Sigarette alla fermata di tram mai presi
Chi ama Torino non può non amare i tram, che li prenda o meno. Avevo un amico che arrivava sempre in anticipo, a qualunque tipo di appuntamento. Per ingannare l’attesa si sedeva alla fermata del bus più vicina, si accendeva una sigaretta e aspettava, in silenzio. Una volta l’ho incontrato in piazza Zara, dovevamo vederci lì vicino. Gli ho chiesto che ci facesse lì e me l’ha spiegato: sta lì seduto perché così la gente pensa faccia qualcosa, «aspetta l’autobus», ma poi lui non sale mai, e li frega tutti. A una certa guarda l’orologio e se ne va. «Sui tram ci si innamora una volta al giorno», si diceva fra noi al liceo. E ora mi viene da pensare che c’è pure qualcuno che il tram non lo prende mai, lo aspetta per gioco. A Torino succede anche questo, probabilmente non solo a Torino, però adesso, ogni volta che vedo un ragazzo a una fermata del tram, mi chiedo se lo aspetti per davvero.
Quelli del primo sole
Arriva quel momento dell’anno in cui non sai come vestirti, che esci la mattina col freddo e sudi al pomeriggio col caldo; che la sera magari metti ancora il cappello e di giorno, mentre attraversi piazza San Carlo, vorresti sempre avere un paio di occhiali da sole. Funziona così a Torino. Penso c’entri anche la chimica, io ne so poco di chimica, però credo che quei raggi caldi sulla pelle ancora fredda dall’inverno ci ricarichino. In qualche maniera. E poi finalmente li vedi, seduti su una panchina al parco, alla fermata del 15 in piazza Vittorio, seduti ai bordi di Palazzo Nuovo: sono quelli del primo sole. Quelli con gli occhi chiusi, lo sguardo in su, l’animo sereno e solitamente pure quelli in anticipo, che passano il tempo in qualche modo. Aspettano tutti qualcosa (d’altronde chi non aspetta qualcosa?) e nel frattempo fanno compagnia al sole, appena tornato, che ricambia la cortesia e dolcemente accarezza loro il viso.
La ragazza che andava al cinema da sola
Un amico l’altro giorno è rimasto chiuso fuori casa: con sano pragmatismo, prima di innervosirsi più del dovuto, si è recato in un ristorante cinese di via Lancia e ha cenato, da solo. A me è venuta in mente la storia della ragazza che andava al cinema da sola. A lei non interessava neanche dire agli altri che sarebbe andata al cinema, figuriamoci portarsi qualcuno dietro. A volte veniva scelto un eletto, uno che commentasse dopo e non durante, uno a cui il film non piacesse per forza soltanto perché seduto di fianco a lei, che avrebbe reso bello ogni film. Per questi e altri motivi spesso lei andava da sola. Cambiava cinema per non diventare un’habituée, variava lingua perché non fosse per tutti. Allora era importante solo il film, anche lei stessa passava in secondo piano, figuriamoci il mondo attorno. L’ho sempre ammirata. Era capace di vivere quei momenti senza farsi distrarre, io non ci sono mai riuscito.
A ognuno il suo… panino
Chiunque è avvezzo a certe ore della notte sa che la prima domanda una volta conclusa la serata è «dove andiamo a mangiare?». Ancora prima delle info su chi ti riporterà a casa. Chi ha fame vuole mangiare, chi non ce l’ha sente di dover nutrire un rituale che non può essere tradito. Ognuno ha il suo posto, i più esperti ne hanno più d’uno, divisi per categorie fra offerta gastronomica e zona. C’è chi conclude la serata in corso Moncalieri, fra un ultimo giro di cocktail, i brividi d’umidità che salgono dal Po e un ennesimo «a me la techno proprio non piace», e ha il paninaro di fiducia in corso Unione. Ed è lì che andrà. C’è un bizzarro romanticismo in tutto ciò, strade quasi deserte, semafori lampeggianti, silenzi che non creano imbarazzo, le luci dei lampioni che si stagliano nel cielo scuro, profumo di carne bruciacchiata. A certe ore anche Torino sembra dormire, e ci si affeziona subito alla città che riposa.
(Foto di ROBERTA LAVAGNO)