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Torino, Primavera 2023
Vi hanno mai chiuso le sbarre dietro le spalle? Avete mai visto l’intensità della luce artificiale nel corridoio di un carcere? La mia domanda non è per indagare sulla purezza della vostra fedina penale, né per sollevare nuovi dibattiti politici che affido ad altri. Sto parlando della semplice sensazione che si prova quando si sceglie di seguire un’attività didattica o artistica finalizzata al coinvolgimento formativo di detenuti.
Di solito, chi accetta non lo fa all’insegna di interessi politici, ma sempre nella convinzione che le arti, tutte, possano compiere il prodigioso miracolo: curare l’anima e predisporla verso un futuro migliore. È lo stesso spirito che anima un artista in cerca di proseliti in un ospedale, in una periferia disagiata. Anche in un campo di concentramento, quando possibile. È la pallida speranza di contribuire alla costruzione di un’umanità migliore. È il tentativo, qualche volta illusorio, di sconfiggere il male abbattendo ogni confine: culturale, geografico, politico, fisico, mentale. E quindi anche quello che segna il perimetro di un carcere.
Per questo, e per tanti altri motivi, mi è piaciuto tanto il film di Riccardo Milani Grazie ragazzi. Non è un’idea originale ma il remake del film Un triomphe di Emmanuel Courcol, il regista francese che, a sua volta, trasse ispirazione dal documentario Les Prisonniers de Beckett, di Michka Saäl. Tanti passaggi creativi sono scaturiti dall’esperienza vissuta dall’attore svedese Jan Jönson all’interno delle carceri.
Per questo, e per tanti altri motivi, mi è piaciuto tanto il film di Riccardo Milani Grazie ragazzi
In Grazie ragazzi Antonio, il protagonista, è una figura malconcia e tenerissima, costretto in una vita sbiadita che raggiunge il culmine della tristezza nell’ambito dell’attività professionale: doppiaggio per film pornografici. Un vecchio collega lo convincerà a rimettersi in gioco organizzando una piccola compagnia teatrale con un gruppo di detenuti volontari (più o meno inconsciamente) desiderosi di recitare. Antonio accetterà la sfida scegliendo di mettere in scena l’opera Aspettando Godot di Samuel Beckett.
Non sono le storie a sorprendere, perché tutto è stato già raccontato, anche il tentativo di convertire detenuti in artisti redenti. Quello che trasforma una storia in una storia molto bella sono la narrazione, le immagini, la fotografia, la musica, la recitazione e molti altri elementi. Questo film li possiede tutti.
A rendere grazia e forza a questo lungometraggio che ha ottenuto grande successo di pubblico e critica, hanno contribuito Antonio Albanese, potente nei panni di un perdente, e Fabrizio Bentivoglio, strisciante nei panni di un meschino esuberante. E poi ancora Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Gerhard Koloneci, Bogdan Iordachioiu, Vinicio Marchioni, Sonia Bergamasco. La scelta dell’opera di Beckett, Aspettando Godot, è perfetta per il contesto perché, come dice il protagonista alla direttrice del carcere: «I detenuti sanno cosa vuol dire aspettare, non fanno altro».