Home > People > Editoriali > Storie dal set > Flee, un documentario d’animazione straordinario
Torino, Speciale Torino Futura 2022
Quanti modi esistono per raccontare una storia? E quanti per raccontare la propria? Qualche volta si fa l’errore di credere che una biografia possa essere banale se la vita che si narra non racchiude episodi incredibili. Invece, ciò che conta è la narrazione, ossia la capacità di descrivere con trasporto ogni meandro dell’anima, ogni dettaglio di un luogo. Ma se poi la storia che si racconta è anche incredibile, allora, l’arte della scrittura – letteraria o cinematografica – si fa più ardua per rendere giustizia e credibilità a un’esistenza vissuta al limite. Questa capacità l’ha dimostrata bene Jonas Poher Rasmussen, regista che nel 2021 ha co-scritto e diretto il film Flee, presentato in anteprima al Sundance Film Festival. Si tratta di un documentario d’animazione di cui scelgo di parlare per la straordinaria esplorazione compiuta all’interno di un dramma e dell’impatto scaturito nella vita di Amin Nawabi, protagonista del documentario. È la storia di un’eterna fuga dall’Afghanistan, che inizia nell’adolescenza e diventa condizione di vita per Amin e per tutta la sua famiglia. Il ragazzo arriva da solo a Copenaghen, scappando prima dalla furia dei talebani e poi dalla Russia contagiata dallo sgretolamento del comunismo sovietico. La narrazione è affidata al racconto che Amin fa al suo amico regista, Rasmussen appunto, nel giorno che precede le nozze con il suo compagno Kasper. Da quelle parole emerge il senso di paura, incertezza, sottomissione, vessazione e disperazione che ha dominato tutta la sua esistenza, in bilico tra la sensazione di avercela fatta e l’angoscia di tornare in quel girone infernale in cui la vita lo ha ricacciato ogni volta. La scrittura cinematografica è stata curata a fondo per spiegare con efficacia la difficoltà di essere gay in un paese in cui l’omosessualità non è condizione contemplata. È stato condotto un attento studio della psiche per trasmettere il senso di oppressione che si può provare nello stato di fuga perenne o l’inquietudine che domina il sonno quando non si conoscono più le sorti delle persone amate e minacciate. L’espediente dell’animazione dona al film una potenza narrativa incredibile e l’inserimento di video in 8mm offre immagini di un Afghanistan lontano dal nostro immaginario.
Flee è un’opera straordinaria che ha saputo descrivere la ricerca della felicità quando il mondo intorno è una tenaglia mortale; ha varcato con maestria i confini, percorso il tunnel oscuro dell’abbandono e raccontato la disgregazione di un’infanzia calpestata
Flee è un’opera straordinaria che ha saputo descrivere la ricerca della felicità quando il mondo intorno è una tenaglia mortale; ha varcato con maestria i confini per ricordare che non si tratta solo di linee geografiche ma di barriere immaginarie; ha percorso il tunnel oscuro dell’abbandono e raccontato la disgregazione di un’infanzia calpestata. Ha dimostrato come si narra una storia per raggiungere il cuore e la coscienza di ognuno. Non è un caso se il film ha ottenuto ben tre candidature all’Oscar 2022: miglior film d’animazione, miglior documentario, miglior film internazionale. Mi concedo ancora un’ultima riflessione in un periodo, come questo, dominato dalla guerra: quanti sono i conflitti di cui non parliamo abbastanza?