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TOUR ARTISTICO-EMOTIVO ALL'INTERNO DEL CELEBRE MUSEO DEL PRADO DI MADRID; “CASA” DI OPERE STRAORDINARIE DA AMMIRARE ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA. TRA MIGLIAIA DI CAPOLAVORI, ECCO DIECI CONSIGLI IMPERDIBILI
Uno degli “imperdibili” di un fine settimana a Madrid è sicuramente il Museo del Prado, una delle gallerie d’arte più importanti del mondo. Con più di 200 anni, questa oasi di bellezza è diventata un riferimento grazie alla sua vasta collezione di opere di grandi maestri europei. La galleria ha le sue origini nelle collezioni private delle dinastie monarchiche che hanno governato la Spagna nel passato. Sulle sue pareti possiamo ammirare capolavori della pittura spagnola, italiana, fiamminga, francese, tedesca, olandese e britannica. Questo tesoro pittorico comprende più di 27.000 opere i cui gioielli di maggiore attrazione appartengono a Velázquez, El Greco, Goya, Tiziano, Rubens e Bosch.
Se si ha poco tempo a disposizione, lo stesso Museo consiglia di iniziare con una decina di quadri prima ancora di tuffarsi nel suo prezioso scrigno magico. In ordine di gusto, più che di importanza, la mia scelta è caduta su queste dieci opere:
Con più di 200 anni, questa oasi di bellezza è diventata un riferimento grazie alla sua vasta collezione di opere di grandi maestri europeiUna delle più affascinanti tele da ammirare al Prado. Questo olio del 1656 è considerato il capolavoro del pittore spagnolo, quello in cui ha esercitato il massimo sforzo per creare una composizione che fosse insieme complessa e credibile, trasmettendo la sensazione della vita e della realtà, e allo stesso tempo racchiudendo una fitta rete di accezioni. Las Meninas ha un significato immediato, comprensibile a qualsiasi spettatore. È un ritratto di gruppo realizzato in uno spazio specifico e interpretato da personaggi identificabili che compiono azioni definite. Ma, come di consueto in Velázquez, in questa scena in cui la principessa e i servi interrompono ciò che stanno facendo all’apparizione dei re, sono numerosi i sottintesi che appartengono a diversi campi di esperienza e che ne fanno uno dei capolavori della pittura oggetto di vastissimo numero di interpretazioni. Per gli appassionati vale la pena un approfondimento sulle strategie di rappresentazione fatte dall’autore per avvicinarlo alla pittura storica.
Gran parte delle sue opere trattano temi religiosi, ma questo è un ritratto di uno dei nobili di Toledo dipinto intorno al 1580, quando l’artista iniziò a lavorare per la nobiltà della città. Tuttavia, la vera identità del nobile è sconosciuta. Tra le tante speculazioni si è pensato che potrebbe trattarsi di un autoritratto e che il gesto della mano potrebbe essere una sorta di rivendicazione della sua persona. Altri fanno notare che potrebbe invece trattarsi di Cervantes, o Juan de Silva y Rivera, noto nobile spagnolo, e che il gesto della mano sarebbe espressione di un giuramento. Si è di fronte a uno dei più interessanti capolavori del Museo, il cui soggetto è servito per molti anni quale rappresentazione classica dello spagnolo durante il Secolo d’oro (periodo di grande splendore per la Spagna, che va dalla fine del 1400 fino quasi alla fine del 1600).
È il trittico più famoso da vedere al Prado. Quando è chiuso si vede la creazione del mondo. L’artista ha utilizzato i toni di grigio per illustrare il terzo giorno della creazione del mondo, cioè prima che esistessero i colori. Tuttavia, risulta più attraente quando è aperto. Nel pannello di sinistra si coglie l’ultimo giorno della creazione con Adamo ed Eva, ma l’interpretazione del paradiso di Bosch è popolata da strani esseri e macchine. Nella parte centrale appare un grande giardino con molte persone e creature fantastiche attraverso le quali si possono riconoscere la lussuria e tutti i piaceri carnali, come a dirci che l’umanità è diretta verso la sua rovina. Il pannello a destra mostra l’inferno dove dolore, torture, demoni e città in fiamme hanno preso il posto del giardino lussurioso. L’opera ha un’ambientazione simbolica. Da aperto è quando il trittico si chiude simbolicamente davvero, perché nel suo contenuto c’è l’inizio e la fine dell’uomo, con un’accezione moralizzante e satirica al tempo stesso.
Il Museo ospita anche opere di Caravaggio, uno dei grandi nomi del Barocco. Questo dipinto rappresenta la celebre scena della vittoria di Davide contro Golia. Come è consuetudine in Caravaggio, l’autore usa il chiaroscuro che ne accentua il dramma e aggiunge profondità. Fatta eccezione per il corpo del ragazzo, la testa e la mano destra del gigante, l’intero dipinto è al buio. Il tema rappresentato è descritto nella Bibbia (Samuele I.17) e corrisponde al momento in cui il giovane pastore, dopo aver ucciso il colosso con la fionda, ne esibisce in trionfo la testa mozzata. L’episodio della legatura dei capelli di Golia è privo di sfondo iconografico e non trova menzione esplicita nel testo biblico. Questo gesto dimostra ancora una volta l’originalità e l’indipendenza di Caravaggio. L’opera è priva di datazione ma si pensa appartenga a una fase relativamente giovane compresa tra il 1596 e il 1600.
È uno dei capolavori dell’artista di Fuendetodos. Si ritiene sia stato commissionato intorno al 1800 dal primo ministro spagnolo Manuel de Godoy e dalla sua giovane amante Pepita Tudó che fece da modella, e che divenne poi sua moglie. Dipinto fra i più controversi del suo tempo, fu ritenuto indecente tanto da venire confiscato dalla collezione di Godoy dagli investigatori dell’Inquisizione spagnola. In seguito, realizzò La Maja Vestida, versione del dipinto in cui la stessa modella è completamente vestita. Entrambi sono appesi fianco a fianco nel museo.
Opera morale a significare il trionfo della Morte sulle cose mondane, simboleggiata da un grande esercito di scheletri che devastano la Terra. In primo piano, la Morte su un cavallo rossastro, alla testa dei suoi eserciti distrugge il mondo dei vivi condotti in un’enorme bara, senza speranza di salvezza. Il dipinto riproduce un tema comune nella letteratura medievale quale la danza della morte, sovente utilizzata dagli artisti nordici. Bruegel utilizza una tonalità bruno-rossastra, che contribuisce a conferire alla scena un aspetto infernale, adeguato al soggetto raffigurato. Questa scena è influenzata sia dalla tradizione delle danze macabre medievali sia dalle rappresentazioni del trionfo del trapasso nella pittura italiana, mentre il senso moraleggiante risente dell’influenza di Bosch.
Anche il Maestro di Urbino si può ammirare in questo meraviglioso museo. Il dipinto rappresenta uno dei cardinali del Papa. Gli esperti sottolineano le molte somiglianze tra questa opera e la Gioconda di Leonardo da Vinci. Per curiosità, gli storici hanno avuto difficoltà a identificare il cardinale; si ritiene che ciò sia dovuto al fatto che Raffaello idealizza la persona tanto da renderne il volto quasi divino.
Questo olio su tela rappresenta le figlie di Giove trasformate in simboli di bellezza e fertilità, offrendo la metafora di una concezione generosa della vita e del mondo personificata nel corpo femminile. Nelle fonti mitologiche, a cominciare dalla Teogonia di Esiodo, le Grazie accompagnano frequentemente Venere, aggiungendo all’amore e alla fecondità che essa rappresenta una componente di fascino, piacere e gioia. Si tratta di un dipinto molto personale: Rubens deve averlo dipinto per sé, come dimostra il fatto che faceva parte della sua collezione al momento della morte e che non esiste uno schizzo preparatorio come era solito realizzare.
Quest’opera del 1910 rappresenta il culmine di una serie di dipinti con motivi di bambini nell’acqua, in cui i nudi prevalgono nella composizione in misura maggiore che in un altro dipinto dell’artista. Il quadro è frutto del suo lungo e fruttuoso soggiorno a Valencia di circa tre mesi, durante i quali realizza vari capolavori, tra cui anche Il Bagno del Cavallo. I suoi lavori rivelano un essenziale fascino mediterraneo che il pittore ha voluto evidenziare scegliendo una cornice di lesene tuscaniche dalla liscia trabeazione.
E finiamo con l’unico gioiello di Mantegna esposto nel museo che, se si ama l’artista (come nel mio caso), non si può lasciarsi sfuggire. Tra le prime opere realizzate per Ludovico Gonzaga, dopo aver lasciato Padova nel 1459, c’è La Morte della Vergine. L’immagine mostra l’ultimo momento terreno di Maria. Questa meravigliosa tavola dipinta a tempera e oro è un capolavoro per la sua perfetta composizione, risolta attraverso un sapiente contrasto di orizzontali (finestra e letto della Vergine) e verticali (apostoli e lesene), una padronanza della prospettiva e la perfetta e inequivocabile individuazione delle fisionomie degli apostoli. Infine, vi è una sapiente realizzazione del paesaggio, una delle prime vedute topografiche della pittura italiana che mostra il lago intorno a Mantova, il ponte che lo attraversa, e sullo sfondo il Borgo di San Giorgio.
Buona visita!
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(Foto MADRID DESTINO, CULTURA,TURISMO Y NEGOCIO S.A)