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CLASSE 1967, NATO A ROMA, IL GENERALE DI BRIGATA ANTONIO DI STASIO È DA GIUGNO 2022 COMANDANTE DELLA LEGIONE CARABINIERI PIEMONTE E VALLE D’AOSTA. ABBIAMO AVUTO IL PRIVILEGIO DI POTERLO INTERVISTARE
Laureato in Giurisprudenza, Scienze Politiche e Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna, ha prestato servizio al Comando Generale di Roma, nel 2015 è stato Comandante dell’8° Reggimento Carabinieri “Lazio” e dal 2016 al 2019 del Provinciale di Palermo. Impiegato all’estero nell’ambito della NATO Training Mission in Afghanistan e della missione Cyrene in Libia, è Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e decorato di Medaglia d’Oro al Merito Civile. Ci apre con grande disponibilità le porte del Comando della Legione Carabinieri, la Caserma dedicata a Chiaffredo Bergia: «Un piemontese, esempio incontrastato di coerenza inflessibile al dovere e fedeltà rigorosa alle Istituzioni», afferma il Generale Di Stasio. Intervistarlo è un grande privilegio e un’occasione per raccontare, attraverso le sue esperienze professionali, le attività della divisa che rappresenta.
Come si trova a Torino?
«Umanamente benissimo. Per l’accoglienza ricevuta, tutt’altro che fredda da ingiustificato luogo comune, e per le bellezze di un territorio, proiettato al futuro con uno sguardo sulle nuove generazioni, che non manca di offrire una piacevole realtà culturale e sociale. Possiamo definire questo luogo come la “culla dell’Arma”. Il palazzo vittoriano fu inizialmente sede del Collegio delle Provincie, matrice dei giovani che sarebbero divenuti dirigenti del Regno Sardo e, in seguito, dal 1814, sede dell’appena costituito Corpo dei Carabinieri Reali. Da allora moltissimi volti sono passati tra queste mura. Tante pagine del nostro passato militare e civile si sono succedute plasmando il corso della storia. Nulla ha però intaccato quei principi di fedeltà, abnegazione, dedizione e generosità che dell’Arma sono i
cardini fondamentali. Dal punto di vista professionale mi trovo totalmente avvolto da questa sfida. Un impegno a tutto tondo, continuando il lavoro sul solco tracciato egregiamente dai miei predecessori, fortunatamente sostenuto ogni giorno dai miei collaboratori e alla mia famiglia. Motivato dal profondo orgoglio di aver ricevuto l’opportunità di essere il comandante di tutti quegli uomini e quelle donne che operano proprio nella città che per prima vide i natali dell’Arma dei Carabinieri. Non voglio tralasciare di ricordare che partendo da Torino, l’Arma ha trovato la sua connotazione primaria nella capillarità con cui sono dislocati i presidi maggiormente caratterizzanti: le Stazioni Carabinieri. Da Torino è iniziata, con i primi 113 comandi distribuiti tra Piemonte e Liguria, la storia che ha contrassegnato, a tutti gli effetti, “la casa del Carabiniere”, ma anche l’espressione della prossimità nei confronti della popolazione a garanzia della legalità. Cardine di questa missione è il “Comandante di Stazione”: uomini e donne in uniforme con alamari, che accettano e fronteggiano ogni giorno le sfide derivate dalla fedeltà al giuramento prestato con sensibilità, onestà, professionalità e buonsenso. Rispetto delle leggi, obbedienza e discrezione amalgamate da imprescindibile umanità per poter comprendere e affrontare le problematiche della comunità».
Quali sono i fenomeni che vi impegnano maggiormente sul territorio?
«Un territorio così ampio e variegato si rivela fisiologicamente colmo di situazioni che ci impegnano quotidianamente. Sopra a tutti, attualmente, due appaiono i fenomeni verso i quali rivolgere la massima attenzione: le truffe perpetrate ai danni delle persone anziane e i reati posti in essere da gruppi di giovani o giovanissimi i quali, spesso, nel desiderio di emergere da condizioni socio-economiche disagevoli, non trovando a volte una guida valida nell’ambiente loro circostante e attratti dalla sicurezza che deriva dal non agire soli, si aggregano in quelle che sono ormai entrate a far parte del linguaggio comune come “baby gang”. L’Arma dei Carabinieri si dedica da tempo, con particolare interesse, allo studio di metodologie sempre nuove atte a contrastare, ma soprattutto prevenire, l’odioso reiterarsi delle azioni di chi, facendo leva sulle fragilità che l’età avanzata non di rado genera nelle persone, ne approfitta, le raggira e, in casi ancor più deprecabili, si spinge fino alla violenza fisica. Accanto alle tante attività di contrasto, abbiamo a iniziato a condurre – anche d’intesa con gli Enti territoriali e le realtà aziendali – un’intensa campagna di prevenzione per sensibilizzare e diffondere il più possibile la conoscenza del fenomeno e dei più comuni “modus operandi”. Costante presenza e vicinanza alla popolazione al termine di funzioni religiose, presso gli Uffici Postali nei giorni di ritiro delle pensioni o in luoghi di forte aggregazione come i mercati, organizzazione di incontri mirati tenuti dai Comandanti di Stazione, realizzazione e distribuzione di volantini da consultare, sono solo alcune delle iniziative in corso. Grazie alla sinergica attività delle Istituzioni, dei media e delle associazioni caritatevoli, che ogni giorno lavorano per diffondere buoni consigli, tante potenziali vittime sono già riuscite a non cadere nell’inganno: un grande successo, uno stimolo a perseverare l’opera».
Sono sempre stato curioso di conoscere a fondo le cose e cogliere l’essere oltre l’apparireNel suo discorso di insediamento ha parlato di coscienza civile, che significato ha per lei?
«Ricordo di aver espresso questo concetto nel discorso fatto durante la cerimonia di assunzione di comando della Legione. Penso che il carabiniere non è soltanto il militare appartenente all’Arma, ma la coscienza civile di ogni cittadino. Esiste un particolare legame tra la coscienza personale e quella civile. Un rapporto che costituisce il risvolto dell’interiorità e dell’esteriorità di ogni soggetto. Nel carabiniere queste due sfere non solo debbono aspirare a perseguire gli stessi obiettivi, ma sono fuse insieme nell’attimo in cui si sceglie di vestire la “divisa”. Simbolo esteriore di quel ruolo istituzionale gli alamari che ne contraddistinguono le antiche vestigia e che sono, citando il Generale Dalla Chiesa, “cuciti sulla pelle” degli uomini e delle donne che ne traghettano la responsabilità nei secoli. Le regole sono una caratteristica imprescindibile per un’Istituzione che svolge le delicate funzioni di tutela della sicurezza e incolumità dei cittadini. Spesso, però, le regole possono non essere sufficienti a definire compiutamente l’azione necessaria nelle situazioni più complesse. L’analisi delle criticità non troverebbe rapide e valide soluzioni, soprattutto nei momenti di maggiore pressione, se non supportata, in via primaria, dalla propria coscienza personale».
Recentemente è stata inaugurata la targa in memoria del Generale Dalla Chiesa alla Caserma “Pietro Micca”, un carabiniere straordinario.
«Piemontese di nascita, fu proprio da Torino che si trovò a fronteggiare il terrorismo: la massima espressione del potere violento che mira a sgretolare quello democratico. Non era certo alla prima esperienza di lotta alla criminalità organizzata. Fu però durante la lotta alla Brigate Rosse che si percepì con massimo vigore il consolidarsi delle sue tecniche investigative e il concretizzarsi degli ottimi risultati da esse scaturiti. La sua tenacia, resilienza e volontà di servire l’Istituzione senza riserve sono ancor oggi la scintilla che tiene vivo in ogni Carabiniere l’ardore di compiere quotidianamente il proprio dovere. Soccorrere, intervenire, ascoltare, controllare, verificare e annotare: attività differenti che fuse insieme creano quel metodo che continuerà sempre a guidare la nostra azione, rinnovando quell’entusiasmo incondizionato che è forse il lascito più grande del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, come carabiniere, come servitore dello Stato e come uomo».
Quali sono le nuove tecnologie che rendono il vostro lavoro e le vostre operazioni all’avanguardia?
«La proiezione tecnologica è una prospettiva irrinunciabile dell’investimento istituzionale, lungo due direttrici: innovazione e sviluppo sostenibile. Il governo elettronico dell’Istituzione è assicurato da un’estesa infrastruttura telematica, che utilizza strumenti gestionali all’avanguardia. I dispositivi mobili in dotazione alle pattuglie, collegati con le principali banche dati d’interesse, sono progressivamente arricchiti di nuove funzionalità, anche di diretta interfaccia con i cittadini. Per la sicurezza stradale, in cui l’impegno dell’Arma è rimarchevole, specie sulla viabilità extraurbana e ovunque nell’arco notturno, abbiamo rinnovato il parco etilometri, acquisito apparati luminosi da applicare sull’uniforme per la visibilità degli operatori e introdotto nuovi sistemi di segnalazione stradale a led a maggior tutela degli automobilisti. Stiamo poi sperimentando dispositivi di protezione sotto-giacca, da indossare durante l’intera durata del servizio, per elevare la sicurezza del personale. All’obiettivo dello sviluppo sostenibile si iscrivono le numerose iniziative in atto per l’incremento della classe energetica degli edifici e per il consolidamento della mobilità alternativa. Il miglioramento delle sedi qualifica il servizio alla collettività: dalla sicurezza degli ambienti di lavoro, dove accedono migliaia di cittadini, alla resistenza antisismica, per garantire operatività anche in situazioni critiche. Per questo continuiamo ad esplorare tutte le possibili forme di collaborazione finanziaria, auspicando una sempre più concreta attenzione delle Regioni e delle Amministrazioni locali».
Esistono attività dei Carabinieri poco conosciute, ma utili alla cittadinanza e alla comunità?
«Nel corso di questi lunghi anni storia, molte delle iniziative e delle peculiarità dell’Arma dei Carabinieri hanno trovato importanti vetrine mediatiche. Libri, articoli di giornale, cinema e televisione, oltre ad avvicinare l’Arma stessa alla popolazione, hanno consentito di mostrare al grande pubblico alcuni tratti tecnico professionali altrimenti celati. Sicuramente, grazie a questo, il personale che ogni giorno lavora nelle svariate articolazioni ha giovato della soddisfazione di vedere valorizzati i molteplici sacrifici affrontati. Accanto tanto agli italiani in patria, quanto alle popolazioni più bisognose o colpite da guerre all’estero, il Servizio comporta ferrea motivazione e profondo spirito del dovere. Che porti a grandi successi investigativi o riguardi la quotidiana attività di vigilanza e sostegno alla popolazione, tutti i giorni il lavoro delle Stazioni e dei Reparti Specializzati impone disciplina, ma auspica, contestualmente, di percepire riconosciuto il merito di non ridurre mai l’impegno profuso. In questo quadro, reputo di fondamentale importanza un’attività che, invece, trova pochissimo spazio nella promozione mediatica su larga scala: quella di coloro che forniscono “spunti di legalità” ai giovani organizzando e tenendo seminari e conferenze nelle scuole, nelle università e in tutti i luoghi in cui, troppo sovente, il calore della presenza dello Stato fatica a essere percepito. Per essere parte della costruzione di quel futuro migliore, a cui tutti auspichiamo, per noi e per chi verrà dopo di noi, credo sia un’opera insostituibile. Il tempo dedicato a instillare nei giovani la voglia di perseguire il bene comune, di coltivare il rispetto reciproco, di nutrire il proprio pensiero col desiderio di essere parte integrante e attiva della comunità, non potrà mai essere valutato mostrando dei dati statistici, ma troverà sempre riscontro certo nei risultati concreti. Quei numeri negativi avrebbero una sicura impennata se non si perseverasse nell’avvicinare fin da subito le nuove generazioni a tali ideali. “Non chi comincia, ma quel che persevera” già insegnava Leonardo Da Vinci».
Operazione Matteo Messina Denaro, una latitanza durata 30 anni. Come si arriva a una cattura di questo genere? Che tipo di attività ci sono dietro?
«Faccio mie le parole del nostro Comandante Generale, Gen. C.A. Teo Luzi: “Con un pool di investigatori dedicati esclusivamente a questa indagine e con un gioco di squadra siamo riusciti ad afferrare il filo giusto. Il metodo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è quello tuttora applicato dai colleghi del ROS, che prevede la perseveranza e soprattutto la scelta di utilizzare le tecniche investigative tradizionali. Vuol dire raccolta di tantissimi dati informativi dei reparti dei Carabinieri, intercettazioni telefoniche e ambientali, verifiche sulle banche dati dello Stato, interrogatori”. Non possiamo che condividere che lo studio dei fenomeni e l’attività dinamica di controllo sul territorio, unite alle fondamentali risorse tecnologiche, così come già intuito e sostenuto con decisione dal Generale Dalla Chiesa, sono i pilastri che portano a risultati di rilievo come questo. Importante sottolineare quanto si sia fatto in tutti questi anni per migliorare e accrescere il coordinamento: sia internamente, tra i Reparti dell’Arma, sia esternamente, tra l’Arma e tutte le altre realtà istituzionali che, con medesimo slancio, concorrono ad agguantare traguardi di questa portata».
Cosa avrebbe fatto se non fosse entrato nei Carabinieri?
«Mi ero già iscritto all’Università La Sapienza di Roma, alla Facoltà di Chimica Tecnica Farmaceutica, e avevo già sostenuto prima dell’estate ben tre esami. Sono sempre stato curioso di conoscere a fondo le cose e di cogliere l’essere oltre l’apparire. E poi mi affascinava capire come ciascun atomo, in base al numero di elettroni di valenza, tende a cederli, acquistarli o condividerli al fine di raggiungere l’equilibrio; è la stessa natura che ci insegna che andando da soli si può forse correre più veloci, ma insieme si va sicuramente più lontani. È con tale auspicio che mi piace ricordare le parole di Seneca nelle “Lettere a Lucillo”, quando scrive che una Comunità “è molto simile a una volta di pietre… cadrebbe se esse non si sostenessero a vicenda».
(foto MARCO CARULLI)