Marta, come diceva un saggio, cominciamo dall’inizio: identità e passione sono concetti diversi ma complementari. Sei d’accordo?
«Parlo per il mio settore, per la nostra storia, e dico di sì. D’altronde, e prendo ad esempio Primula, la nostra attività è strettamente legata alla nostra identità e a Torino, a cui abbiamo dedicato la maggioranza dei nostri progetti. Amiamo Torino e questo mestiere sempre in evoluzione, e quindi sì, sicuramente lo portiamo avanti con passione».
Sono tipo due facce della stessa medaglia quindi?
«Direi più che altro che sono due prerogative fondamentali per un’azienda. Soprattutto se si tratta di seguire da vicino e partecipare ai processi di trasformazione del tessuto urbano. Quando si costruisce o si ristruttura una casa, questa non sarà fatta solo di materiali edili, ma di idee, aspirazioni, perfino emozioni. La somma di tutto ciò contribuisce all’anima complessiva della città».
Passione fa rima con innovazione: è un caso?
«Sicuramente no (ride, ndr), anzi credo che oggi il settore immobiliare a tutto tondo debba rivolgersi con determinazione al futuro e all’innovazione».
Un esempio?
«Cito un maestro come Renzo Piano che da anni insiste su un nuovo sistema virtuoso del costruire. Un modus operandi serio, rispettoso del suolo e dell’ambiente, che punti alla sostenibilità anche in prospettiva. I nostri interventi in via Accademia Albertina, Ellen a fianco del Principi di Piemonte, Casa Vélo in via XX Settembre, Palazzo Dune in via Lagrange, seguono questa filosofia».
Torino ha un pedigree che molte città si possono sognare, però certamente, se vuole evolvere, non può fermarsi a se stessa
E Palazzo Contemporaneo?
«Un’operazione importante e coraggiosa in una zona come Crocetta non abituata a questi interventi. Palazzo Contemporaneo è la dimostrazione di come Primula non segua solo grandi ristrutturazioni, ma sia un’azienda in evoluzione capace di promuovere una partnership tra attori del territorio e non, per attrarre anche investitori istituzionali».
Come si disegna (e quindi costruisce) la città di domani?
«Come detto prima, pensando in prospettiva. E cioè cercando di costruire cose che durino nel tempo, che trasportino idee e creino valore. Poi è fondamentale la felicità dei cittadini: non si può progettare non considerando il benessere di chi vive le aree urbane».
E Torino?
«Torino ha un patrimonio edilizio (e poi culturale, storico, gastronomico…) incredibile, però ha bisogno di crescere con intelligenza, diventando una città internazionale, senza dimenticare mai la qualità della vita. Viabilità, sicurezza, pulizia, possibilità lavorative… Torino ha tutte le carte in regola per essere una città in cui le persone amano vivere. E quindi anche su cui investire».
La tua è una storia “di famiglia”, anche questa è identità?
«Noi italiani abbiamo un grande limite e un enorme vantaggio: la famiglia. Alcune delle più belle storie d’impresa del nostro paese ruotano attorno a una saga familiare. Io ne sono la dimostrazione, insieme a mio fratello Lorenzo, a mio padre Umberto e a mia mamma Giusy. È una cosa bellissima, ma non deve diventare un limite come detto. Lo stesso accade con l’identità: Torino ha un pedigree che molte città si possono sognare, però certamente, se vuole evolvere, non può fermarsi a se stessa».
Come dovrebbe essere il lusso di domani?
«Esperienziale. Quindi non solo materiale, ma soprattutto emotivo, portatore di idee e valori positivi… Insomma di quelle cose che non si potranno comprare e che sono sempre più richieste. Quando abbiamo creato Agorà (progetto di accoglienza sostenibile e “luxury” in via XX Settembre, ndr) i principi cardine del progetto sono stati tecnologia, sostenibilità e fascino; questo sarà il lusso di domani».
Esiste un termometro per misurare la passione di una città?
«Letteralmente non saprei, immagino di no. Però penso che una città “passionale” sia una città che crede in se stessa. Che si fa coinvolgere nei progetti, nelle iniziative, nei grandi eventi… Ragionando per esempio sulle ATP Finals vedo una Torino con tanta voglia di vivere e confrontarsi con il mondo. Poi però, in altri momenti, si richiude un po’ su se stessa, e sembra fare dei passi indietro. Forse un tema da affrontare è anche quello della continuità».
Voi ne sapete qualcosa…
«Diciamo che quando si prende in carico una costruzione o una ristrutturazione è fondamentale mettere sul tavolo competenza e serietà per assicurare continuità all’intero progetto. E non si molla la presa fino a che il lavoro non è finito. È anche una questione di responsabilità».
Tre parole attorno a cui immaginare l’identità e la passione di Torino nei prossimi dieci anni?
«Riprendo quelle di prima: tecnologia, sostenibilità e fascino. Che poi sono anche anime importanti della nostra città. L’aspetto tecnologico-innovativo è sotto gli occhi di tutti, soprattutto con i progetti legati all’aerospazio. La sostenibilità è passata da essere una forma di virtuosismo a una prerogativa delle aziende contemporanee (e Torino è una scuola di eccellenza sotto questo punto di vista). E il fascino, beh quello fa parte del nostro DNA, di lavoratori un po’ “nobili”…».
Quindi Torino è messa bene?
«C’è tanto da lavorare. C’è sempre tanto da lavorare. Ma ci sono dei buoni presupposti. Torino ha la fortuna di essere un centro da un milione circa di abitanti, senza le crisi da megalopoli, e allo stesso tempo senza i problemi che affliggono le piccole realtà. Ha competenze, uno spirito imprenditoriale di valore, tanta bellezza. Ottimi punti di partenza… ma mai fermarsi! Perché ci sono ancora cose molto interessanti che avverranno di qui a breve».
(foto MARCO CARULLI)