Home > People > Interviste > Franco e Carlo Alberto Benech: Eccellenze torinesi
UNA STORIA DI COMPETENZA, FAMIGLIA E DI TORINO NEL MONDO
È una bella storia di famiglia, come quelle che ogni tanto ci pregiamo di raccontare dalle nostre pagine, quella di Franco Benech e di suo figlio Carlo Alberto. Storie indipendenti ma anche storie di unione, rapporti familiari, fiducia e stima reciproche. Non è scontato. D’altronde il confronto tra generazioni è pur sempre un confronto, a volte animato, spesso complesso, in cui capita molto comunemente che manchi quell’equilibrio utile a convivere e crescere. Quando, invece, questo succede, allora è “una bella storia”, e come tale vale la pena di raccontarla. Denominatore comune di questo racconto, l’eccellenza professionale e soprattutto la “torinesità”, elementi chiave nella narrazione tipica di Torino Magazine. Una storia per noi attraente, che si basa su un’eredità professionale e di valori (quella di Franco) e sulla capacità di Carlo Alberto di accoglierla.
Come possiamo cominciare il racconto, Franco?
«Sostanzialmente con quello che hai detto, è una bella storia perché è un bel percorso e una fortuna, per un uomo come me, che ha dedicato tutta la vita alla medicina, e continua a farlo, sapere di aver incrociato la stima di suo figlio, che ha intrapreso con determinazione e volontà una strada tanto simile alla mia».
Un percorso che ha fatto il giro del mondo, ma che alla fine ha voluto mantenere qui il proprio centro di gravità permanente, come direbbe Battiato…
«Esattamente così, Torino per me e la mia famiglia è sempre stata centrale e oggi lo è ancora di più; è certamente una questione di scelte, a volte anche difficili, ma sapere che abbiamo raggiunto l’eccellenza nel nostro settore, e l’abbiamo fatto nella nostra città, ci riempie di orgoglio».
Lo si legge anche negli occhi di Carlo Alberto, la “torinesità” è un elemento che spesso va oltre la professione o la passione.
«Hai inteso bene, per me come per mio padre questo passaggio è fondamentale: nello sviluppo del nostro lavoro non è sufficiente raggiungere un altissimo grado di professionalità, perché questo deve accadere in stretta connessione con il luogo in cui operiamo e che abbiamo scelto, una Torino che ci vede come pionieri di tecnologie e innovazione».
La tecnologia galoppa e dobbiamo avere l'intelligenza, la competenza e la sensibilità adatte per plasmarla in base alle nostre necessità. La dimensione umana in questo processo è irrinunciabile
Parli della chirurgia robotica spinale?
«Sì, parlo della robotica al servizio della medicina e, nello specifico, della neurochirurgia. Vedere come l’esperienza dell’uomo raggiunge traguardi inimmaginabili grazie alla robotizzazione è una grande soddisfazione, ed essere stati tra i primi a crederci fortemente aumenta la determinazione a riporre la massima fiducia in questi strumenti. I nuovi robot permettono di intervenire su spondilolistesi, stenosi lombare ed ernie del disco, ma anche su fratture vertebrali e discopatie, con maggiore precisione, riducendo le possibilità di errore; questo è ormai un dato acquisito, e vedere i colleghi che vengono da noi, qui a Torino, per apprendere questa tecnica è un grande onore».
Franco, quindi, è arrivato il momento in cui i robot sostituiranno gli uomini?
«Quello che accadrà in futuro non è ancora prevedibile, ma possiamo dire che i robot oggi amplificano le opportunità e migliorano le prestazioni umane. La macchina non sostituisce l’uomo e la mano del chirurgo è fondamentale per assicurare la delicatezza necessaria e per verificare l’effettivo svolgimento della precedente programmazione. Il robot a nostra disposizione migliora la precisione d’intervento. Rifiutare l’apporto robotico nella sanità è come continuare a navigare con la bussola quando si hanno a disposizione GPS di ultima generazione. Credo ci si debba proiettare nel futuro senza preoccupazioni sterili».
La tecnologia è dunque un elemento imprescindibile nella chirurgia di alto livello?
«Assolutamente. Per crescere non si può prescindere dalla ricerca, e quindi dagli investimenti. Credo che la sanità italiana (e torinese) possa essere all’avanguardia ma solo se investe. Abbiamo tantissimi medici dalle grandi conoscenze, se però manca il supporto economico alle nuove tecnologie, alla ricerca e alla formazione, si resta indietro, è inevitabile».
Perciò il futuro è umano, tecnologico, torinese…
«Robot come quelli di oggi fino a qualche anno fa non erano nemmeno immaginabili. La tecnologia galoppa e dobbiamo avere l’intelligenza, la competenza e la sensibilità adatte per plasmarla in base alle nostre necessità. La dimensione umana in questo processo è irrinunciabile. D’altronde tutto il nostro lavoro nasce per trovare soluzioni a complessità di umani, non di robot. Affiancare innovazione e umanità è il futuro, a cui aggiungiamo una nota personale, quella “torinesità” di cui abbiamo parlato e che ci spinge sempre un passo avanti. Lavorare e progettare per noi stessi, per la famiglia e per la nostra città è un ulteriore stimolo».
Torino è sempre stata un’eccellenza sanitaria. Come la vedete oggi e come deve essere domani?
«Noi abbiamo le idee, Torino è sempre stata all’avanguardia, le difficoltà stanno nello svilupparle e nel trarne profitto. Dobbiamo aprirci di più all’esterno. Dobbiamo focalizzarci sulla sanità come su uno dei motori dell’economia: nel capoluogo lombardo anche i taxi, gli alberghi, gli affittacamere traggono vantaggio come indotto di un meccanismo che funziona. È imbarazzante quando i taxisti mi dicono che aspettano la partita della Juventus per lavorare… Perché dal Sud, ma anche da Novara, i pazienti vanno a Milano? La nostra a volte è la regione del no, della stasi. Torino ha invece tutte le carte in regola per confrontarsi con il mondo: l’esperienza di queste settimane, mia a Dubai e di Carlo Alberto a Orlando, dimostra alla perfezione quanto le risorse torinesi siano indispensabili e pronte a portare la loro competenza a livello internazionale».
Carlo Alberto, la tua visione?
«Non è una visione del tutto negativa, le cose messe in evidenza da mio padre sono davanti agli occhi di tutti, ma le potenzialità ci sono, devono essere concretizzate. Anche Torino deve diventare punto di riferimento per i pazienti di tutta Italia, come centro di sviluppo, assistenza e attrazione medica, allo stesso odo di Politecnico e università. Quello che noi abbiamo sperimentato con la nostra robotica deve diventare prassi comune, questo è luogo d’eccellenza medica in più ambiti e la città ne beneficerà in modo enorme. Attorno alla sanità, alla qualità delle cure, alla cultura dell’accoglienza, ci sono moltissimi settori che possono trovare grandi impulsi ed essere un volano significativo a favore del benessere della città intera».
Consentitemi un passaggio tipicamente torinese: quali sono i luoghi amati della città, gli angoli a cui siete legati, i ristoranti che fin da Cavour sono molto più che semplici luoghi dove mangiare? E poi le montagne dei torinesi, lo sport fondamentale per la salute… Carlo Alberto, raccontaci un angolo di intimità della famiglia.
«Parto dal fondo, lo sport è fondamentale nella vita di un uomo. Io sono socio dello Sporting da quando ho tre anni e mia figlia, nata il 21 giugno 2017, l’ho iscritta praticamente appena nata. Attività fisica e aria buona sono elementi chiave per il nostro benessere e, come per tanti torinesi, anche per noi montagna fa rima con Sansicario, mentre l’estate è Sardegna sicuramente. I match allo Sporting, le partite al Golf Club di Torino, le corse in piazza d’Armi… il tempo libero amo dedicarlo a queste attività. E ovviamente alla famiglia, a mia figlia, a mia moglie Elena, anche lei medico, oculista figlia di oculisti, conosciuta al bancone del Bastimento, uno dei miei ristoranti preferiti in città».
Franco, in due battute, se ti dico “sport e cena” cosa mi rispondi?
«Beh, sport ovviamente la Juventus, di cui sono tifoso e consulente ufficiale per la microchirurgia, di fondamentale importanza a quei livelli. Per il ristorante abbi pazienza tu, che hai girato il mondo e cercato le tendenze più attuali… Ma io sono inevitabilmente legato alla mia cara tradizione e al menù senza tempo del Gatto Nero».
(Foto Foto di MARCO CARULLI, GIULIANO MARCHISCIANO e ARCHIVIO FRANCO BENECH)