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di Walter Comello

Neil

Torino, estate 2019

Una cittadina come tante, circondata da pianura e campi coltivati, case basse, poche vie, il campanile, la chiesa, tutti si conoscono e si salutano quando si incontrano. Il paese sa chi sei, chi era tuo padre, sa dev’eri due sere fa, con chi eri, cos’hai fatto, cos’hai bevuto, se eri triste o allegro. Il paese ti guarda, ti guarda sempre, conosce i tuoi segreti, i tuoi drammi, le tue ambizioni, e oggi è un giorno speciale. 20 luglio 1969, Viola Armstrong si è alzata alle cinque e mezza del mattino per andare a messa. Qualche ora dopo, suo figlio Neil sbarcherà sulla Luna. Dopo qualche ora ancora, sempre suo figlio Neil sarà il primo uomo, quello che mette piede per primo sulla Luna.

È il 21 luglio 1969, ore 02:56 UTC. 900 milioni di persone in tutto il mondo stanno vedendo un uomo, solo, che sta compiendo un gesto che segnerà la storia. Neil Armstrong appoggia il piede sulla superficie lunare e la sua voce echeggia in ogni angolo della Terra: «Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'umanità»

«Stiamo aspettando l’autorizzazione a scendere. Ho chiesto di anticipare. Abbiamo rischiato che il carburante non bastasse nello scegliere un luogo più sicuro per l’allunaggio. Sto bene. Chissà come sarà qui fuori. Sento il mio respiro, l’aria che entra e che esce dai miei polmoni, chissà come sarà fuori. Ma cosa stiamo aspettando? Quanto ci impiegano laggiù. Se chiudo gli occhi sento un vuoto allo stomaco come quando ero in Corea sul mio F9F Panther. Volo radente, sfioro le cime delle palme, sento il boato delle bombe che ho appena sganciato, il bagliore del fuoco, il fumo nero, il rumore delle mitragliatrici. Tiro la cloche, il rumore dei motori che arrancano, con la coda dell’occhio vedo le eliche dei motori sulle ali, tutto bene, ancora un passaggio e me ne vado da questo inferno».

I pensieri e i ricordi si fanno sentire in modo distinto nel silenzio. Un interminabile silenzio come il tempo che non passa. La radio dell’Apollo 11 congeda i pensieri e autorizza alla discesa. «Guardo Buzz e Mike, loro guardano me, un cenno, vado. Mentre apro lo sportello penso alla mia famiglia sul divano di casa di fronte alla televisione, i miei figli, mia madre che ha pregato per me e si starà asciugando le lacrime; negli ultimi tempi, orgogliosa, raccontava a tutti che in prima elementare avevo letto in un anno cento libri. Penso al bellissimo sorriso di mia moglie Janet, che ho deciso di sposare dopo averla vista la prima volta». Lo sportello si apre. «Sento dalla NASA che continuano a parlarmi, ascolto, ma non ho una gran voglia di rispondere, ho pensato migliaia di volte a questo momento, a come sarebbe stato, a cosa avrei detto, a cosa dirò tra tre gradini di questa scala, quando appoggerò il piede sul suolo sotto di me. All’ultimo gradino mi fermo, mi guardo intorno, gli occhi mi diventano lucidi, devo trattenermi. Vai Neil!». È il 21 luglio sono le ore 02:56 UTC, 900 milioni di persone in tutto il mondo, nelle case silenziose stipate di gente con il fiato in gola, nei bar affollati e chiassosi, stanno vedendo un uomo, solo, che sta compiendo un gesto che segnerà la storia.

Un gesto per ognuno di loro, perché quel piede non è più suo, è della storia, è di tutti coloro che lo stanno guardando, è di tutti coloro che in ogni angolo della Terra non sanno nulla di quel giorno. Neil appoggia il piede sulla superficie lunare e la sua voce echeggia in ogni angolo della Terra: «Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità». Un secondo passo, un terzo per trovare il giusto equilibrio e laggiù in fondo c’è la Terra. «Non c’è nulla o forse tutto. Non so. Sono leggero ed è facile muoversi. Dalla NASA continuano a parlarmi, io non ho voglia di farlo, sento dentro e intorno a me la presenza di Karen, se non fosse stato per lei ora non sarei qui. Sono entrato nel progetto della NASA subito dopo la sua morte, a due anni per quel maledetto tumore al cervello. Non ho potuto fare nulla per salvarla, ma le avevo promesso che sarei andato da lei». Al ritorno dalla Luna, la navicella fu recuperata in mare; mentre lui e Aldrin aspettavano i sommozzatori, erano terrorizzati all’idea di vomitare e piangere davanti alle telecamere. Proprio uno di quei sommozzatori raccontò: «Ci dissero: “Prima salvate le rocce lunari. Di quelle ne abbiamo solo una borsa, di astronauti ne abbiamo tanti”».