News

Mauro Esposito e ME Engineering

30 anni di passione, sfide, successi, futuro

Speciale Territorio 2024

ABBIAMO INTERVISTATO MAURO ESPOSITO, IMPRENDITORE, PROTAGONISTA DI UN'INCREDIBILE STORIA DI SUCCESSO, CERTO NON PRIVA DI DIFFICOLTÀ. UNA STORIA PROIETTATA NEL FUTURO ANCHE GRAZIE AI SUOI FIGLI

30 anni di esperienza: dall’ingegneria alla progettazione, dalla creatività all’innovazione tecnologica. Oggi l’azienda creata da Mauro Esposito nell’ormai lontano 1992 è una realtà in grado di gestire l’intero processo edilizio. In ambito privato e pubblico, industriale, terziario e civile.

ME Engineering è un esempio di crescita virtuosa, che ha traghettato nel futuro il proprio mestiere e la propria missione, integrando collaboratori storici e giovani in un team evoluto e funzionale; che comprende anche i figli di Mauro, Alberto e Maria Giulia.

ME Engineering mette al centro dei propri progetti efficienza ma soprattutto bellezza

ME Engineering mette al centro dei propri progetti efficienza ma soprattutto bellezza

Oltre 10.000 progetti portati a termine e quasi 50 collaboratori, testimoniano l’espansione di una case history territoriale brillante. Noi ve la raccontiamo in dialogo con Mauro Esposito.

Mauro, ME Engineering è una storia step by step: come inizia?

«Per caso. Mio padre voleva facessi il benzinaio, ma io avevo ben altre ambizioni. Eravamo una famiglia “umile”, e io quella voglia di crescere, quella “fame” in gergo calcistico, me la sono sempre portata dietro. Insegnavo chitarra e davo ripetizioni di matematica: così ho trovato le risorse per studiare e laurearmi».

ME Engineering è un esempio di crescita virtuosa, che ha traghettato nel futuro il proprio mestiere e la propria missione, integrando collaboratori storici e giovani in un team evoluto e funzionale

Già allora c’era l’idea dell’architettura?

«Sì e no. Il mio percorso nasce dall’architettura, poi vira sull’ingegneria, e infine mi laureo in Impianti Termotecnici. Non a caso sono andato a lavorare con zio Beppe che aveva una ditta di costruzioni».

Poi cosa succede?

«Succede che nel ’93 c’è una grande crisi, che però diventa anche un’opportunità, e nel ’94 nasce ME Studio, che si occupa prevalentemente di progettazione impiantistica. Sono anni quelli di grande cambiamento, per raccontarli mi basterebbero 4 cifre: 46 90, ovvero la legge sulla certificazione degli impianti, varata a marzo 1990, che rimodulava le operazioni in tema di sicurezza degli impianti, obbligando a una vera progettazione; di cui prima si occupavano idraulici ed elettricisti».

ME Engineering - Il progetto del Ministero del Tesoro in Ciad

Il progetto del Ministero del Tesoro in Ciad

E così per voi cambia tutto…

«Diciamo che in Italia solitamente ci va un po’ di tempo prima che le leggi siano recepite… La 46 90 è del 1990, ma ci vogliono alcuni anni per vederla effettivamente applicata. E io, come utile casualità, nasco imprenditorialmente negli anni in cui prende piede per davvero; e dato che sono vigile del fuoco, formato accademicamente sul tema, collaudato in materia sul campo… sembrava fatto apposta. Comincio quindi a lavorare parecchio e prendo i primi collaboratori con me: Laura, Marcello e Claudio».

Che diventano poi collaboratori storici?

«Storicissimi. Laura è qua dal ’97, quando è arrivata era giovanissima, aveva avuto il primo figlio da poco, e poi anche il secondo l’ha avuto mentre lavorava qui. Pensate che quando è andata in ospedale, non c’erano ancora i cellulari, e ha lasciato il numero dell’ufficio come riferimento…».

Tornando alla storia, a un certo punto recuperi l’architettura. Come?

«Di nuovo per caso in realtà. Dovevamo in quegli anni adeguare le centrali termiche, siamo a fine anni ’90, e cominciamo a prendere dei progetti municipali. Assumiamo la prima architetta, Viviana, perché serviva un addetto alle pratiche edilizie, io ero all’epoca un po’ improvvisato… E ci lanciamo in quell’avventura. Una mossa che si è rivelata un’intuizione vincente in quanto entriamo nel periodo di Torino candidate city per le Olimpiadi del 2006, e per la nostra competenza veniamo coinvolti in un sacco di progetti. Dalla pista dei bob al villaggio dei media, fino al progetto grandi stazioni».

E qui si apre una delle sliding door più importanti…

«È vero. Io passo il test per diventare ufficiale dei vigili del fuoco a Roma, ma poi decido di non praticare, e anzi mi allontano da quel mondo, seguo sempre meno i tantissimi lavori di cui ormai ci occupiamo, specie per le Olimpiadi… E sboccia in me definitivamente la passione per l’architettura».

Il primo passo?

«A me piacevano i progetti di recupero del patrimonio edilizio storico; abbiamo investito dunque su diverse cascine della mia zona trasformandole in residenze di pregio. A un certo punto siamo finiti a recuperare intere borgate…».

Il passaggio successivo è l’industrial.

«In verità è una consecutio abbastanza naturale. Siamo poco dopo il 2006, abbiamo finito di seguire le Olimpiadi e ci dedichiamo al recupero dei vecchi fabbricati industriali, compreso questo dove siamo ora, che è poi diventato il nostro quartier generale. Ed è anche il momento in cui porto la mia passione per il mondo arabo all’interno del mio lavoro, e trasliamo le nostre competenze nei primi progetti all’estero, specialmente in Oman. Disegniamo, progettiamo e ormai costruiamo anche».

ME Engineering - Sohar University in Oman

Sohar University in Oman

Tutto va per il verso migliore, apparentemente, poi si apre un periodo buio, quello che hai raccontato in interviste, libri…

«Sì, siamo nel 2010. Abbiamo appena inaugurato questa sede, ormai siamo quasi un centinaio qua dentro, lavo riamo su progetti in Italia, ma anche con tantissimi lavori all’estero, appunto in Oman, a Dubai… Tutto va veramente per il verso giusto. La vicenda di tribunali, minacce, cause, ingiustizie di cui siamo stati note vittime, e a cui fai riferimento, arriva proprio in quel momento, e l’ho raccontata tantissime volte. Ho smesso di vivere per anni, perso moltissimo di quello che avevamo costruito… fino al 2016. Anno in cui, chiuse tutte le altre vicende, ricomincio per davvero a respirare e a lavorare».

Riprendiamo il tema degli step: qual è stato all’epoca il primo step della ripartenza?

«Ricomporre una squadra. E, devo dirlo, lì ho avuto la fortuna di trovare diversi ragazzi, anche molto giovani che, affiancati agli storici come Cristian e successivamente Ilaria (che non hanno davvero mai mollato), hanno avuto il coraggio di sognare. E hanno dato anche a me la forza di farlo. Ho regalato quote di società a chi mi ha mostrato la volontà di voler costruire in grande e sono stato ripagato con gli interessi».

Che succede quindi?

«Che cambiamo il paradigma dei nostri progetti: mettiamo la bellezza al centro. Ognuno comincia a “gareggiare” con il resto della squadra per creare progetti bellissimi. Accantonato l’industrial ci lanciamo nel moderno, ma sempre con un focus: dobbiamo fare cose meravigliose. A prescindere dai prezzi, dai costi… Diventiamo per il mercato il riferimento per progetti incredibili. Io mi cimento in diverse operazioni immobiliari (piazza San Carlo, via Carlo Alberto…) e semplicemente facciamo case belle».

Cosa fa la differenza in quel momento?

«Sicuramente la bravura, senza false modestie. E poi la credibilità acquisita in tanti anni di professione. Lo Stato non aiuta mai, anzi al massimo ostacola, ma la collettività ha sempre scommesso su di noi».

Quanto è cambiato il tuo mondo dell’architettura da ieri a oggi?

«Diametralmente. Oggi abbiamo un linguaggio architettonico completo e la capacità di tramutare le idee in una realizzazione fedelissima. Un tempo non era così: facevi il disegno e speravi venisse una cosa simile. Oggi il pro getto è il risultato finale».

Il quartier generale di ME Engineering

Il quartier generale di ME Engineering

C’è un segreto?

«Il fermento delle idee, che sommato alla voglia di fare esclusivamente cose belle, porta per forza a risultati elettrizzanti. Qui, tra i miei ragazzi, è costantemente una gara a stupire. Sembra di stare all’università, è tutto in divenire. E poi c’è una cosa che ho maturato credo dopo tutte le vicende che abbiamo passato, e cioè non mettere il profitto personale al primo posto. Noi lavoriamo perché ME Engineering generi valore e crei progetti fighissimi. I soldi che mi metto in tasca io non sono primari. Cosa succede? Che “casualmente”, credendo in questo modello, non c’è stato un progetto che non mi abbia fatto guadagnare. Ho guadagnato meno di quello che forse avrei potuto guadagnare? Questo sempre. Ma non so se sarei in questa condizione se avessi applicato un altro modo di fare business».

Se dovessimo dividere in atti, in momenti clou, questo successo imprenditoriale, che main event possiamo individuare?

«Allora, direi che al punto uno mettiamo le cascine, non solo da un punto di vista temporale, ma perché sono la genesi della passione per l’architettura. Poi questo quartier generale, sicuramente il secondo step, perché rappresenta il passaggio dalle cascine all’industrial, e poi è stato il modo in cui abbiamo messo radici, in cui abbiamo fissato un punto di riferimento per confrontarci con il mondo. Infatti al checkpoint tre inserirei i progetti per l’estero, quelli che ci hanno aperto la mente, che ci hanno insegnato a comprendere le culture prima di fare i progetti. Lì sboccia un amore fortissimo per Paesi come l’Oman e gli Emirati Arabi Uniti, e per l’azienda è una palestra incredibile, in quanto è una sorta di parco-giochi, in cui hai pratica mente libertà assoluta e puoi realizzare quasi qualunque cosa. Una roba da matti. Abbiamo progettato cose bellissime. Casa Italia in Oman è una perla assoluta, oppure il Ministero del Tesoro in Ciad, con la struttura superiore che richiama la filigrana della moneta, o ancora la Sohar University sempre in Oman, e diversi ospedali…».

Un aneddoto speciale di questo periodo?

«Abbiamo progettato la sede di ONRTV, televisione nazionale del Ciad, che è peraltro l’edificio più alto di tutto il paese. E per loro abbiamo fatto anche i van per le riprese esterne. Portare tutto fin là è stata un’impresa, via terra o via mare non ci si poteva muovere, troppi Stati da attraversare, infinite avversità… Alla fine abbiamo dovuto utilizzare un aereo… una follia!».

Recuperiamo il ritmo step by step. La quarta fase è quella più recente…

«Sì, come dicevamo prima ci lanciamo in progetti moderni, realizziamo Palazzo Villa in piazza San Carlo, e il passaggio che collega a via Lagrange (un’area anche simbolicamente rilevante del prestigio cittadino)… E tanti altri progetti. La vera novità è che ci concentriamo sempre di più sulle innovazioni, sperimentando tecnologie e materiali nuovi… Con ottimi risultati».

Anche grazie a una squadra incredibile, come ci hai anticipato; un team in cui oggi “giocano” anche i tuoi figli, Alberto e Maria Giulia. Ascoltiamo le voci di tutti. Mauro, quanto è complesso unire in un’unica squadra generazioni anche “lontanissime”?

«Non è difficile, anzi è facile. Io sono un accentratore di responsabilità, per cui decido io, ma non di idee, perché sono convinto che l’energia di questi ragazzi sia un motore fenomenale».

Maria Giulia, la differenza generazionale cosa rappresenta?

«Per altri può essere un limite, per me è un valore. Nel mio caso, poter affiancare un impiantista come Giuliano, che è qui da sempre, è un’opportunità di crescita enorme. E allo stesso tempo confrontarmi con chi entra in azienda oggi, e magari ha appena finito l’università, mi ricorda di com’ero io; che temevo di non sapere niente, che non avrei mai imparato… Ma non è assolutamente così. Trovo che questa sia una squadra eccezionale proprio perché diversa, complementare e perfino “a specchio”. Una realtà che cresce insieme».

ME Engineering - Palazzo Villa

Palazzo Villa testimonia come ME Engineering stia rivoluzionando alcuni degli angoli
più prestigiosi della nostra citta

Alberto, come hai vissuto il tuo ingresso in azienda?

«Io sono il più piccolo, l’ultimo arrivato. E dal mio punto di vista, che è in fondo un po’ unico, mi rendo conto che ho di fronte un’incredibile opportunità di confronto, che è offerta proprio dalle tante e diverse generazioni che sono in azienda. E poi credo che per i più giovani sia in qualche modo bello avere un esponente della “proprietà” magari della stessa età, che parte “dal basso” come tutti e con cui potersi interfacciare in modo genuino, da coetanei. Non capita spesso credo».

Mauro, che sensazione danno questi due interventi?

«Bella. È bello vedere che quello che hai costruito ha davanti un futuro entusiasta».

Un sogno nel cassetto?

«Un’idea di politica al servizio del territorio. Una possibilità di cambiamento in meglio per la città e le persone che la abitano. Per restituire a loro ciò che mi hanno dato in oltre trent’anni, non semplici, di lavoro. E per provare a sistemare tutte quelle follie che ho visto a livello burocratico nel nostro paese. Con la competenza, ma direi più che altro con l’esperienza e la determinazione di chi ha vissuto in prima persona le tante assurdità che un imprenditore deve affrontare. E che tarpano le ali all’incredibile tessuto produttivo della nostra terra».

 

(foto ME ENGINEERING)