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L’ATTRICE DI CUORI, MADRINA DELL’ULTIMO TORINO FILM FESTIVAL, SI RACCONTA TRA LE ORIGINI PIEMONTESI DELLA SUA FAMIGLIA, LA PASSIONE PER TORINO E PER IL BONÈT, I LUOGHI DEL CUORE SOTTO LA MOLE
Quella tra Pilar Fogliati e Torino è la storia di un rapporto solido e ricco di emozioni. La giovane attrice, cresciuta a Roma ma piemontese per nascita e origini familiari (Alessandria, 1992), ha stretti legami con la nostra città, dove ha girato la serie che l’ha resa nota al grande pubblico, Cuori, ambientata nel reparto di cardiologia dell’ospedale Molinette sul finire degli anni Sessanta e trasmessa dalla RAI nel 2021, con grande successo di pubblico e critica. Fogliati trascorre a Torino lunghi periodi, ha preso casa vicino alla Gran Madre e ha per la città (e persino verso i torinesi) un amore sincero. Non a caso, forse, Steve Della Casa l’ha scelta come madrina dell’ultima edizione del Torino Film Festival. La incontriamo sul set della seconda stagione di Cuori, le cui riprese proseguiranno fino a fine gennaio, e che andrà in onda nel 2023. Simpatica, rilassata, spontanea ma mai banale nelle risposte, Fogliati si rivela l’antidiva che non sapevamo di meritarci, tanto che passare dal “lei” al “tu” sembra fin dall’inizio la scelta più naturale.
Pilar, tecnicamente sei piemontese, visto che sei nata ad Alessandria…
«In realtà sono molto più piemontese che romana, anche se l’accento mi tradisce. Ho sempre vissuto a Roma, ma i miei nonni paterni sono di Canelli, mentre quelli materni di Alessandria, dove sono nata il 28 dicembre, perché i miei genitori stavano trascorrendo le feste natalizie nella casa di famiglia. Una certa piemontesità contraddistingue tutta la mia famiglia: siamo molto discreti, ci vogliamo bene ma sappiamo anche lasciarci spazio. Ora che lavoro spesso a Torino ho scoperto una città non soltanto splendida, ma con la quale mi sento perfettamente allineata».
Quali sono i tuoi primi ricordi di Torino?
«Risalgono a un viaggio con mio nonno, quand’ero adolescente. Però Torino l’ho scoperta per davvero solo più tardi, quando ho iniziato a lavorarci. Sto conoscendo bene la città e sono contenta di farlo da persona più matura. Sono nata in Piemonte e molti dei miei progetti più importanti stanno passando da Torino: mi sembra che ci sia qualcosa di scritto, che tutto torni».
Che rapporto hai con la città? Cosa ti piace e cosa non sopporti?
«Mi piace che Torino sia così elegante e rigorosa, che si nasconda dietro a un velo di forma per poi aprirsi alla follia: la vita notturna, la musica underground, la magia, il Museo Egizio, il tutto in una cornice d’eleganza, quella vera, che è sottrarre l’esagerazione. Mi fa sentire a casa. Di Torino amo le passeggiate lungo il Po e la cucina piemontese, che considero la migliore d’Italia. Qualcosa che non mi piace? I controviali, non sono ancora riuscita a capirli!»
E con i torinesi come va?
«Bene! Mi sono sentita accolta fin da subito. Per me significa tanto, mi ha fatto sentire bene. Sui torinesi pesa il cliché dei piemontesi “falsi e cortesi”, ma la cosiddetta “falsità” è in realtà un atteggiamento molto intelligente, è una forma di protezione, attraverso la forma, da tutte quelle situazioni dove non sempre è necessario mettere in gioco i sentimenti. È una cosa che apprezzo, stimo e sento anche un po’ mia».
Quali sono i tuoi luoghi del cuore in città?
«Sono tanti. Via Monferrato, il fiordilatte di Gasprin, che è il gelato più buono di tutta la mia vita, piazza Carignano con il bar Pepino, il lungopò dalla Gran Madre verso nord, dove una volta, correndo, ho persino incontrato un branco di pecore. Nei giorni scorsi abbiamo girato nell’alba a Castiglione Torinese, poco fuori città, un borgo molto grazioso. Ma l’esperienza più mistica avuta in città è stata una lezione di canottaggio sul Po presa l’anno scorso. Era ottobre, faceva fresco ma c’era il sole. L’acqua pulita, le papere accanto a me, sopra il ponte la vita che scorreva: mi sono chiesta se non fosse quella la felicità».
Della cucina piemontese cosa apprezzi di più?
«Il bonèt mi fa impazzire. Amo gli agnolotti con il sugo d’arrosto, il bollito con la salsa verde. Che mi ricorda la cucina di mia nonna, dove non poteva mai mancare il flan di verdure».
Veniamo al cinema. Cos’hai pensato quando Steve Della Casa ti ha chiesto di essere la madrina del TFF?
«Ero onoratissima e lo sono tuttora, perché considero il Torino Film Festival secondo solo a Venezia per prestigio. Inoltre ho una stima infinita per Steve e sono davvero felice che sia tornato a dirigere il festival».
La storia di Torino con il cinema è antica, e fatta di alti e bassi. Negli ultimi decenni si è investito molto per far tornare Torino protagonista in ambito cinematografico, ad esempio con la Film Commission e con l’apertura del Museo del Cinema. Da attrice, si sente l’amore di Torino per il cinema? Cosa si prova girando in città?
«Girare a Torino è molto meno dispersivo che altrove. In città ci sono professionalità incredibili. Penso, per esempio, alla costumista e allo scenografo di “Cuori” (Carola Fenocchio e Maurizio Zecchin, ndr) che, da veri torinesi, hanno avuto nella ricostruzione degli anni Sessanta un’eleganza incredibile. In generale qui c’è grande cura, le produzioni vengono coccolate. Con grande intelligenza e umiltà la città si sta riprendendo il ruolo da protagonista che merita».
Ora che lavoro spesso a Torino ho scoperto una città non soltanto splendida, ma con la quale mi sento perfettamente allineataA proposito di Cuori, nella seconda stagione come si evolverà il tuo personaggio, la dottoressa Delia Brunello?
«Si svilupperanno molto i passati, le vite personali dei diversi protagonisti, Delia compresa. Il triangolo amoroso che la vede protagonista resterà irrisolto, ci sarà ancora un grande conflitto del cuore inteso come l’organo del sentimento».
In questi giorni su Netflix è uscito Odio il Natale, serie TV dove interpreti una giovane donna che sente il peso delle aspettative. Anche su di te ce ne sono parecchie, come le gestisci?
«Quando senti l’asticella salire non sale la sicurezza, ma l’incertezza. Non vivo benissimo le aspettative, soprattutto quando non sono le mie. Io sto con i piedi per terra, non faccio piani, so che il futuro è incerto ma cerco di ironizzarci su, di guardarmi da fuori e di prenderla un po’ sul ridere pensando a questo come a un periodo fortunato. Non voglio che le aspettative sovrastino il sogno, altrimenti rischierei di perderlo».
Che rapporto hai con il Natale?
«Per me il Natale è sacro. Quello della mia infanzia si trascorreva tutti insieme nella casa di campagna tra Alessandria e Valenza. Da un po’ di tempo, per ragioni pratiche, lo festeggiamo a Roma, non solo con la famiglia, ma anche con gli amici che ci hanno scelto come loro famiglia. Quest’anno faremo il vitello tonnato e il tacchino ripieno di mele e castagne, una ricetta dell’Argentina, il paese dov’è nata mia nonna».
Sei arrivata a recitare quasi per caso, grazie a tua mamma che ti ha spinta a fare un corso amatoriale in un periodo in cui i risultati a scuola non arrivavano. Che consiglio daresti a una persona, giovane o meno giovane, che non ha ancora trovato la sua strada?
«Capire qual è la propria strada è la conquista più rara e incredibile del mondo. Non fissarti con l’idea di doverlo scoprire per forza a 18 anni, prova, sperimenta in modo incosciente, non fermarti. Scoprire il tuo posto nel mondo sarà comunque magnifico e ti regalerà una sensazione di giustezza, che tu lo faccia a 30, 40 o 50 anni».
2023: un desiderio per te e un augurio per tutti.
«Mi auguro di riuscire a vivere bene il mio sogno, cioè il film che ho scritto e diretto con Giovanni Veronesi e che uscirà in primavera. Come augurio faccio mie le parole di Gianni Rondolino, che ha detto che il potere del cinema è quello di unirci e ispirarci. È un augurio valido per tutti: uniamoci e ispiriamoci!»
(foto PILAR FOGLIATI)