Home > People > Interviste > Fabrizio Tesse, il futuro della tradizione
LA PISTA DEL LINGOTTO NON È UN RISTORANTE COME TUTTI GLI ALTRI, POSIZIONATO SUL TETTO DEL COMPLESSO INDUSTRIALE PIÙ AUDACE DELLA SUA EPOCA. OGGI, UNA CUCINA CONTEMPORANEA CHE SI ISPIRA A LIGURIA, PIEMONTE E FRANCIA, PROMETTE DI SORPRENDERE E RAGGIUNGERE TRAGUARDI PREZIOSI. LA STELLA NON PUÒ ATTENDERE
Una sfida torinese che parla al Mondo, quella de La Pista, fatta rinascere dall’intraprendenza visionaria di Roberto Munnia, patron di Gerla 1927, e affidata al talento di Fabrizio Tesse, chef stellato Michelin, che ha scelto questa venue nel cielo di Torino per creare qualcosa che in città non si era mai visto. Il progetto ha una solidità imprenditoriale, sempre più indispensabile nella ristorazione moderna, e traguardi ambiziosi, primo tra tutti offrire alla città uno spazio gastronomico europeo e internazionale, che sia di integrazione e supporto agli auspicabili slanci metropolitani. Poi c’è la stella, quella che tutti si aspettano – anche se nessuno lo dice, per scaramanzia – possa essere confermata già nel 2023 da Fabrizio. E adesso andiamo a conoscerlo meglio: 45 anni, ligure ma di natali milanesi, barba da hipster ben curata, modi seri, eloquio misurato ma sguardo che si accende di passione e curiosità quando il dialogo si infittisce. Nel suo passato una lunga esperienza con Antonino Cannavacciuolo, fatta di altre stelle e di solida amicizia, di quelle che durano una vita:
«Per me è stato, ed è, una stella polare. Perché Antonino è un grande in grado di trasmettere. Da lui non ho solo imparato elementi fondamentali per la mia professione, ma anche lo spirito di sacrificio e la dedizione al lavoro. In più mi ha trasmesso in modo contagioso quella passione che rende tutto possibile, anche quando le difficoltà possono sembrare insormontabili».
Mentre parliamo viene naturale osservare cosa ci circonda, quello che rende unico il contesto de La Pista. Siamo nel luogo simbolo della Torino del XX secolo, sul tetto del Lingotto – nel 1923 la fabbrica più innovativa al mondo, concepita dagli ingegneri Trucco e Porcheddu, tanto lodata da Le Corbusier – proprio in mezzo alla leggendaria pista di collaudo FIAT, situata in cima all’ex complesso industriale, oggi trasformata, dall’architetto Benedetto Camerana, nel giardino sospeso più grande d’Europa. Con più di 40mila piante appartenenti a 300 specie e varietà diverse. Se questa è l’ultima trasformazione, va ricordato l’intervento di Renzo Piano che, nel 1987, dismessa la fabbrica, consegnò il Lingotto alla Città. Lo skyline del tetto espone l’avveniristica Bolla – sala riunioni semisferica e trasparente, che dovrebbe essere riaperta a breve – il disco di atterraggio da Eliporto, lo Scrigno, sempre di Renzo Piano, che ospita la pinacoteca Gianni e Marella Agnelli, un astronave di cristalli che riprende lo stile futuristico della fabbrica originale e, ultima arrivata, la Pista 500, dedicata al mito dell’utilitaria più amata al mondo. Il ristorante – essenziale, ricercato ed elegante – è al centro di questo sistema, difficile trovare qualcosa di simile in Europa e non solo. Perché qui non si tratta di un contemporaneo cresciuto dal nulla, come a Dubai e in Qatar, ma di un contemporaneo che è contemporaneo da 90 anni, sempre aggiornato, ripensato, rinnovato, arricchito.
Per Fabrizio Tesse che cosa significa approdare in un luogo iconico di questa portata?
«Sai che ogni tanto esco e mi guardo intorno, perché siamo in un luogo che trasmette un’energia formidabile. Torino ha una storia regale, che si respira nel centro storico, ed è una cosa magnifica, ma possiede anche una storia industriale che non ha nessun’altra città italiana. Ed è un passato di produzione, di duro lavoro, ma anche di audacia e creatività. Al Lingotto l’industria del nostro paese è diventata adulta e ha rappresentato una grande opportunità per tutti gli italiani, che sono arrivati a Torino da ogni regione. Ecco, per me il Lingotto è il simbolo dell’opportunità».
Ci sarà un collegamento tra la tua cucina e tutte queste suggestioni?
«Direi che è bello quanto inevitabile. A La Pista non possiamo solo proporre ricette della tradizione piemontese, per quanto rivisitate. Siamo in un posto che è territoriale, nazionale e internazionale. Quindi io desidero cucinare bene per i residenti, ma sogno di avere tanti stranieri ai miei tavoli. I turisti che vorranno conoscere Torino, ma anche i manager che verranno in città per business, e dovranno essere i nostri migliori ambasciatori».
Come è avvenuta la tua scelta, cosa ti ha portato a La Pista?
«Dopo il lockdown, mentre ero a caccia di nuove idee e nuovi stimoli, ho incontrato Roberto Munnia, un uomo che stimo molto perché fa succedere le cose. La sua voglia di investire e di credere in un progetto ambizioso di crescita mi ha conquistato e sono felice di far parte di questo percorso. Il primo passo è stato la scelta della squadra, nomi nuovi e alcune figure di fiducia. Si è subito creato un ottimo rapporto, ed è stato il primo punto incassato. Perché la vittoria in un ristorante è una vittoria collettiva. Poi abbiamo iniziato a lavorare sul primo menù. C’è qualche piatto “di sicurezza”, ma tutto il resto è nuovo».
Tocca a noi valorizzare le ricette classiche, molte delle quali sono tutte da esplorare. Un grande piatto del territorio può offrire spunti formidabili, si può dare spazio alla creatività anche tornando all’anticoE adesso varchiamo la porta della cucina per conoscere il primo menù di Fabrizio Tesse nella sua nuova avventura. La cucina che porta sul tetto di Torino è un perfetto equilibrio tra originalità, tecnica e gusto; un viaggio ispirato alle cucine liguri e piemontesi contaminate da quelle esotiche, che lo chef ha conosciuto e amato in giro per il mondo, interpretato in maniera innovativa, personale e contemporanea.
«La mia è una carta che avrà tre passaporti, tre terre d’adozione: Piemonte, Liguria e Francia» ci spiega Fabrizio. Il menù racconta il percorso tra ricette molto amate – come il piccione – e nuove proposte, in una sintesi di grande eleganza. La nuova carta esalta i prodotti di stagione e del territorio, lasciando spazio alle carni – faraona, cervo, anatra – e al pescato. I piatti sono grafici, composti, rigorosi, veri guizzi che scatenano la fantasia per poi restituire grande concretezza. Tra le nuove proposte in carta spicca “Testacoda”, un dichiarato omaggio al luogo iconico che ospita il ristorante, la storica pista di collaudo delle vetture FIAT. Testina di vitello croccante alla torinese, coda di vitello brasata, giardinetto di rape all’agro e salsa “del cirighet”, anche detta salsa del chierichetto, storico intingolo delle Langhe che in origine accompagnava le uova al tegamino. Plin d’orzo, prescinsêua e scampi è un viaggio nel tempo tra Liguria e Piemonte.
Il plin classico piemontese, con un impasto speciale a base di orzo, ripieno di prescinsêua – formaggio tipico della focaccia di Recco – e poi finanziera e scampi. I percorsi degustazione proposti dallo chef sono tre: sette course, cinque course e anatra in tre servizi. Fabrizio è un appassionato di storia della cucina: «Fondamentale per capire da dove veniamo e dove andiamo. Nel nostro mondo la Francia ha stabilito i codici, è arrivata prima di tutti. Luigi XIV era un re della tavola, Carême ha codificato la haute cuisine ed eravamo alla fine del Settecento, i primi grandi ricettari arrivano tutti da loro. Sono ancora oggi maestri nella ricerca; la tradizione pesa. Gli spagnoli sono invece arrivati per ultimi, i loro grandi prodotti sono numericamente limitati e non hanno storia. Così, negli ultimi 40 anni, hanno iniziato ad inventare un’altra cucina, anche dal punto di vista tecnologico, partendo da zero, e sono diventati formidabili innovatori, con Ferran Adrià e tanti altri. Noi siamo più anarchici, non certo disciplinati come i francesi, ma abbiamo un patrimonio di prodotti e di ricette formidabile, garantito dalla nostra cucina regionale. Io oggi penso che per andare avanti occorra guardare indietro. Tocca a noi valorizzare le ricette classiche, molte delle quali sono tutte da esplorare. Un grande piatto del territorio può offrire spunti formidabili, si può dare spazio alla creatività anche tornando all’antico. Poi oggi abbiamo strumenti, mezzi, manualità e cultura che permettono risultati emozionanti. Questa sarà la rotta che intendo seguire».
Ti pesa il pensiero della stella da portarti appresso?
«Questo è un luogo sfidante, dove mi sono fatto carico di grandi responsabilità. L’adrenalina e l’entusiasmo sono la mia risposta. Riprendere la stella è solo un fattore tra i tanti. Poi, nel mio mestiere, occorre guardarsi intorno. Ci sono ristoranti dove, per fattori tecnici e ambientali, la stella è il massimo che si può ottenere. Quelle seguenti sono un’utopia. Ma La Pista no, è un luogo speciale. Un giorno potremo essere sotto una cupola di cristallo e inseguire la seconda. Sul tetto del Lingotto è nata l’industria italiana, non ci sono traguardi preclusi».
Fabrizio Tesse è lo chef de La Pista, ma la sua influenza contaminerà anche le cucine di tutti i locali di Gerla1927, a partire dallo staff.
«Sarò felice – chiarisce – di aiutare i ragazzi che lavorano con noi a formarsi, vivendo la mia cucina. Voglio incontrarli tutti e voglio conoscere i ragazzi della Gerla Academy, ai quali cercherò di insegnare ciò che io stesso ho imparato nel mio lungo percorso di formazione».
Ad accompagnarlo nella sua nuova avventura, una brigata compatta, all’interno della quale spiccano il sous chef Roberto Stella – già al fianco di Enrico Bartolini a Sanremo e, prima, di Fabrizio Tesse al Carignano – la pastry chef Evi Polliotto; il maître Enrico Barberis – con la sua esperienza al Water Side Inn di Michel Roux, al Green House, al Piano 35 e da Condividere – ed il sommelier Alessandro Guglielmi, in arrivo da Piano 35. Ricordando il contesto, verrebbe da dire una “squadra corse”, col primo Gran Premio che è appena partito.
(foto MARCO CARULLI)