News

Andrea Ganelli

«Il futuro di Torino? Bottom-up!»

di Laura Sciolla

Speciale Territorio 2024

ANDREA GANELLI, 25 ANNI FA, ARRIVÒ A TORINO PER AFFIANCARE IL CELEBRE NOTAIO MAROCCO; NEL TEMPO HA AVUTO MODO DI SCOPRIRE PREGI E DIFETTI DEL CAPOLUOGO SABAUDO. OGGI CI PROPONE LA SUA IDEA DI CITTÀ

Andrea Ganelli durante un incontro

Intervento di Ganelli a un incontro a Palazzo Madama

Lo incontro nel suo studio di corso Galileo Ferraris, un modello di attività professionale efficiente e contemporaneo, giovani professionisti specializzati nelle discipline più attuali, l’idea del lavoro quotidiano fluisce chiara mente in questi spazi. Opere d’arte con temporanea alle pareti, un ambiente vivo e dinamico, distante dai luoghi un po’ rétro dei vecchi studi notarili di un tempo.

Torino intesa come la metropoli del Piemonte, un impatto con la città vissuto con attenzione e moderazione, la visita al Museo Egizio da studente, le partite della Juve allo stadio da tifoso… Non furono molte le occasioni per un giovane Andrea Ganelli di scoprire Torino. Poi arrivò la chiamata del notaio Marocco e tutto cambiò.

E poi, che tipo di città trovò nel 1999, quando si trasferì da Codogno?

«Ricordate quando le auto transitavano in piazza Castello, quando passava la ferrovia sulla spina di fronte alle OGR, quando i turisti erano un’entità rara? Ecco, quello fu il mio incontro con Torino. Bellissima, da un punto di vista del patrimonio storico, ma certo non particolarmente attraente. Il centro di tutta la torinesità era la Fiat, sia professionalmente parlando, che per le iniziative culturali che si svolgevano in quegli anni. Istituzioni, Unione Industriali e Fiat erano il trittico che tutto muoveva, dal Museo dell’Auto al Castello di Rivoli. Poi arrivò la crisi del 2003, e le Olimpiadi del 2006 a dare nuova luce e poi… ».

Sicuramente tanti passi sono stati fatti, è innegabile riconoscere le migliorie che hanno determinato la città di oggi, anche da un punto di vista dell'approccio culturale; ma sento ancora la mancanza di una visione generale a lungo termine

Che tipo di città è diventata Torino?

«Sicuramente tanti passi sono stati fatti, è innegabile riconoscere le migliorie che hanno determinato la città di oggi, anche da un punto di vista dell’approccio culturale; ma sento ancora la mancanza di una visione generale a lungo termine. Manca, a mio giudizio, ancora un vero sviluppo di quello che definirei “il senso di partecipazione”, attenzione, e anche, fatemi dire, di altruismo. Anche in passato la gente che “contava” a Torino aveva interessi personali, non potrebbe essere altrimenti. La differenza rispetto ad oggi, però, stava nel fatto che l’idea di collettività non era tralasciata, anzi. È proprio l’essenza della società civile ad essere venuta meno. Manca la visione perché mancano persone adeguate e manca la partecipazione (ma d’altronde il nostro sistema elettorale porta ad avere un uomo o una donna al potere senza più creare occasioni di discussione o di scontro!). Ma poi, cosa vuol dire davvero “visione”? Preferisco usare la parola progettualità, un concetto che dovrebbe andare oltre la convenienza elettorale. Sarebbe bello essere rappresentati da persone disposte a perdere consenso nel breve periodo pur di mantenersi fedeli alla loro idea, perché ritenuta semplicemente giusta».

Andrea Ganelli - World Political Forum 2003

World Political Forum 2003

Dalla parte sua, Torino vanta eccellenze strategiche…

«Non lo nego: l’aerospazio, l’enogastronomia. Rispetto al ‘99 ci sono settori cresciuti in modo esponenziale, ma sono capaci di assorbire la forza lavoro che garantiva la Fiat? La risposta è no. Oggi è l’amministrazione pubblica la realtà con il numero più alto di dipendenti sul territorio, un po’ anomalo. Qualcosa dunque non funziona e io credo sia il fatto di non avere la forza di investire. Ricordate il Torino Innovation Mile? Bel progetto. Ma lo concretizzo autofinanziandolo perché confido che la sua esistenza attrarrà interesse e capitali o aspetto che qualcuno si decida a firmare i contratti per procedere? Guardiamo la realtà, la seconda ipotesi non porterà a nulla».

Ha ripetuto in altre interviste che crede nel partenariato pubblico privato.

«Potrebbe essere un canale da cui trarre beneficio. Porto un esempio concreto: Esselunga ha da poco firmato la convenzione con il Comune per un nuovo supermercato in zona corso Vercelli. I terreni erano stati comprati 25 anni fa. Forse è necessario uno snellimento? Altro esempio, Città della Salute o le carceri. Una cosa è la proprietà dei muri, un’altra la gestione. Perché non creiamo le con dizioni perché dei fondi immobiliari prenda no in carico il conte nitore? Poi il contenuto sarà, come è giusto che sia, coordinato dal settore pubblico».

Volendo parlare di aspetti che fanno onore a Torino, lei è stato in prima persona testimone di grandi avvenimenti…

«Ho firmato l’atto di costituzione della Fondazione Museo Egizio, il primo in Italia che ha sancito il conferimento di una collezione da parte del Ministero verso una fondazione; quello del Consorzio della valorizzazione della Reggia di Venaria, copiato poi dalla Reggia di Monza… E ricordo la fusione di Iren, l’operazione dello stadio della Juventus dal punto di vista immobiliare, la nascita di Camera e della Fondazione Torino Musei».

Andrea Ganelli, notaio

Azioni che dimostrano come Torino sia una città attiva e proattiva?

«Più o meno. Perché se poi leggi le date in cui tutto ciò è avvenuto – nulla di recente, ndr – ti viene il magone».

Dove si collocano i grandi eventi e le rassegne come Artissima in questa sua “idea” di Torino? Sappiamo che lei è un grande estimatore dell’arte contemporanea.

«Ben vengano i grandi eventi, le ATP Finals, l’Eurovision, e gli appuntamenti culturali come la Settimana dell’Arte contemporanea o il Salone del Libro… Spero davvero si continui su questa linea, ma non saranno loro a risolvere il problema. Onore e merito a chi li ha pensati e a chi li sta gestendo, superando in ogni edizione la precedente. Il fatto è che dovrebbero esserci tutte le settimane eventi di tale portata per poter garantire la sussistenza di coloro che lavorano attorno a questi mondi. Visto che non è così, bisogna rivolgersi altrove cercando capitali. È di recente atterrata a Torino (almeno 2 o 3 volte, in realtà), la sceicca del Qatar per valutare l’interesse sul Palazzo del Lavoro, fatiscente da anni. Per ora nulla si è concretizzato. Ma abbiamo fatto davvero di tutto per creare una relazione, per rendere Torino attrattiva?».

Un tema che riguarda anche il mercato immobiliare e i giovani…

«Oggi più che mai. Si diceva che l’alta velocità avrebbe invogliato tanti milanesi a comprare casa qui. Se devo essere sincero in tutti questi anni di attività solo una volta ho siglato l’acquisto di un immobile da parte di un milanese. Piuttosto la facilitazione della logistica ha permesso che i torinesi restassero nella loro città facendo i pendolari (e questo ha ridotto il rischio di spopolamento), ma non c’è stato il flusso sperato. Come mai? Riflettiamo su questo e riflettiamo su alcuni dati: è stato rilevato che il 72% dei giovani lavoratori seleziona un’azienda in base alla sua attenzione ai pilastri dell’ESG. Proviamo a investire in tale direzione in modo da creare appeal tra le nuove generazioni?».

Il fatto che lei sia console del Myanmar, oltre che stimolare la mia curiosità su come sia arrivato a questa carica, mi offre uno spunto: i rapporti di Torino con l’estero.

«In effetti è una storia inconsueta: in quegli anni il Myanmar offriva molte occasioni di collaborazione alle aziende italiane. Fu Piero Fassino, che era conosciuto e ben voluto nel Paese d’Oriente, a proporre un consolato qui a Torino e fui scelto per diventare console onorario per il Nord Ovest. Talvolta accadono cose nella vita che non ti aspetti. Per quanto riguarda invece i collegamenti oltre confine, c’è chi ritiene che investire su Caselle sia stata la rovina di Torino che invece avrebbe dovuto puntare sui collegamenti con Malpensa. Il suo primato come principale hub del Nord Italia non ha concorrenza. Non mi sento di esprimermi su questo, però propongo una considerazione: il torinese troppo spesso mostra la tipica mentalità del suddito, abituato ad avere qualcuno che gli dice cosa fare. Senza offesa ma è la storia che parla: prima i re, poi la Fiat. Oggi per fortuna non è più così, ma per ribaltare questa forma mentis ci vuole tempo. Ci arriveremo se guardiamo al futuro con spirito intraprendente, sono fiducioso».

Il notaio Andrea Ganelli

Il notaio Andrea Ganelli

Nell’ultima domanda, più personale, vorrei riprendere i suoi inizi “torinesi”. Si è sentito accolto al suo arrivo a Torino?

«Direi di sì, anche perché ho avuto la fortuna (e ne sono consapevole) di essere entrato fin da subito nella fascia dei privilegiati, grazie a un maestro e mentore che mi ha messo in prima fila in maniera piuttosto eccezionale. L’incontro con il notaio Marocco ha infatti significato per me 23 anni di successi, aneddoti, progetti e insegnamenti. Il più grande dei quali è stato un privilegio: farmi conoscere e comprendere la società torinese in tutte le sue virtù e nei suoi limiti, fermo nella convinzione che le Istituzioni si servono e non si usano. Nella sua vita, il notaio lo ha confermato coi fatti ricoprendo varie cariche; in generale, parlando della vita di tutti i cittadini, torno al discorso della partecipazione. Bisogna stimolare una ripresa della partecipazione al sistema territorio, un processo bottom-up coadiuvato, a sua volta, da una nuova classe dirigente che dimentichi l’autoreferenzialità per puntare all’interesse comune. In questo modo si ripensa al sistema di relazione tra cittadini, corpi intermedi e Istituzioni; in questo modo si va a delineare un progetto comune per guardare al futuro di Torino».

È stato un bell’incontro pieno di riflessioni e spunti, per un racconto cittadino tra luci e ombre, ma sempre improntato a una voglia di crescere, costruire, migliorare Torino; un percorso che in qualche misura, attraverso le parole di Andrea Ganelli, delinea “una certa idea di città”.

 

(foto MARCO CARULLI e ARCHIVIO ANDREA GANELLI)