IN QUESTA ESTATE DI TURISMO TUTTO ITALIANO, ABBIAMO IMMAGINATO DI ACCOGLIERE I PARENTI AMERICANI. E CI SIAMO TRASFORMATI PER 48 ORE IN GUIDE TURISTICHE DELLA CITTÀ
Sono davanti al binario numero 8 in attesa del treno in arrivo da Milano. Mia cugina Maria, con i due figli Glen e Anay, approfittando del viaggio in Italia per lavoro del marito, ha deciso di venirmi a trovare. Maria e io siamo cresciuti insieme in un paesino della Romagna, poi la vita ci ha separati, io a Torino e lei in America. Scendono dal treno tutti e tre sorridenti. La novità di visitare Torino in 48 ore li affascina. Inizia così la mia missione di guida, la visita di una città può avere successo solo se accompagnati da una guida brillante, esperta e affabulatrice, e io modestamente lo fui. Subito un colpo di teatro con la sala Gonin, un gioiello di decorazioni e arredi della Torino barocca nascosto all’interno della stazione Porta Nuova. Progettata nel 1864 come sala d’attesa per la famiglia reale, è ignorata dalla maggior parte dei torinesi.
Spesso le stazioni centrali delle grandi città sono luoghi insignificanti, se non addirittura pessimi. Non così a Torino; con l’imponente porticato e la grande vetrata semicircolare, il tutto affacciato sulla piazza Carlo Felice, con il suo ottocentesco giardino. Per far gustare meglio Torino, entriamo nella storica ed elegante Confetteria Avignano, e ne usciamo con una scatola di cioccolatini ripieni di crema di marroni, creme di gianduia, cremini alla nocciola. Proseguiamo per via Roma, la via dello shopping, e percorriamo il tratto verso piazza CLN, palcoscenico dell’arte ai tempi del ventennio, fascino ed eleganza che ci rendono orgogliosi di vivere, e mostrare a chi è a spasso con noi, una città bella e diversa. L’esplosione di eleganza nelle vetrine delle boutique assorbe in modo compulsivo ogni briciola di interesse dei miei ospiti.
In piazza CLN li riporto a terra per far scoprire che, seppure a distanza di cento anni, le linee e le forme di un’architettura chiamata razionalista, lontana dal Barocco e dal Liberty di cui Torino è ricca, sono di una modernità e di un fascino fuori dal comune. Pochi metri, passando di fianco alle due chiese, e facciamo un salto di 300 anni entrando in piazza San Carlo, salotto mistico e nobilissimo di Torino, gioiello architettonico dei Castellamonte e Juvarra.
Numerosi palazzi nobiliari si affacciano sulla piazza, così come storici bar e déhors, e al centro il monumento equestre di Emanuele Filiberto, rappresentato da Carlo Marochetti nell’atto di ringuainare la spada dopo la battaglia di San Quintino del 1557.
Puntiamo verso via Lagrange, sbirciando tra il lusso delle boutique e gli androni di palazzi famosi.
Svoltiamo in via Mazzini ed entriamo nell’elegante piazza Bodoni. Protagonisti il Conservatorio Giuseppe Verdi e, lì in mezzo, la statua del generale Alfonso Lamarmora a cavallo, di cui narro ai ragazzi difetti e virtù che l’hanno tormentato per tutta la vita, affidandolo alle armonie di Verdi che riecheggiano nella piazza.
Attraversiamo corso Vittorio all’altezza del ponte Re Umberto I ed entriamo trionfanti sotto l’Arco di Trionfo: sì, perché anche Torino, e non solo Parigi, ha il suo Arco. È l’entrata sontuosa del Parco del Valentino, un verde giardino col suo fiume. Passiamo davanti al Castello del Valentino, con i suoi tetti parigini, e alla Promotrice delle Belle Arti.
Ritengo di far loro piacere nel condurli, superando il ponte levatoio, in un antico castello nel Borgo Medievale. Il Borgo, costruito nel 1884 sul modello di un castello valdostano, sorge sulle rive del Po e vi si entra dal ponte levatoio. All’interno rivive la magia dei secoli passati: la chiesa, la bottega del ferro battuto, la stamperia, i prodotti tipici, e poi la maestosa Rocca su quattro piani. Al suo interno stanze, cucine e addirittura una prigione al piano interrato.
Per tenere in tensione i ragazzi, racconto dell’esistenza di un trabocchetto dove oggi finiscono i turisti ingenui… Scendiamo sul retro del Castello del Valentino e, guardando in su verso l’alto, invito i tre a immaginare per un istante che possa apparire Maria Cristina, la Madama Reale, che si affaccia da quella finestra, da quella stanza, che plaude ai giochi sull’acqua in suo onore, pronta a passare dai piaceri mondani alle penitenze più severe.
Prendiamo una scaletta di pietre che scende verso il fiume e ci troviamo nel mitico ristorante Imbarco Perosino, un posto talmente nell’acqua che le anatre passeggiano tra i tavoli. Qui un tempo si trovava l’approdo delle barche reali, ora roccaforte di una tradizione gastronomica piemontese tramandata di madre in figlia: pranzetto delizioso con le anatre che si rincorrono scivolando sull’acqua.
In corso Vittorio prendiamo al volo il tram 16 per arrivare in via Montebello, e ci appare lei, la Mole, in tutta la sua smisurata e disumana grandezza.
Entriamo e saliamo direttamente con l’ascensore al tempietto posto a 85 metri, per vedere la città dall’alto, e salendo sembra di fare una ripresa cinematografica, con le rampe elicoidali allestite di drappi e immagini come grande area espositiva in verticale. L’interno nudo della Mole non si vede più, ma, se sdraiati sulle chaise longue alziamo lo sguardo, ci appare la grande cupola, l’immenso ci avvolge. Per recuperare l’equilibrio della nostra dimensione, accostiamo l’orecchio all’audio e assistiamo alla cavalcata di immagini che passano proiettate in 35 mm sui grandi schermi.
In via Verdi entriamo nella sede dell’Università degli Studi, fondata nel 1720 e frequentata nel tempo dai nomi più illustri delle scienze e della cultura; adorna il cortile quadrato una serie di porticati e colonne sormontati da una galleria superiore. Di fronte sono i resti del complesso dell’Accademia Militare, costruito intorno al 1740, parzialmente distrutto dai bombardamenti e ora recuperato come ‘Cavallerizza’, da maneggio reale a libero teatro, dal cui cortile si può accedere ai Giardini Reali.
A ridosso c’è il Teatro Regio, distrutto da un incendio nel 1936 e ricostruito nel 1973 su progetto dell’architetto Mollino, che ora possiamo ammirare in tutta la sua elegante bellezza.
Siamo in piazza Castello e passiamo davanti a Palazzo Reale. Un sipario divide la piazza dalla piazzetta Reale. È la monumentale cancellata di Pelagio Palagi, ornata di candelabri e pannelli con simboli mitologici nella parte centrale. Parlando di ‘reami’ e di favole, racconto che non erano i sudditi armati a proteggere i sonni della famiglia reale, ma le figure mitologiche dei Dioscuri, le due statue equestri, Castore e Polluce, simboli di valori eroici e di virtù, poste specularmente alla sommità dei due pilastri centrali. Proseguiamo dritti per entrare nella chiesa di San Lorenzo, opera del Guarini: chiedo di aguzzare la vista perché il ‘malefico’ abate ha costruito la volta della cupola in modo che si possa riconoscere un’immagine demoniaca che, appena scoperta, ci lascia turbati.
È sera, la giornata è stata lunga, il caldo estivo si fa sentire, le belle immagini del giorno vissuto restano impresse per essere un giorno ritrovate, le impressioni nutrono lo spirito, ma il corpo reclama. Due passi nel Quadrilatero Romano, un tempo zona da evitare, diventata ora passeggiata inevitabile per vedere «le mura e gli archi e le colonne e i simulacri e l’erme torri degli avi nostri», tra scavi, Torri Palatine, tratti di mura che cintavano l’antica Taurinorum. E dopo aver calpestato con orgoglio le strade della nostra storia, decidiamo di mettere i piedi sotto un tavolo e, assaporando i gusti del luogo, ci godiamo la serata aprendo occhi e cuore allo spettacolo della gente. A sera inoltrata ci auguriamo la buona notte davanti all’Hotel NH Santo Stefano
Un po’ di storia. Gliel’avevano appena data, la Sicilia, che solo un anno dopo gli chiesero di lasciarla e prendersi in cambio un’isola di sassi come la Sardegna. Vittorio Amedeo II, obtorto collo, accettò e se ne partì per Torino carico di beni e, soprattutto, accompagnato da un affermato architetto: Filippo Juvarra, che nei 20 anni trascorsi a Torino dal 1715 al 1735 trasformò città e dintorni.
Maria Giovanna Battista di Savoia, seconda Madama Reale, lo ingaggia subito chiedendo un ingresso fastoso per il castello millenario degli Acaja, in cui risiede. Juvarra disegna la grandiosa facciata di quel palazzo che è qui davanti a noi: Palazzo Madama.
Mentre ci avviciniamo, i ragazzi restano sorpresi dalla fontana a scomparsa in mezzo alla piazza e si lanciano tra gli spruzzi d’acqua. Io e Maria saliamo i monumentali scaloni per raggiungere la veranda. L’architetto tenne conto del desiderio della Madama Reale affinché l’asse della via, allora Dora Grossa (oggi via Garibaldi), da lui fatta allargare, coincidesse con l’asse del portico d’ingresso del Castello, che prese da lei il nome di Palazzo Madama.
Qui nasce l’altra Torino: quella magica. Era l’anno 1559, Nostradamus era alla Corte Savoiarda per favorire la nascita di un futuro figlio di Margherita di Savoia e di Emanuele Filiberto e predirne il sesso. Non secondario era l’altro motivo, quello di sostenere il duca nell’allestimento di un laboratorio alchemico nei sotterranei di Palazzo Madama. In questa Torino misteriosa pare che chilometri di gallerie colleghino i sotterranei di palazzo Madama fino alla cripta della SS. Annunziata, da cui si accede alle Grotte Alchemiche, notevoli luoghi di potere, meta di personaggi del calibro di Nostradamus, Paracelso, Cagliostro. L’interesse suscitato dal racconto nei miei compagni di viaggio sembra elevato, e ciò aggiunge un punto alla mia capacità di guida, se mai ce ne fosse bisogno.
A spasso per via Garibaldi. Torino è nata in via Garibaldi, la via più lunga e importante della primitiva Colonia Julia. Svoltiamo in via della Consolata. Entriamo nell’androne al numero civico 1 bis del Palazzo Saluzzo Paesana, «l’esempio più ampio e complesso di edificio nobiliare settecentesco», di cui ammiriamo il grande cortile d’onore arricchito da un doppio loggiato. Tristi vicende sono avvenute all’inizio del ’900 nelle cantine di questo palazzo, chiamate ‘infernotti’, due piani sottoterra, che non si limitano al perimetro della casa ma proseguono creando una vera e propria rete sotterranea, diventando percorsi turistici thriller.
Ancora 30 metri e siamo in piazza Savoia, davanti all’obelisco che ricorda l’approvazione della Legge Siccardi, che poneva fine ai privilegi del clero. Siamo nel 1850, in pieno Risorgimento, e parliamo di una legge rivoluzionaria che, sopprimendo i tribunali ecclesiastici, sottoponeva il clero alla giustizia dello Stato come gli altri cittadini. Sentiamo di aver bisogno di una breve sosta ‘consolatrice’ e dopo cento metri svoltiamo a destra ed entriamo nella piazzetta della Consolata; sarà per effetto della chiesa, la più amata dai torinesi, lo testimoniano gli ex voto, ma tutto diventa più pacato, ben disposto, anche il nostro animo. I tenui e affascinanti colori della piazzetta, uno dei cuori spirituali di Torino, invitano a sostare per una deliziosa pausa presso l’antico Caffè Confetteria al Bicerin, fondato nel 1763. Illustri personaggi hanno frequentato questo locale e tra loro, nel 1860, anche Alexandre Dumas padre, incantato da questo magico luogo di ritrovo. È nella capitale sabauda che nel ’700 nasce il bicerin, bevanda calda a base di caffè, cacao, crema di latte; seduti al tavolo assaggiamo questa delizia, mentre i ragazzi sgranano gli occhi e preparano il palato davanti a un piattino con bignoline di crema e caldi croissant.
Con in bocca il buon sapore di crema e cioccolato, ci inoltriamo in via San Domenico passando davanti al Museo d’Arte Orientale e ci fermiamo all’incrocio di via Milano per scoprire il gotico a Torino. In un angolo del centro storico cittadino, con il suo pavimento in posizione più bassa rispetto al piano stradale, sembra nascondersi, ma c’è: è la Chiesa di San Domenico dei Padri Predicatori Domenicani. Domini canes, i cani del Signore. C’è, con tutti quegli elementi caratteristici dell’architettura gotica. Questo ordine fornì purtroppo la maggior parte dei quadri a un’istituzione infame come la Santa Inquisizione, e proprio qui a fianco della chiesa ha avuto sede il Tribunale dell’Inquisizione.
Due passi in via Milano e siamo in piazza delle Erbe, dove trova posto una scultura bronzea che rappresenta Amedeo VI, detto il Conte Verde, che pare fotografato durante una furiosa battaglia ed effettivamente è rappresentato nell’eroico assalto contro i turchi. Svelo ai ragazzi che un occhio attento potrebbe scorgere come il Conte e il Saraceno si scambino la posizione in cerca del meritato riposo, sfiniti dalla complessità delle contorsioni in cui li ha obbligati Pelagio Palagi. Proseguendo in via Palazzo di Città sbuchiamo in piazza Castello e non possiamo lasciare la piazza senza assaggiare il primo tramezzino del mondo in un piccolo locale, prezioso ed elegante, il Caffè Mulassano. È uno dei luoghi, sotto i portici di piazza Castello, più perfettamente integrati nella filosofia alla base di ‘A spasso per Torino’, con il suo essere tappa magica di qualsivoglia percorso tocchi il centro città. Una sosta da Mulassano è l’occasione per fermarsi, fuori dal tempo, in un piccolo ambiente quadrato che in ogni direzione tu volga lo sguardo offre bellezza che stupisce. Ci accomodiamo in uno degli eleganti tavolini in marmo e ci prepariamo a ordinare la nostra cena scegliendo, tra i tanti, il migliore tramezzino al mondo.
Dieci passi sotto i portici, ed eccoci di fronte a un gioiello di galleria. Passarci in mezzo vale sempre la pena: per i torinesi, un rito nel quale ci si sente tutti un po’ chic; per i turisti, una piacevole e inaspettata scoperta semplicemente perché si è passati da una piazza a un’altra. È la Galleria Subalpina, lo storico passaggio tra piazza Castello e piazza Carlo Alberto, tanto amata dallo scrittore Mark Twain durante la sua permanenza a Torino nel 1878, che la definì una camminata tra «negozi più perversamente attraenti».
A sinistra le sale del mitico Cinema Romano, un tempo teatro Maffei, regno dell’avanspettacolo. Di fronte la confetteria Baratti&Milano, per il tè delle cinque del pomeriggio, dove gentili signore con cappello e veletta, sedute a quei tavoli, hanno ispirato a Guido Gozzano ‘Le golose’: «Perché non m’è concesso – legge inopportuna! – il farmivi da presso, baciarvi ad una ad una, o belle bocche intatte di giovani signore, baciarvi nel sapore di crema e cioccolatte? ». È un invito alle donne del nostro tempo a entrare, potrebbe esserci ancora un poeta qui pronto a cantare la loro bellezza mentre «volgon le spalle, in fretta, sollevan la veletta, divorano la preda». Seguono le arcate in mattoni rossi dell’Arcadia, dov’è possibile gustare à la carte agnolotti al sugo d’arrosto e sushi. E poi un’antica libreria, vetrine di stampe d’epoca, tutto in un salotto che giusto qui lo puoi trovare. Entriamo in piazza San Carlo, a ritroso rispetto al mattino del primo giorno.
È sera: piazza San Carlo al crepuscolo, lumi appena accesi rischiarano i rosoni delle due chiese, colori pacati come pacate sono le persone a zonzo e quelle che chiacchierano sedute sotto il monumento. Torino mistica tra profumi e sapori. Siamo alla fine di una breve ma intensa cavalcata, i due giorni volgono al termine, giorni intensi; abbiamo camminato, corso, sostato ad ammirare molto del bello e a gustare molto del buono che Torino può offrire. Sono contento di aver trascorso questi giorni con mia cugina e i suoi figli e, dai volti e dalle parole, comprendo che è così anche per loro.
Cosa c’è di meglio che lasciare il breve soggiorno torinese dopo aver dormito in una suite al cioccolato, nata dalla collaborazione tra il cinque stelle Golden Palace e il maître chocolatier Guido Gobino? È questo che attende Maria e i due ragazzi. Un lungo abbraccio. Domattina partiranno in car sharing, i parenti americani, per chiudere il loro viaggio in Italia a Galeata, nella casa del nonno Pizinein, dove siamo cresciuti.
(Foto di SALVATORE BURGARELLO)