Home > People > Interviste > Intervista a Stefano Genovese regista de Il Piccolo Principe
DOPO IL SUCCESSO DELLE TAPPE DI ROMA E RAVENNA, LO SPETTACOLO DEI RECORD “IL PICCOLO PRINCIPE” APPRODA AL TEATRO COLOSSEO DI TORINO DA VENERDÌ 23 A DOMENICA 25 FEBBRAIO. NOI ABBIAMO INTERVISTATO IL REGISTA, STEFANO GENOVESE
Ci sono storie che entrano nei cuori e nell’immaginario comune per rimanerci per sempre. Probabilmente, quando a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry stava scrivendo Il Piccolo Principe (Le Petit Prince), non sapeva che avrebbe rivoluzionato il mondo della letteratura. E mai si sarebbe immaginato che quel suo libretto avrebbe venduto oltre 200 milioni di copie, divenendo uno dei libri più venduti di sempre.
Da venerdì 23 febbraio a domenica 25 arriva a Torino, al Teatro Colosseo, lo spettacolo Il Piccolo Principe, un show “dei record”, con oltre 60.000 biglietti venduti, e grandi successi ovunque. Il tour proseguirà poi a Napoli, Milano, Messina… (su TicketOne tutte le date).
Noi, per l’occasione, abbiamo intervistato il regista, Stefano Genovese, per farci raccontare un po’ di questo spettacolo e le ragioni del suo successo. Stefano è torinese, anche se ha girato parecchio, ma si dice sempre contento di tornare nella sua Torino, che trova discretamente in forma (specie dal punto di vista culturale).
Stefano, nella presentazione del tuo Piccolo Principe si dice che è “una storia che tutti conoscono ma nessuno ricorda”. È davvero così?
«È così. E me ne sono accorto lavorando allo spettacolo. Praticamente tutti abbiamo letto il libro, io l’ho riletto anche recentemente, ma conoscere la storia per davvero è un’altra cosa. Soprattutto perché molti di noi l’hanno letto da bambini».
Un esempio?
«Prendi il personaggio della rosa, che nella narrazione comune sembra una principessa, pulita, cristallina… Mentre invece, approfondendo un po’ di più, si rivela essere un personaggio fortemente egocentrico, che pensa solo a se stesso. Quindi cambiano perfino le percezioni variando il grado di conoscenza della storia».
Da venerdì 23 febbraio a domenica 25 arriva a Torino, al Teatro Colosseo, lo spettacolo Il Piccolo Principe, un show “dei record”, con oltre 60.000 biglietti venduti, e grandi successi ovunque. Il tour proseguirà poi a Napoli, Milano, Messina...Anche i classici riservano sorprese… Ecco, cosa si prova a prendere in mano un grande classico della letteratura?
«Responsabilità e orgoglio. Anche perché credo che “Il Piccolo Principe” sia in realtà due o tre libri insieme. Dipende dall’età a cui lo si legge. Da piccolo trovi una storia su misura, un eroe che ha presumibilmente la tua età, e che lotta contro i grandi. Poi, crescendo, trovi tutt’altro libro, molto profondo, colmo di metafore senza tempo: la necessità di prendersi cura delle persone, il valore dell’affetto donato…».
Tutti aspetti che si ritrovano nei personaggi…
«Sì, il racconto parla e si snoda attraverso i suoi personaggi. La rosa “addomestica” il piccolo principe, che a sua volta stringe un legame bellissimo con la volpe. E via dicendo. Da adulto noti tutto ciò, ed è anche questo uno dei motivi che mi ha convinto a portarlo in teatro».
Ecco, per chi lo porti in teatro?
«Questo sarà sempre uno spettacolo dedicato ai più piccoli, ma il mio obiettivo è stimolare la curiosità anche degli adulti (come peraltro il libro ha fatto con me) che volenti o nolenti accompagneranno figli o nipoti o fratelli a teatro. Mi piace anche l’idea di “sopravvalutare” la comprensione dei bambini, perché i bambini hanno un’intelligenza gigantesca, facendoli entrare in un mondo non banale, in cui poi anche gli adulti si possono assolutamente ritrovare».
Come si fa a conciliare età e sensibilità così diverse?
«Semplicemente si segue il libro. Nel senso, prendere in mano “Il Piccolo Principe” è, come detto, un’operazione di responsabilità. Le persone hanno alte aspettative, e il mio primo interesse era di non deluderle. Quindi sono rimasto molto fedele al libro per quanto riguarda il romanzo, per tutta la parte drammaturgica diciamo. Per rendere invece gli accadimenti, non ho voluto affidarmi a un narratore, ma a tutti gli altri linguaggi che il teatro ci offre. Quindi alla musica, alle canzoni curate da Paolo Silvestri, uno strumento formidabile per raccontare le emozioni di alcune scene; e poi alle incredibili scenografie curate da Carmelo Giammello, ai costumi di Guido Fiorato, alle luci di Giovanni Pinna, a vere esibizioni di circensi… Insomma a tutta la gamma di linguaggi che un palco di teatro sa offrire, e che ci riconsegna la vastità dello spettro emozionale del “Piccolo Principe”».
A proposito di aviatori, al botteghino cinematografico di questo inizio anno uno dei successi maggiori è stato quello di Hayao Miyazaki e del suo Il ragazzo e l’airone. La cosa ci ha un po’ sorpreso, perché non è propriamente un film da box office italiano, ma un film di animazione e introspezione molto bello. Sta cambiando qualcosa?
«Guarda, ti parlo da rappresentante di un mondo, quello teatrale, tra i più “antichi”. E lo dico con tono dispregiativo: molti giovani vedono il teatro come materia da vecchi. E la colpa è stata purtroppo il più delle volte dei teatri stessi, che non hanno saputo coltivare il proprio pubblico, anche giovane, nel corso del tempo».
Ci sono però delle eccezioni?
«Assolutamente sì. Ci sono teatri, magari piccoli, che hanno saputo fare un ottimo lavoro verso i giovani. E per tornare a Miyazaki, sicuramente fa piacere quel risultato lì, a maggior ragione perché si tratta di animazione; e abbiamo bisogno di poter ampliare il discorso anche delle tecniche d’espressione, non solo delle platee».
Voi, con questo successo, la platea un po’ l’avete allargata… Ti sei chiesto il motivo di questi numeri?
«Non molto in realtà. Credo siano due gli elementi chiave: anzitutto l’azzardo di presentare uno spettacolo che è un mix di generi teatrali, una cosa che io in Italia non avevo ancora visto. Prosa, musica, acrobatica… non era facile mettere insieme tutto e farlo funzionare, e tutta la squadra è stata fantastica. E poi, e credo sia il motivo realmente trainante, il titolo stesso. “Il Piccolo Principe” è e sarà sempre un meraviglioso cult. Un libro che in ogni epoca ha saputo essere avanti anni luce».
In che modo?
«In realtà con tutto. A partire dai personaggi di cui parlavamo prima: fateci caso, sono tutti identificati con le proprie professioni e non con i loro nomi. Quando uno si presenta oggi dice nome e lavoro. Una grande spersonalizzazione. Il libro ce la raccontava con 80 anni di anticipo».
Altro esempio?
«L’importanza centrale delle immagini. Che nel libro servivano a far entrare meglio in una storia comunque “fantastica”, a dare credibilità. Oggi la nostra è una società fondata sull’immagine. Il caso politico di una ragazza in prigione diventa appunto un caso politico quando viene mostrata la sua immagine in catene. Pensiamo a quanta forza hanno le immagini oggi. Un articolo non avrebbe mai smosso quanto quel fotogramma. E Saint-Exupéry ce lo diceva già negli anni ’40».
Insomma, i complimenti vanno a Stefano Genovese e al suo cast per aver messo in scena uno spettacolo intelligente e sorprendente, raccontando un grandissimo classico che vale la pena riscoprire a teatro.