È successo a tutti noi: iniziamo a vedere un video su Youtube, e a un certo punto il nostro intrattenitore inserisce all’interno del video stesso quella che un tempo avremmo chiamato “marchetta”. Ovvero, interrompe un po’ il filo del proprio discorso, per consigliarci un gioco o un servizio o una piattaforma online, offrendoci peraltro un interessante codice sconto da utilizzare per assicurarci il prodotto.
È la “nuova” pubblicità online, mischiata a contenuti, e non c’è niente di male. Così mentre seguite il vostro creator preferito che racconta di geopolitica o esplora paesi misteriosi, vi ritrovate a farvi raccontare, ad esempio, di un fortissimo servizio di VPN per proteggere i vostri dati ovunque, scovare sconti mentre cercate voli e altre possibilità.
Ecco, proprio le VPN, ovvero quei servizi che tutelano la nostra navigazione online, sono tra i più frequenti protagonisti di questi “spot”. Perché? Perché è cambiata la nostra sensibilità. Perché un tempo chi spendeva soldi in “protezioni online” era o un matto o un visionario, mentre oggi è l’uomo comune (che qualcosa di simile a quello di Giannini oggi ce l’ha…).
VPN a parte, ecco un po’ di dati: secondo Betanews, oltre il 90% degli attacchi digitali (grandi o piccoli che siano) va a segno. Un numero che non stupisce se pensiamo che circa il 14% delle PMI non si considera abbastanza pronto a ricevere, figuriamoci intercettare, possibili aggressioni informatiche. Gli attacchi più gravosi generano in media dei downtime da almeno 8 ore (che per aziende grosse corrispondono a perdite cospicue), e il 70% dei lavoratori ammette di utilizzare il PC dell’ufficio anche per attività personali (esponendo a rischi password e dati direttamente della persona).
Più nello specifico: il nostro Paese subisce quattro volte più attacchi del resto dei Paesi UE, con il 40% delle imprese italiane che dichiarano di averne subiti. Un numero alto, leggermente in calo, ma che anche qui non stupisce se leggiamo che l’Italia è in fondo alla lista dei Paesi europei nel rapporto PIL/investimenti in cybersecurity.
Sono nate varie iniziative mirate a sostenere le PMI nei loro percorsi di sicurezza e consapevolezza digitale, come l’idea di Cesin Group
Il mercato italiano della sicurezza digitale nel 2023 ha raggiunto i 2,15 miliardi di euro, con un salto in avanti del +16% rispetto al 2022, e con il 68% delle grandi organizzazioni che hanno investito in sicurezza (sforzo necessario per colmare il gap).
Nonostante questi numeri, consultabili con semplicità, molte aziende medio-piccole non riescono a mettere a terra concrete soluzioni di prevenzione e sicurezza digitale. Un po’ perché culturalmente quella informatica può non sembrare ancora una minaccia così pericolosa (e invece decisamente lo è), un po’ perché non ha strutture, budget e know-how per gestire quella che è una piccola transizione pratica e concettuale.
Da questo “buco” (che è quindi una necessità) sono nate varie iniziative, soprattutto territoriali, mirate a sostenere le PMI nei loro percorsi di sicurezza e consapevolezza digitale. Noi, da torinesi, citiamo l’idea interessante di Cesin Group.
Un passo indietro: cos’è Cesin? Si tratta di una realtà nata sul territorio nel 1998, con un DNA spiccatamente digitale, che da sempre diversifica le sue attività per stare al fianco delle imprese, grandi e piccole.
Proprio analizzando la situazione della cybersecurity in Italia è nato il progetto Cyber Guru, un percorso che insegna alle aziende a prevenire, individuare e contrastare gli attacchi informatici in cui l’anello debole è il fattore umano. Uno strumento che protegge le aziende, ma soprattutto forma sul tema della cybersecurity, come ci ha raccontato Igor Fiammazzo fondatore di Cesin Group, che ha deciso di adottare proprio il progetto di Cyber Guru.
«Molte volte capita che la vulnerabilità informatica delle nostre aziende derivi dalla non conoscenza del campo e delle pratiche utili a tutelarci. Abbiamo quindi pensato, oltre che alla protezione tecnica, a moduli “didattici” che con semplicità formino i lavoratori in tema di sicurezza digitale. Da qui Cyber Guru, non tutte le aziende infatti possono dotarsi di chissà quali “scudi”, ma già eliminare dubbi e preoccupazioni su questioni che di per sé sono gestibili autonomamente è un bel passo in avanti. Poi per questioni più serie ci siamo noi».
A noi è piaciuto proprio questo passaggio, perché è un equivoco letale pensare che i “rischi” digitali non riguardino più il fattore umano. Passiamo la palla: voi quanto vi preoccupate della vostra sicurezza informatica?