PASSIAMO DA PIAZZA VITTORIO E NON SCENDIAMO. ANCORA POCHE FERMATE ED ENTRIAMO IN VANCHIGLIA. PASSEGGIAMO CHE C'È QUEL CLIMA CHE FA FRESCO, COL VENTICELLO E LE FOGLIE GIÀ AUTUNNALI, DI QUELLE CHE CI FACEVA DISEGNARE LA MAESTRA DA BAMBINI
«Ciao».
«Ciao».
«Passate bene le vacanze?».
«Sì, dai, abbastanza».
«Abbastanza?».
«Sai, c’è troppa aspettativa sulle vacanze».
«Già, ma come si fa a essere all’altezza di una cosa aspettata così a lungo?».
«È complicato».
«Quest’anno erano tutti in Croazia».
«È vero».
«Magari ci vado l’anno prossimo, se è passata un po’ di moda».
«Secondo me siamo solo all’inizio».
«Dicevi dell’aspettativa, io ho aspettato mesi per rivederti. Sono fregato, vero?».
«No, devi solo stupirmi, magari un po’ più del solito».
«Di solito ti stupisco?».
«Direi di sì».
«Bene, sono felice. Riparto da lì. Riparto da una quotidianità recuperata, da un itinerario fatto apposta per far parlare te, per raccontarmi quel che hai fatto e cosa ci sarebbe da cambiare. Una di quelle chiacchierate in cui ti dico che mi piacerebbe andare in Thailandia e che il problema sono i voli, ma se li prendi a dicembre te la cavi senza spendere troppo. E magari non ci andremo mai in Thailandia, ma in questo spazio post-estate uno può progettare un po’ quello che gli pare, senza impegno».
«Ci sono un sacco di cose che vorrei progettare senza fare mai».
«E io le voglio sapere tutte».
«Tutte tutte?».
«Beh, non tutte tutte, magari lasciamoci qualcosa da fare prima o poi».
«Va bene. Che ci serve?».
«Allora, sono fondamentali dei tavolini, qualche caffè, un paio di viaggi in tram e possibilmente un cielo semi azzurro e poi blu, con la luna non troppo piena».
«Perché non piena?».
«Per lasciarla un po’ incompleta,
come questi progetti».
«Mi fido. Vámonos. Piazza Vittorio?».
«E no, devo stupirti, ricordi?».
«Ah già».
«Partiamo da un bar in via di Nanni che fa il caffè leccese, che quest’anno non sono sceso in Puglia e buono lo trovi solo qui. Se ti chiede se lo vuoi col latte di cocco ringrazia pure, ma pretendi quello di mandorla che l’originale è insuperabile».
«Me lo segno».
«Poi prendiamo il 15, in piazza Sabotino, così ti siedi e mi racconti tutto mentre tagliamo la città a metà».
«Dove andiamo?».
«Passiamo da piazza Vittorio e non scendiamo. Ancora poche fermate ed entriamo in Vanchiglia. Passeggiamo che c’è quel clima che fa fresco, col venticello e le foglie già autunnali, di quelle che ci faceva disegnare la maestra da bambini».
«Adoravo disegnare».
«Non sono mai stato bravo. Qui vicino, in corso Belgio, un’amica mi portava a vedere film d’autore, a volte in lingua, che dopo mi lasciavano strano dentro».
«Strano come?».
«Come se non sapessi spiegarti se mi sia piaciuto per davvero il film, o se è il fascino dell’idea e di certe piccole sale cinematografiche a fare tutto».
«Credo non importi, bel film o belle sensazioni, sei stato bene in fondo».
«Hai ragione. E passeggiando passiamo in via Buniva, dove stasera verremo a bere qualcosa e ad ascoltare chi suona dal vivo al Margò. Che poi esci e ti suonano un po’ le orecchie e la musica magari non sarà fatta bene ma fra le luci, il gin e te, esci sempre felice».
«Che bella immagine».
«Però, adesso abbiamo un’altra tappa. Un posto in via Bologna in cui la parola d’ordine è condividere. Fra orologi alla ‘Hugo Cabret’, fusi orari del mondo e sapori iberici».
«Capisco poco».
«Scusami. È un locale che chiamarlo locale è un po’ impreciso, un’idea dello chef spagnolo Ferran Adrià insieme a Lavazza, disegnata da Dante Ferretti».
«Lo scenografo?».
«Sì, lui, quello degli oscar con Scorsese».
«Uao. Sarà speciale».
«Molto, e se devo stupirti mi gioco questa carta».
«E poi come fai?».
«Nel senso?».
«Poi come fai a stupirmi ancora?».
«Mi provochi?».
«Un pochino».
«Ho tanti assi nella manica. Dopo ti porto a passeggiare sulla Dora, eterno secondo fiume di Torino. E così ti racconto di Héctor Cúper, eterno secondo pure lui, e del fascino che solo certi secondi riescono ad avere, e che forse vincendo avrebbero un po’ perso».
«Beh, qualcuno dovrà perdere».
«Esattamente, serve anche quella parte di mondo. Quella parte che passa in secondo piano ma riempie un vuoto. Come il brunch».
«Ora non ti seguo».
«Riempie un vuoto, il brunch, quello della domenica che ti svegli alle 11 e non sai se fare colazione o pranzare».
«Mi piacciono molto i brunch».
«Credo che il brunch sia l’ultimo passo nella scala degli inviti a una ragazza».
«Che scala?».
«Prima l’invito fuori, poi la colazione, la merenda, il pranzo e poi, più impegnativa, la cena. E se arrivi al brunch ce l’hai fatta».
«Sono curiosa adesso».
«Diciamo che se riesco a farti alzare la domenica mattina per farti uscire e per offrirti pancake, succo, salsiccia o torte salate e cupcake, vuol dire che mi vuoi molto bene».
«Ha una sua logica».
«A cena ti va se andiamo al Contesto Alimentare?».
«Ho scelta?».
«Facciamo che te lo racconto e decidi. Allora, è un posticino piccolo in via Accademia, avrà sette tavoli; proprietari giovani, cortesi, fissati con le materie prime e con i vini ricercati».
«Ci sta».
«Meglio chiamare».
«Poi la musica al Margò e un’ultima cartolina. Un po’ di tempo fa abbiamo conosciuto dei belgi, i soliti amici di amici, e li abbiamo portati a parco Europa. Da lì vedi la città, illuminata, e davanti alla vastità fatta piccola ti accorgi di quante cose potremmo fare quando tornerai».
«Non vedo l’ora».
«Un bel programma, eh, ti ho stupito?».
«Sì, dai».
«Porta il cappottino che farà fresco la sera».
«Va bene. Ah, una cosa, poi mi inviti per un brunch?».
«D’accordo. Grazie».
(foto ROBERTA LAVAGNO)