, anche in posti molto diversi».
Cosa non ti piace?
«Che si sottovaluta, e noi facciamo poco per cambiare questa situazione. Chi cerca fortuna spesso va a Milano. Me l’hanno proposto, ma io voglio stare qui».
Come si racconta la “nostra” Torino?
«È come imparare una nuova lingua: devi trovartici dentro. Anche se Torino sta cambiando tantissimo, e quindi anche il suo racconto deve cambiare; quell’ombra di Francia onnipresente oggi è molto minore. Io percepisco solo cose positive in realtà».
Un vizio torinese da toglierci?
«Abbiamo un’inossidabile senso di discrezione. Che può essere bello e pure esasperato. Dobbiamo imparare a raccontarci un po’ di più, a farci pubblicità, ad approfondirci. C’è tanta ricchezza non esplorata».
Infatti in un video dici che i torinesi non sono “schivi” come si pensa. Lo credi davvero?
«Lo penso davvero. Certo abbiamo una tendenza a essere freddi in maniera un po’ superficiale… ma quando rompi il primo strato c’è tanto calore».
È quello che hai provato a fare nel tuo famoso format di cucina in strada?
«Lo studio di quel contenuto, poi diventato virale, è durato parecchio. Non volevo fare le ricette sui social come tutti, ma non sapevo che altro fare. Sono stati amici e colleghi a suggerirmi di “andare tra la gente”, e così è nato un format fortunatamente di successo».
Quanto ti sei divertita e quanto hai imparato?
«Divertita molto, ma soprattutto ho imparato. Il cibo lì è quasi una scusa, una porticina che apre a un mondo di storie incredibili; alcune sono state molto impegnative da affrontare».
I torinesi come si sono comportati?
«Direi bene. Non dimentichiamoci che siamo un territorio “di confine”, e quindi fatto di tanta gente diversa, spesso anche “dura” e sulla difensiva. Dietro a queste “protezioni” ci sono racconti veramente toccanti».
Energie locali, orizzonti globali: come si affronta il mondo a partire dalle nostre radici?
«In realtà è un moto perfino involontario. Il patrimonio di energie locali da cui proveniamo ci accompagnerà sempre, anche inconsciamente, e a volte si manifesta in maniera evidente. Il problema vero è che, localmente o globalmente, facciamo fatica ad accettare i cambiamenti».
E quindi?
«E quindi “la generazione successiva sarà sempre peggiore”, per fare un esempio. Ma solo perché è diversa, perché magari fatichiamo a capirla, perché ci passa davanti e non possiamo sopportarlo. Se le energie lo cali, fatte di radici e conquiste, ci aiuteranno a far pace con noi stessi e con l’altro, meglio ancora».
Uno sguardo al futuro?
«È uno sguardo ottimista. Le prossime generazioni sa ranno le prime realmente libere dai pregiudizi inutili, dai limiti sociali, dalle architetture del pensiero che diventano gabbie. Credo che finalmente sarà possibile rag giungere una coscienza di sé in modo più naturale».
E per Torino?
«L’augurio è lo stesso: trovare equilibrio, autostima, consapevolezza. Raggiunti questi piccoli, grandi tra guardi, una città come una persona può essere semplicemente se stessa. E può esserlo ovunque».
Chiudiamo: se Torino fosse una ricetta?
«Sarebbe un filetto in crosta: con uno strato “difensivo”, un cuore tenero (se cotto bene) e con una salsa ai funghi, ottima, ma che non piace a tutti».
(foto FRANCO BORRELLI e ARCHIVIO DALIA RIVOLTA)