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Torino, primavera 2020
Tra tutte le parole che ci fanno venire la pelle d’oca, una delle più temute è digitalizzazione. Il solo pensiero di dover cambiare qualcosa, dagli strumenti alle tecniche, dalle abitudini ai metodi, spesso ci spinge a innalzare muri altissimi inducendo una vera e propria allergia al cambiamento, alle nuove tecnologie e a quanto serve per portare a termine quella trasformazione ormai necessaria a migliorare la produttività di un’organizzazione, di una cultura, di un intero ecosistema. La digital transformation, in atto ormai da tempo, ha introdotto una serie di processi di rinnovamento e qualsiasi ambito ne è toccato, qualsiasi professione ne è coinvolta, qualsiasi area della nostra quotidianità ne è colpita, poiché le innovazioni sono di natura culturale oltre che tecnologiche, sono creative ma anche sociali e organizzativo- gestionali, per tutti gli aspetti della nostra società. In Italia esiste uno scollamento incredibilmente ampio tra chi sta cavalcando questo fenomeno e chi tenta di arginarlo. Di fatto, la digitalizzazione delle imprese rappresenta oggi una sfida cruciale per stimolare l’intero sistema italiano, da sempre caratterizzato prevalentemente da micro realtà. Basti pensare che, dei 5 milioni di partite IVA attive, quasi il 95% è composto da strutture che non arrivano a 15 dipendenti, il resto sono PMI, mentre per le grandi imprese non contiamo le 5mila unità.
La digitalizzazione delle imprese rappresenta, oggi, una sfida cruciale per stimolare l'intero sistema italiano, da sempre caratterizzato prevalentemente da micro realtà. Oltre la metà di esse, però, investe meno dell’1% del suo fatturato in progetti di digitalizzazione
Questa enorme frammentazione, che oggi caratterizza fortemente il nostro Paese, è il primo ostacolo al suo stesso sviluppo. Il contesto è di fatto competitivo e poco collaborativo, e non esistendo una spinta innovativa indipendente, lo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche e delle idee innovative passa per lo più attraverso la costruzione di reti di imprese in quei distretti produttivi nati in passato in alcune aree geografiche italiane. Oltre la metà delle aziende italiane investe meno dell’1% del suo fatturato in progetti di digitalizzazione e, quando lo fa, le priorità sono rivolte a processi obbligatori come la gestione aziendale, pensata non tanto per competere al meglio, quanto per rispondere a vincoli normativi come il tracciamento della filiera produttiva o la fatturazione elettronica.
Lo scenario cambia se guardiamo alle grandi aziende, dove gli investimenti nella trasformazione digitale ricoprono un ruolo primario, così come accade nelle PMI, che si stanno orientando sempre più verso l’acquisizione e lo sviluppo di tecnologie in grado di migliorare il loro approccio al mercato. Molte indagini svolte hanno mostrato come le criticità nella diffusione del digitale siano da ricercare principalmente nelle resistenze al cambiamento di chi si concentra sulle attività produttive, siano essi professionisti e imprenditori nelle micro aziende o il personale interno delle stesse: poiché costretto a subire l’innovazione, preferisce combatterla, testimoniando il fatto che la vera resistenza è radicata a livello culturale, dove la maggior parte degli attori gioca in difesa. Possiamo e vogliamo uscire da questa condizione? Innovare è un aspetto primario della crescita, ma dobbiamo aprire gli occhi e diventare attori del cambiamento senza lasciare che gli altri lo siano al posto nostro.