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Storie dal set

di Antonella Frontani

Oscar? Qualche dubbio

Torino, Estate 2022

Ero sicura che il film diretto da Reinaldo Marcus Green, Una famiglia vincente, avrebbe puntato come un razzo verso i grandi premi. La storia autobiografica della famiglia Williams, all’interno della quale sono cresciuti due dei più grandi talenti femminili del mondo del tennis, Venus e Serena, non poteva fallire il colpo. Terreno sempre impervio per il mondo della critica, il racconto autobiografico rischia prevedibili inciampi ma garantisce, con una certa sicurezza, il successo di pubblico e di riconoscimenti, soprattutto americani. Come negare il peso che la celebrità raggiunta dalle due sorelle possa aver rappresentato nell’ambito dello sport femminile, in particolare del tennis; ma l’ennesima storia di successo stellare ha bisogno di essere trattata tenendo conto di tutte le sfaccettature umane che ha comportato per i protagonisti. Proprio come fece, in maniera eccellente, J.R. Moehringer quando scrisse Open, la storia del campione Andre Agassi. Risultati così brillanti quanto disumani, non possono essere raggiunti se non a scapito di un’infanzia annullata e di un’adolescenza dolorosa. Nessun bambino può raggiungere vette così alte in qualunque campo senza rinunciare a una buona porzione di felicità; senza bruciare ogni fondamentale tappa della crescita, non solo fisica, ma anche umana. L’ambizione nella vita è un sentimento lecito, positivo, necessario, ma l’accecante corsa verso la competizione più sfrenata è un lungo e perverso percorso doloroso, infestato di fantasmi, compromessi, rinunce crudeli, delusioni cocenti quanto inutili e nevrosi da prestazione. Un patto con il diavolo dal quale nessuno esce indenne. La storia di Venus e Serena è soprattutto la storia dell’ennesimo padre paranoico, sebbene capace di costruire il grande successo dei propri figli. A scapito dei propri figli.

L’ambizione nella vita è un sentimento lecito, positivo, necessario, ma l’accecante corsa verso la competizione più sfrenata è un lungo e perverso percorso doloroso, infestato di fantasmi. Un patto con il diavolo dal quale nessuno esce indenne

Non ho ben chiaro se l’interpretazione di Will Smith, premio Oscar 2022, mi sia piaciuta, in quanto non ho approvato la scrittura del suo personaggio. Mi è mancato il racconto delle contraddizioni che devono aver caratterizzato il lavoro di un padre così maniacalmente intento a costruire due giocatrici imbattibili. Devono essere esistiti momenti di crudeltà da parte sua, e poi, i necessari atti di ribellione da parte delle bambine costrette, o della madre consenziente, seppur più indulgente. L’animo umano è molto più complesso di una storia lineare e quel successo non può essere stato coltivato nell’atmosfera calda e avvolgente che il film racconta. Unico aspetto controverso del racconto è l’amorevole preoccupazione del padre intento a proteggere le figlie dai gangli schiaccianti del sistema della competizione sportiva americana. E dalla sua sfrenata ambizione, che lo portò a scrivere un diabolico programma di scalata al successo delle proprie figlie prima che nascessero, chi le ha salvate? L’Oscar? Non so se è meritato. Soprattutto dopo quello schiaffo orribile…


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