L’industria dei videogiochi in Italia ha regi strato una crescita significativa negli ultimi anni, raggiungendo un volume di affari da 2,3 miliardi di euro; pur rimanendo dietro a Paesi come Francia, Germania e Regno Unito, che vantano mercati più sviluppati e maggiori investimenti pubblici e privati. Ma oggi il mondo del gaming ha molte più sfaccettature di quelle che possiamo immaginare…
Igor Fiammazzo, si può dire che questo gap sia figlio anche della nostra cultura?
«Sì, è molto probabile. In Italia il gaming è sempre stato visto come un passatempo per i più giovani, e non come una forma di intrattenimento “seria” o un settore economico. In Paesi come quelli citati la cultura del gaming è stata approcciata in modo diverso, in primis dall’opinione pubblica, e poi dalle Istituzioni».
D’accordo, siamo un po’ indietro rispetto agli altri, però la percezione del gaming in Italia è cambiata nel tempo?
«La percezione è cambiata in modo significativo negli ultimi anni. In passato i videogiochi erano intrattenimento per bambini e adolescenti, oggi iniziano a essere riconosciuti come una parte importante del l’industria creativa. Il gaming può toccare temi culturali, sociali e politici, e ha una forte componente artistica e tecnologica».
Quindi parlare di videogiochi come strumenti di educazione e formazione non è più utopia?
«Non lo è più. Ma è ancora una sfida far riconoscere questo potenziale. A livello internazionale esistono numerosi esempi di videogiochi utilizzati per scopi educativi, nel campo dell’apprendimento linguistico o dello sviluppo delle competenze. In ambito formativo alcune aziende sperimentano l’uso del gaming per il training dei dipendenti, per lo sviluppo del problem solving o il lavoro di squadra».

Esistono dunque videogiochi funzionali alle aziende?
«Sicuramente. Vengono usati per la formazione, per rendere i processi di apprendimento coinvolgenti e interattivi, per favorire la collaborazione in team… Tutte qualità richieste nel mondo del lavoro. Alcune aziende stanno già utilizzando simulatori o ambienti virtuali per migliorare l’efficienza e ottimizzare i processi di gestione dei progetti, o per creare esperienze di marketing innovative».
Come Cesin Group si è approcciata a questo mondo, quando, e quali iniziative mette in campo oggi?
«Cesin Group si è approcciata al mondo dei videogiochi riconoscendone il potenziale sia come strumento di apprendimento che come mezzo di comunicazione innovativa. Il nostro primo passo è stato quello di integrare elementi di gamification nelle piattaforme di formazione aziendale, per rendere i percorsi di apprendimento più efficaci. Oggi affianchiamo le aziende nella gamification a 360°».
Una cosa che ti auguri e una cosa che assoluta mente non auspichi per il futuro dei videogiochi in Italia.
«Mi auguro che i videogiochi possano ottenere il riconoscimento che meritano, sia come industria creativa che come strumento di educazione e innovazione. Vorrei vedere più investimenti pubblici e privati, e un maggiore coinvolgimento delle Istituzioni nel supportare questo settore, non solo a livello di produzione, ma anche di ricerca. Non auspico ai videogiochi di continuare ad essere “relegati” al ruolo marginale di intrattenimento di basso livello, un pregiudizio che impedirebbe al settore di svilupparsi pienamente e al Paese di cogliere le opportunità offerte da questa industria in crescita».
(foto CESIN GROUP)