La legittima difesa è stata introdotta nel nostro ordinamento per consentire, in casi eccezionali, la possibilità di difendere un diritto di primaria importanza messo in pericolo dall’agire ingiusto altrui, e non per sostituire il singolo cittadino allo Stato
Torino, autunno 2018
Il clamore mediatico periodicamente suscitato da efferati fatti di sangue e la risposta politica affidata alla volontà di estendere l’ambito applicativo della legittima difesa rendono opportuno fornire alcuni elementi sulla disciplina normativa vigente in materia, senza i quali mi pare difficile potersi formare un’idea ragionata sul tema. Il nostro sistema prevede che sia lo Stato a intervenire a tutela del cittadino che subisce un’aggressione e solo laddove ciò sia in concreto impossibile può trovare spazio l’autotutela privata. La legittima difesa è il meccanismo che consente di giustificare, in presenza di alcuni presupposti, fatti di reato che, diversamente, andrebbero puniti. Tali presupposti, previsti dall’articolo 52 del codice penale, sono il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, la necessità della reazione e la sua proporzionalità rispetto all’offesa. Nel 2006 tale norma è stata integrata dalla previsione secondo la quale si presume proporzionata la reazione diretta nei confronti di un aggressore che si sia introdotto nel domicilio altrui. Nonostante la lettera della legge sembri a prima vista chiara, la sua applicazione concreta è tutt’altro che semplice.
In primo luogo, si deve considerare che, anche nei casi in cui può presumersi la proporzione, va comunque accertata la ricorrenza di tutti gli altri requisiti, venendo quindi a essere eccezionali i casi in cui una reazione eccessiva, ancorché all’interno del proprio domicilio, possa essere considerata dal giudice ‘necessaria’ e, quindi, scriminata. La vera difficoltà sta nel valutare la condotta dell’aggredito, tenendo in considerazione la pressione psicologica e lo stato d’animo del momento in cui si trova a reagire, nonché l’eventuale erronea valutazione del contesto, che potrebbe determinare una reazione ‘eccessiva’ e, quindi, non ‘necessaria’. Proprio nel requisito della proporzionalità sta il componimento degli opposti: se da un lato, infatti, si introduce nel sistema il principio secondo il quale è lecito rispondere alla violenza con la violenza, dall’altro non qualunque violenza può considerarsi consentita.
Se così non fosse, si andrebbe contro i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, arrivando a ribaltare totalmente la gerarchia dei beni giuridici tutelati. Le norme penali di carattere generale devono rispecchiare e rispettare la scala dei valori universalmente riconosciuti, senza mostrare indulgenza verso chi infrange la norma, ma piuttosto garantendo chi la rispetta. Il diritto penale moderno ha come idea guida e ragion d’essere la sottrazione del reo alla vendetta privata e l’attribuzione esclusiva allo Stato del potere di punire le condotte illecite, all’esito di un processo garantito e a opera di un giudice imparziale. Non commettiamo l’errore di dimenticare che la legittima difesa è stata introdotta nel nostro ordinamento per consentire, in casi eccezionali, la possibilità di difendere un diritto di primaria importanza messo in pericolo dall’agire ingiusto altrui, e non per sostituire il singolo cittadino allo Stato.
Michela Malerba
Nata a San Maurizio Canavese nel 1962, è avvocato iscritto al Foro di Torino dal 1991. Dopo aver svolto la pratica nello studio dell’avvocato Francesco Bosco, dove è rimasta fino al 1997, ha proseguito l’attività professionale in uno studio proprio. Nel dicembre 2000 ha costituito lo studio legale Capelletto Malerba, che si è sciolto nel maggio 2016; successivamente, insieme all’avvocato Gian Piero Chieppa, ha fondato lo studio Chieppa Malerba. Iscritta all’Albo dei Cassazionisti dal 27 gennaio 2012, dal 2017 al 2019 è stata presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino.