Torinese, laureato in Medicina e Chirurgia con specializzazione in Ematologia, Maurizio Dall’Acqua inizia nell’ASL TO 1 la sua carriera dirigenziale, proseguita con il ruolo di direttore di distretto e delle attività ambulatoriali della medesima ASL. Si succedono altre cariche fino a quando, nel 2011, diventa direttore sanitario delle Molinette, CTO e OIRM – Sant’Anna. Nel 2012 è nominato direttore generale dell’ASL TO 2 e nel 2015 direttore sanitario di azienda della AOU Città della Salute e della Scienza di Torino. Il 1° giugno 2018 diventa direttore generale dell’Azienda ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino. Oggi, dunque, Maurizio Dall’Acqua è alla guida di uno degli hub ospedalieri di riferimento per la città.
«Con un nome come il mio, non potevo che arrivare qui, prima o poi – scherza il neodirettore – In realtà, il mio legame con questa struttura ha basi concrete. Sono nato proprio in questo Ospedale, dove mio padre era un giovane assistente medico di Radiologia e dove percorse tutta la sua carriera, fino al ruolo di primario di Radioterapia. Sono stato chiamato Maurizio in onore di San Maurizio e l’approdo al Mauriziano, forse, era scritto nel mio destino (l’Ospedale Umberto I, questo il nome originale del Mauriziano, nacque per iniziativa dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, ordine cavalleresco di Casa Savoia nato dalla fusione dell’Ordine Cavalleresco e Religioso di san Maurizio e dell’Ordine per l’Assistenza ai Lebbrosi di san Lazzaro, ndr.)».
È arrivato in un momento di riconoscimenti significativi per l’Ospedale…
«Verissimo: la Chirurgia generale e Oncologica dell’Ospedale ha di recente vinto il primo premio mondiale per il miglior intervento chirurgico epatico mediante tecnica laparoscopica presentato come video: un riconoscimento importante per l’équipe del dottor Alessandro Ferrero, allievo del compianto e indimenticato professor Lorenzo Capussotti. E ad agosto la dottoressa Tiziana Claudia Aranzulla della Cardiologia interventistica, diretta dalla dottoressa Maria Rosa Conte, è stata selezionata tra le dieci migliori donne a livello mondiale nella sua specializzazione, e invitata al convegno internazionale C3 Complex Cardiovascular Catheter Therapeutic per raccontare la sua esperienza. Il nostro primario di Ginecologia, il professor Guido Menato, è stato recentemente chiamato a dirigere la Seconda Clinica Ostetrico-Ginecologica del Sant’Anna, a dimostrazione del valore dei nostri medici. L’Ospedale Mauriziano ha sei reparti a direzione universitaria. Ma sono tanti i professionisti eccellenti che lavorano negli ospedali torinesi e con cui abbiamo il piacere di collaborare».
Dunque, il Mauriziano come hub di riferimento, ma anche come soggetto di una rete?
«Certo, non potrebbe essere altrimenti. Oggigiorno non si può pensare di lavorare in modo isolato. Si deve fare rete con altri ospedali – noi, ad esempio, apparteniamo all’area omogenea Torino Ovest insieme all’Ospedale San Luigi di Orbassano e all’ASL TO 3 – con il territorio e con i medici di Medicina generale. Grazie alle mie esperienze professionali, ho avuto modo di lavorare molto anche sul territorio e mi sono reso conto di quanto sia importante l’integrazione tra il territorio e le strutture ospedaliere. Sia nella fase del prericovero, a partire dal percorso diagnostico, sia, e ancora di più, nel post, quando si tocca il delicato tema delle dimissioni dall’ospedale e della continuità assistenziale ospedale-territorio».
Si riferisce agli anziani?
«Anche. Questa è un’importante e consistente parte della popolazione, che richiede sempre più attenzione da parte delle istituzioni. La vita si allunga e le patologie croniche sono in crescita. Lavorare con il territorio significa anche assicurare che il paziente sia dimesso dall’ospedale in tempi appropriati, evitando quindi di occupare oltre il tempo necessario letti ospedalieri preziosi per altri malati. Ma al tempo stesso la presa in carico del paziente all’atto delle dimissioni deve essere tempestiva da parte delle ASL. Devono essere disponibili tutti i setting assistenziali previsti, la domiciliarità (dall’assistenza domiciliare integrata all’ospedalizzazione a domicilio), il ricovero in RSA, la lungodegenza, la riabilitazione, l’hospice. Solo facendo rete, il sistema può affermarsi come vincente. In questo momento stiamo guardando con ottimismo alla creazione delle Case della Salute (il Valdese e l’Oftalmico a Torino); la Regione e l’ASL Città di Torino stanno lavorando molto in questa direzione».
Il concetto di rete, diceva, vale anche con gli altri ospedali…
«Oggi si sente la necessità di un approccio al paziente sempre più multidisciplinare e multiprofessionale: ad esempio in campo oncologico, qualora un ospedale da solo non possa garantire tutti gli specialisti su una specifica patologia, si strutturano i GIC (Gruppi Interdisciplinari di Cura), anche con la partecipazione di specialisti esterni. È quanto accade anche al Mauriziano, quando a esempio il supporto di un chirurgo toraco-polmonare o di un neurochirurgo (specialità che il nostro ospedale non ha) viene richiesto alla Città della Salute. In Piemonte abbiamo un caso emblematico di rete che tutti ci invidiano: è la rete oncologica creata dall’oncologo dottor Oscar Bertetto. Grazie a questo modello organizzativo, che funziona in maniera eccellente, il paziente oncologico viene preso in carico dai CAS (Centri Accoglienza e Servizi) e seguito in ogni momento del suo percorso diagnosticoterapeutico- riabilitativo dal servizio sanitario, a partire dal medico di base. Lo ripeterò sempre: gli italiani non hanno bisogno di andare all’estero per farsi curare, l’eccellenza ce l’abbiamo in casa. Tanto che iniziano a rivolgersi alle nostre strutture anche pazienti residenti oltre confine, raggiunti dalla fama dei nostri specialisti».
Deve ammettere, però, che esistono anche dei punti deboli nella sanità…
«Non lo nego. Uno degli argomenti più scottanti sono certamente i tempi di attesa, sia per le prestazioni che per i ricoveri. Noi, come tutte le aziende sanitarie, abbiamo come obiettivo la riduzione di questi tempi. Anche il Sovracup unico regionale, di prossima partenza, ci darà sicuramente un grande aiuto in tal senso: tutta l’offerta regionale delle prestazioni erogate dalle strutture pubbliche e anche quelle del privato convenzionato saranno visibili e prenotabili al nuovo Sovracup. Questo è un grande passo in avanti, voluto dalla Regione e dall’assessore alla Sanità Antonino Saitta, che permetterà di avere costantemente sotto controllo l’intera offerta di prestazioni, la domanda e i tempi di attesa, permettendo così di intervenire con tempestività sulle criticità che dovessero manifestarsi. Recentemente, inoltre, la Regione ha stanziato risorse per aumentare l’offerta delle prestazioni che hanno ancora tempi di attesa superiori a quelli massimi previsti: tocca a noi, ora, muoverci andando a riorganizzare in modo mirato tali attività. Questo è l’obiettivo prioritario per il 2018 che la Regione ha dato a tutti i direttori generali».
Si stanno facendo degli investimenti nel settore sanitario?
«Di recente, poco prima dell’inizio del mio mandato, il Mauriziano ha inaugurato il nuovo reparto di Day Hospital e i nuovi ambulatori di Ematologia e Terapie cellulari, in modo da garantire spazi completamente dedicati ai pazienti ematologici. C’è inoltre un progetto per ristrutturare il nostro laboratorio di analisi, che diventerà laboratorio hub per l’area Torino Ovest, in modo da ottimizzare costi e risultati. Il concetto da trasmettere al pubblico è che, concentrando le attività in pochi laboratori super specializzati e tra loro collegati, non si potranno che avere vantaggi in termini di qualità ed efficienza del servizio erogato. Al Mauriziano sono stati fatti recentemente anche grossi investimenti sulle apparecchiature, quali la TAC della Medicina nucleare e l’acceleratore lineare per la radioterapia, grazie alle donazioni della Compagnia di San Paolo. Ora stiamo pensando a una nuova risonanza magnetica nucleare 3 Tesla».
Quali sono, oggi, le priorità del suo mandato?
«Lavorare sul fattore tempo: è un elemento fondamentale in ogni ambito e ancora di più in quello sanitario. Una struttura come la nostra (455 posti letto, 15.300 ricoveri ordinari, 7.300 ricoveri in day hospital, ndr.) ha le dimensioni giuste per poter fare le cose bene e in tempi rapidi. I malati non possono e non devono aspettare. Vi porto un esempio: a giugno, appena arrivato, mi è stata segnalata una carenza nel numero degli anestesisti, specialisti non facili da reperire. Tenendo conto che entro il 23 luglio la Scuola di Specialità di Anestesia e Rianimazione avrebbe diplomato i nuovi specialisti, abbiamo indetto in tempo utile un concorso che il nostro primario anestesista, il dottor Vincenzo Segala, ha espletato il 1° agosto anziché andare in ferie, permettendo così di assumere due nuovi giovani anestesisti già il 16 agosto. Ma non è sempre così semplice. Con l’ASL Città di Torino e l’Assessorato stiamo preparando un ‘piano inverno’ per non farci cogliere impreparati quando arriverà l’epidemia influenzale. Si stanno organizzando un Reparto Polmone qui in sede e una collaborazione per la continuità assistenziale con l’Ospedale Cottolengo e alcune RSA logisticamente vicine al Mauriziano, dove i nostri specialisti potranno ancora seguire, qualora necessario, i pazienti dopo le dimissioni. Su questo tema ci sono molta attenzione e impegno da parte di tutti i nostri medici e infermieri. Si torna qui al discorso delle dimissioni difficili, in particolare degli anziani fragili, di come essi rappresentino un bacino di utenza importante e di come, solo agendo in rete col territorio, si potrà far fronte a questi nuovi bisogni, non solo clinici ma anche, e a volte soprattutto, socio-assistenziali».
Lei è torinese. Cosa ama di più della sua città?
«La tenacia, la costanza, l’umiltà e la riservatezza dei torinesi nel realizzare le cose. Non tante parole, ma fatti concreti. E poi la storia che avvolge la città, i nostri Santi sociali, come Cottolengo e Don Bosco, che hanno realizzato opere meravigliose, la città misteriosa che percepisci passeggiando nelle piazze del centro durante le sere nebbiose d’inverno. Di questa storia noi, come Mauriziano, facciamo fortemente parte. È incredibile quanto il personale di questo Ospedale percepisca ancor oggi il senso di appartenenza all’Ordine Mauriziano, un sentimento che è anche fonte di stimolo e di orgoglio».
Storia dell’Ordine Mauriziano
La costituzione della ‘milizia di San Maurizio’ e la fondazione dell’Ordine Mauriziano si fanno risalire al 1434, quando Amedeo VIII decise di ritirarsi in eremitaggio in Alta Savoia, insieme a cinque cavalieri devoti a San Maurizio, allo scopo di ‘servire Dio, rinunciare al fasto mondano e occuparsi di affari contingenti dello stato’; nel 1439 Amedeo VIII diventa pontefice con il nome di Felice V. Un secolo dopo, su richiesta di Emanuele Filiberto, con la bolla pontificia di Gregorio XIII viene riconosciuto l’Ordine Mauriziano, cui viene concessa la facoltà di fondare commende e priorati sotto la regola cistercense, ma con l’impegno di assistere i bisognosi, gli ammalati, i lebbrosi e di combattere gli eretici e i pirati. Nel 1572 l’Ordine di San Maurizio si fonde con l’Ordine di San Lazzaro, protetto dai pontefici fin dal 1227, ricco di beni e privilegi, possessore di ospedali, lazzaretti e chiese in Oriente e nei regni di Napoli, Sicilia e Francia.
La nascita dell’Ospedale Mauriziano
La costruzione del nuovo Ospedale Mauriziano di Torino inizia nel 1881 per volontà di Umberto I, che lasciò che ‘la scienza medica fosse giudice e arbitro nel dettare le disposizioni dell’edificio’. Il 1° luglio 1885 l’Ospedale Mauriziano Umberto I apre ai ricoveri, con tre padiglioni per uomini e tre per donne, con infermerie e sale operatorie illuminate da grandi vetrate; le aree dei servizi, come la cucina e la raccolta della biancheria, sono collocate nel sottosuolo in corridoi riservati; lungo tutto il perimetro viene creato un fossato coperto allo scopo di rendere sani e abitabili anche i locali seminterrati; per i pazienti ci sono verande, giardini, viali e una biblioteca; nella struttura si insediano gli Uffici del Gran Magistero dell’Ordine Mauriziano. Nel 1886 l’Ospedale Umberto I dispone di 128 posti letto, all’inizio del Novecento ne ha più di 300.
(Foto di MARCO CARULLI e ARCHIVIO)