Home > People > Editoriali > Storie dal set > I giorni perfetti di Hirayama
Torino, Primavera 2024
Quando un film di Win Wenders compare in sala, è difficile che non sia sold out. Importante esponente del Nuovo Cinema tedesco, artista e intellettuale di indiscussa bravura, vincitore di prestigiosi premi come il Leone d’oro di Venezia, la Palma d’oro di Cannes e l’Orso d’oro di Berlino alla carriera, ha diretto Perfect Days (2023), il film che ha conquistato di nuovo Cannes, la critica e il pubblico in sala. Wenders ha scelto di nuovo Tokyo per raccontare le giornate, non esattamente la storia, di Hirayama, sessantenne giapponese addetto alla pulizia dei bagni pubblici. Il racconto è ridotto ai minimi termini, soprattutto, alla maniacale ripetizione di gesti quotidiani come la cura delle piante abbandonate o la consumazione di un pasto frugale in solitudine al parco. I dialoghi sono ridotti all’osso, sembra quasi che il protagonista abbia fatto voto di silenzio. Qualche incontro fugace interrompe la routine: Takashi, il ragazzo che svolge il turno di pulizia pomeridiano, una ragazza che frequenta il parco, un senzatetto, una nipote fuggitiva e la proprietaria di un ristorante. La scelta di Wenders è drastica, non spiega le ragioni del cambiamento nella vita del protagonista che in passato è stato un manager, come dichiara il regista in un’intervista, né evoca mai il suo passato.
Il tema caro a Wenders torna ad essere l’inscalfibile pace interiore raggiunta attraverso la contemplazione delle piccole cose
Appare evidente che il tema caro a Wenders torna ad essere, come in passato, l’inscalfibile pace interiore raggiunta attraverso la contemplazione delle piccole cose, come lo stormir di fronde di un albero, immagine che ogni mattina lo commuove puntando lo sguardo dalla finestre. Nessun twist narrativo, neppure quando il suo passato accenna a riemergere. Certo, la ricerca della più pura felicità scevra da ogni condizionamento, non è un tema nuovo, anzi, spesso trattato con il rischio di scadere nella banalità. Con maestria Wenders ha saputo garantire grazia e leggerezza delegando alla musica il trasporto delle emozioni: Lou Reed, Patti Smith, The Animals, Van Morrison, Otis Redding, Nina Simone. La raffinata scelta di un mondo rigorosamente analogico in cui il protagonista scatta fotografie su pellicola e ascolta musica da nastri registrati aumenta il fascino di questo film che sfiora i confini del documentario. La maniacalità e la serenità con cui Hirayama esegue il lavoro più umile, l’essenzialità estrema, quasi avvilente del suo piccolo alloggio, l’assenza di rapporti sociali rendono perfettamente l’idea che il Maestro voleva comunicare, eppure, qualche spettatore si è sentito smarrito. Sarebbe stato interessante conoscere il percorso di una persona che decide di cambiare drasticamente la propria vita perché assomiglia al desiderio segreto di molti di noi, proprio come quello di raggiungere l’estasi interiore. Sarebbe stato bello conoscere il turbamento della nipote adolescente che fugge da casa, perché avrebbe accolto il disagio di tanti coetanei. Sarebbe stato bello capire perché la vita di un uomo finisce in strada. Perché, in fondo, le storie non sono mai banali se la narrativa è sublime.