Home > People > Interviste > Matteo Segre, un piccolo Lauda cresce a Torino
MATTEO SEGRE (TORINESE, 19 ANNI) È UN GIOVANE CAMPIONE DELL’AUTO DELLA NOSTRA CITTÀ, CON UN PASSATO GIÀ RICCO DI AFFERMAZIONI E UN FUTURO ASSAI PROMETTENTE DI FRONTE A SÉ
Matteo Segre (torinese, 19 anni), che, quando correvano Lauda e Villeneuve, non era ancora nato. Un giovane campione dell’auto della nostra città, con un passato già ricco di affermazioni e un futuro assai promettente di fronte a sé. Su Matteo ci scommettiamo e sapete perché? Non ha solo talento in gara, ma è posato, concreto, educato, lucido nel raccontarsi, senza mai usare una parola di troppo, senza calare l’asso (fin troppo facile per un pilota) della guasconeria da numero uno. Così a me ha ricordato quel Niki Lauda che vinceva tanto senza alzare mai la voce, il primo pilota imprenditore di un mondo che stava cambiando per sempre. Ma resta comunque il fatto (altrimenti non parleremmo di motori) che Matteo è un “bravo ragazzo” col vizietto irresistibile di mettere gli altri piloti dietro le spalle, possibilmente tutti. Com’è accaduto quest’anno con le monoposto Formula 4 Tatuus T014, nel campionato FX categoria Pro Series (che si è tenuto nei maggiori circuiti italiani, come Monza, Mugello e Misano): primo posto con una gara di anticipo, 9 vittorie su 14 tappe del circuito. Chapeau! Il Piccolo Lauda oggi è sotto gli sguardi di tutti.
Matteo, com’è nata la tua passione? E chi era il tuo mito quando hai cominciato a interessarti ai motori?
«Da bambino collezionavo macchinine e quel mondo mi ha subito affascinato. Il mio eroe era il brasiliano Felipe Massa, ben riconoscibile con il suo casco verde. L’ho anche incontrato a Monza, dove però non ho portato fortuna e ha perso. Massa è stato un grande pilota, ma gli è mancata la fortuna, nel 2008 avrebbe meritato il mondiale».
Correre sui kart è uno sport che non permette errori, e non permette di recuperare sugli errori e sugli episodi sfortunatiE tu come hai cominciato?
«Come tutti, con i kart. Le mie prime esperienze sono state nella struttura di via Monginevro, dopo siamo passati a Nizza Monferrato. Con me c’era mio fratello Giulio, con cui ho condiviso la prima parte della mia attività agonistica. I miei mentori furono Gianclaudio Giovannone, padrino per l’Europa della Fondazione Ayrton Senna, e Dindo Capello, vincitore per tre volte della 24 Ore di Le Mans. Quest’ultimo vide in me un potenziale importante e mi stimolò a continuare con le gare».
Quanto conta il karting nella formazione di un pilota?
«È fondamentale, una vera e propria scuola. Se ottieni risultati scali le categorie e il livello della competizione cresce in parallelo. Correre sui kart è uno sport che non permette errori, e non permette di recuperare sugli errori e sugli episodi sfortunati. Sono gare molto affollate dove, per un episodio negativo, puoi trovarti non solo scavalcato, ma anche imbottigliato dal gruppo. Poi, ai livelli più alti, i kart sono macchine pesanti e potenti, non così lontane dalle monoposto».
In famiglia come hanno preso questa tua grande passione?
«Non mi hanno mai ostacolato, ma, certo, all’inizio ave vano paura. Così hanno cercato di distrarmi con altre opportunità. Ma con la convinzione li ho portati dalla mia parte e oggi sono i miei migliori alleati. Devo anche un grazie particolare a mio fratello. Quando c’è stata la svolta e cercavamo gli sponsor si fece da parte per facilitare il mio percorso».
Quest’anno gareggi nella prestigiosa Porsche Sports Cup Suisse, dove correrai nei maggiori circuiti europei. Ma per il futuro che obiettivo ti poni? Hai il sogno di pilotare una Formula 1?
«E chi non lo avrebbe. Ma a me piace puntare obiettivi raggiungibili. E in questo momento il mio sogno è di partecipare al WEC, il circuito della 24 Ore di Le Mans. Quando parliamo di Formula 1 dobbiamo pensare che “arrivano” un numero estremamente limitato di piloti. E tra questi ci sono i campioni affermati e quelli imposti dagli sponsor».
Il tuo è uno sport dominato dai budget e dalle risorse economiche?
«Certamente sì. Anche al mio livello l’aspetto economico, e quindi la ricerca di sponsor, è determinante. Occorre coprire le spese della squadra che ti segue e delle trasferte. E poi ci sono piloti, legati ai paesi arabi per esempio, che hanno budget per noi inarrivabili».
Nello sport, come nella vita, occorre sempre un piano B. Qual è il tuo?
«Io non ho mai rinunciato ad essere un ragazzo della mia età. Anche negli studi. E quest’anno mi sono iscritto alla Cattolica. Nell’automobilismo c’è il rischio di perdere il contatto con la realtà e io non lo voglio correre. Ci sono piloti che, partecipando a 33/34 gare all’anno, sono sempre in pista e vivono una vita parallela. Ma è un’esperienza che non mi interessa. Io tengo al mio equilibrio».
(foto FRANCO BORRELLI e ARCHIVIO MATTEO SEGRE)