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Home > People > Interviste > Edoardo Bonelli: «L’esposizione è fondamentale»
È “ESPOSIZIONE”, SECONDO EDOARDO BONELLI, LA PAROLA CHIAVE PER INNESCARE UNA RIVOLUZIONE CULTURALE NEI CONFRONTI DEL MONDO DELLA DISABILITÀ. POI CI SONO QUESTIONI COME LE OPPORTUNITÀ DI INDIPENDENZA CHE LA QUOTIDIANITÀ DI OGGI NON OFFRE E LA DIFFERENZA TRA ACCESSIBILITÀ E FRUIBILITÀ. NE PARLIAMO IN QUESTA INTERVISTA
Un genitore e il suo bambino vedono un ragazzo in sedia a rotelle. Il bambino lo addita. L’adulto: «Non guardare così, non va bene fissare le persone». Ecco, questi sono i comportamenti che Edoardo Bonelli ritiene debbano cambiare. 24 anni, laureato al Politecnico di Torino nel 2021 e ora iscritto alla ESCP Business School, Edoardo Bonelli è in sedia a rotelle dall’età di 17 anni dopo un brutto incidente in moto che gli ha causato la frattura di alcune vertebre del collo e la conseguente paralisi.
Sei solito ripetere come la parola chiave sia “esposizione”, quasi un claim forte e coraggioso che dichiara il bisogno di non chiudere gli occhi e spiegare cosa sia la disabilità. Ci racconti meglio?
«Il concetto è… superare i preconcetti. Perché una persona con disabilità si senta davvero inserita in una società è necessario che si renda prima di tutto visibile. C’è un enorme problema culturale nel nostro Paese che ci portiamo avanti da decenni: tendiamo a far nascondere le persone con disabilità. Comincia tutto da bambini, quando andando in giro al parco, al nostro puntare il dito verso una persona con disabilità chiedendo “Perché quel ragazzo è così?”, la risposta generalmente è un misto tra rimprovero e imbarazzo. “Non indicare, è un ragazzo un po’ più sfortunato di te”. Questa è la radice del problema: dopo questo primo incontro con una persona con disabilità il bambino ora sa che c’è qualcosa che non va in quella persona. “È un ragazzo che si muove in una maniera diversa rispetto a te”: in questo modo si ribalterebbe la medaglia. L’esposizione è qui che entra in gioco, è l’unico modo per normalizzare la disabilità. Facendoci vedere noi disabili abbiamo il potere di cambiare il modo in cui la società ci percepisce. Questi limiti culturali li vivo tutti i giorni: un esempio eclatante è il mio corso di laurea al Politecnico, su oltre 300 studenti ero l’unico ragazzo in sedia rotelle. Un’anomalia statistica a cui purtroppo sono abituato. Per molti di questi studenti io sono una delle prime persone con disabilità a cui si approcciano e spesso le persone non sanno come confrontarsi con me. La cosa piacevole però è che, superato l’imbarazzo iniziale, c’è un cambio drastico: uscendoci assieme vedono che cosa vuol dire vivere una disabilità e riescono a comprendere problematiche che fino a prima non immaginavano, come ad esempio le barriere architettoniche o l’importanza di non parcheggiare sulle strisce pedonali. Possono sembrare stupidaggini ma non è così: sono dei cambi sostanziali nel modo di vivere la quotidianità. Perché non ci sono presentatori televisivi in sedia a rotelle o film in cui la partecipazione dell’attore disabile non è strettamente legata alla sua condizione? Più riusciremo a portare a galla la vita e la normalità delle persone con disabilità, più si riuscirà a vivere in una società realmente inclusiva. Per cancellare l’imbarazzo che nasce dalla diversità bisogna educare. Conosco bene la materia perché fino a qualche anno fa ero tra quelli che guardavano la disabilità con timore e ignoranza, e oggi la vivo».
Tu vai spesso nelle scuole a raccontare la tua storia. L’educazione parte fin da piccoli, è corretto?
«Assolutamente, ritengo sia fondamentale proprio per favorire l’esposizione di cui parlavo prima. Faccio parte di Bionic People, un’associazione no profit che ha l’obiettivo di dare un volto nuovo alla disabilità. Tra i vari eventi e attività che organizziamo, molto importanti sono gli appuntamenti con studenti e aziende per parlare di uguaglianza e della necessità di lavorare insieme per costruire una società più aperta e pronta alle esigenze di tutti. Quando incontro una classe è evidente come i primi minuti siano di soggezione, ma poi ci sciogliamo e diventiamo amici. È questa l’esposizione di cui parlavo prima. Per molti ragazzi io e i miei amici “bionici” siamo le uniche persone con disabilità con cui hanno creato una relazione. La prossima volta che entreranno in contatto con una persona in sedia a rotelle non avranno più timore di dire la cosa sbagliata, ci sarà un rapporto paritario».
Fai anche parte di un’altra associazione, Walkabout Foundation…
«Si tratta di una fondazione il cui impegno è fornire sedie a rotelle a persone che hanno subito lesioni midollari e che abitano in paesi poveri dell’Africa e del Sudamerica. Nazioni dove non vi è disponibilità economica e nemmeno reti di aiuto. Senza sedia a rotelle un disabile è costretto a rimanere coricato nel letto, quando c’è. La mia sedia è per me, ormai, parte integrante del corpo, non è solo un mezzo di deambulazione. È il mio modo per muovermi nel mondo, fare sport, andare in vacanza, conoscere gente. È la vita».
C'è un enorme problema culturale nel nostro Paese che ci portiamo avanti da decenni: tendiamo a far nascondere le persone con disabilitàA proposito, un tema a te caro è la differenza tra accessibilità e fruibilità. Ce ne vuoi parlare?
«Prima riflessione: oggigiorno stiamo migliorando l’accessibilità ai disabili. Ma cosa serve l’accessibilità se non segue la fruibilità? Se riesco ad arrivare davanti a un bar ma non posso entrarvi autonomamente a causa di un gradino? Se, in una scuola, l’unico modo per accedere all’edificio è uno scomodo montascale azionabile unicamente da un inserviente sbuffante? O rendi l’accesso utilizzabile in modo indipendente o lo sostituisci con una rampa. Seconda riflessione è, appunto, l’indipendenza. Solo garantendo accessibilità e fruibilità un disabile potrà godere di una vita in piena indipendenza. Devo dire che ci sono esempi lodevoli di amministrazioni comunali impegnate in tal senso. Fossano, per indicarne uno, pur essendo una città storica ha voluto trasformare il centro creando rampe per tutti i negozi della via principale. Volere è potere».
Giornata mondiale della disabilità – Evento alle OGR. Organizzato da CPD – Consulta per le Persone in Difficoltà (dicembre 2021)
La politica dovrebbe guardare maggiormente, ci dici, a come rendere le città fruibili. Cos’altro?
«Un elemento piuttosto grottesco della condizione del disabile è che il sussidio di invalidità oltre una certa percentuale sia uguale per tutti, indipendentemente dal grado di invalidità. Inoltre, oltre un certo ISEE, ti viene tolto. Il che è fonte di scoraggiamento per chi, nel rispetto della sua disabilità, potrebbe e dovrebbe cercare lavoro. Inserirsi in un ambiente lavorativo equivale a creare occasioni di socialità, di esposizione. È un cane che si morde la coda! La disabilità inoltre è un costo fisso a prescindere dal successo professionale, togliere il sussidio significa penalizzare la persona. Per non parlare, poi, del tema delle polizze assicurative private. In un momento storico in cui il pubblico sta fallendo, le assicurazioni private impongono condizioni che per un disabile non sono accettabili, dato che il rimborso assicurativo è spesso legato allo stato di salute antecedente al danno. Se mi rompo la gamba, l’assicurazione non mi copre perché “la causa è stata l’osteoporosi progressiva dovuta alla disabilità” e magari non un marciapiede non curato. Capite?».
Come tu ben sai chi leggerà questo articolo penserà che questo ragazzo ha una forza d’animo incredibile; ma che esistono anche persone, nella medesima condizione, che invece vorrebbero porre fine alla loro vita. Qual è la tua riflessione?
«Sono assolutamente favorevole all’eutanasia. Dopo l’incidente ho trovato tanti motivi per “andare avanti” ma questo non vuol dire che, ad un certo punto della mia vita, non possa optare per l’eutanasia e spero, nel caso, di poterlo fare nel mio paese. Ci terrei a dire una cosa: ogni persona è diversa, ogni disabilità è diversa, così come il processo di riabilitazione fisica e mentale. E non tutti i disabili hanno la fortuna di vivere in un ambiente favorevole come è successo a me. Quindi non sarei per fare paragoni. Piuttosto mi concentrerei su ciò che ho sottolineato all’inizio di questa intervista. Mi piacerebbe vivere in una società in cui è usuale vedere un presentatore televisivo in carrozzina. Mi piacerebbe un mondo in cui non si raggiunge una “quota disabile”, ma piuttosto un mondo naturalmente omogeneo. Per questo c’è bisogno di esposizione, come quella che Torino Magazine ci sta dando».
Il tuo augurio per Torino.
«Spero che negli anni a venire Torino possa intraprendere delle grandi campagne di sensibilizzazione sul mondo della disabilità, con azioni concrete: l’abbattimento di barriere architettoniche, la più facile fruibilità di mezzi pubblici alle persone in sedia a rotelle e delle vere politiche a sostegno sia delle famiglie con disabili a carico che dell’indipendenza delle persone con disabilità».
Se desiderate scoprire qualcosa di più sulla vita di Edoardo, non mancate di visitare la sua pagina Instagram edobonelli.
(foto EDOARDO BONELLI)