Parlando di identità “torinese”, lo Studio Boidi & Partners può dire la sua a pieno diritto. Fondato più di 70 anni fa da Aldo Boidi, è ormai alla quarta generazione. Lo Studio Boidi è dunque una realtà fortemente legata alla città e alla sua l’identità…
«Sono innamorato di Torino. È una città in cui si vive davvero bene. E si dovrebbe lavorare altrettanto bene… Ecco su questo aspetto bisognerebbe darsi da fare. Noto ci sia una vera e propria crisi di identità nel mondo industriale e professionale. La grande vocazione industriale legata all’automotive e alla Fiat non è più un punto di riferimento, lo sappiamo bene. C’è chi si è illuso che l’elettrico sarebbe stato la nuova stella polare ma, come ha riportato qualche giorno fa Quattroruote “la transizione all’elettrico è stata la rivoluzione industriale peggio studiata della storia economica moderna”. Se poi consideriamo che gli investimenti di Stellantis su Torino sembrano destinati a ridursi drasticamente… Eppure qui nel Torinese abbiamo per tradizione un comparto del settore eccellente. Chi è stato lungimirante ed è riuscito ad approcciarsi ad altri mercati, pur con qualche difficoltà, è riuscito a ripartire, ma è evidente come la crisi si senta».
Oggi il mondo imprenditoriale ci riporta al nostro ruolo di consulenti aziendali. Da sempre poi credo che si debba cercare di restituire quello che si ha avuto la fortuna di avere
Quali sarebbero le soluzioni da proporre?
«La vocazione turistica può essere un buon volano per la città, ma occorre investire nelle infrastrutture: le bellezze da scoprire sono tante e apprezzate da chi visita Torino. Forse i 120 chilometri che ci separano da Milano potrebbero diventare un’opportunità invece che l’eterno paragone. I prezzi dell’immobiliare nel Milanese sono insostenibili. Vedrei Torino anche come una valvola di sbocco per gli headquarter e gli uffici di tante realtà. Le occasioni per affittare prestigiosi palazzi nel centro ideali a questo scopo non mancano».
E le tante startup che nascono, per esempio, sotto l’egida del Politecnico?
«Sono certo una componente importante per una visione del futuro, ma attenzione. Quanti ragazzini delle scuole calcio finiscono a giocare in Serie A? Bisognerebbe capire quante di queste startup hanno effettivamente una continuità aziendale nel medio periodo. Io penserei a puntare ulteriormente su eccellenze con le fondamenta solide, come l’Aerospazio o il Politecnico o la ricerca in campo sanitario, come ad esempio l’Istituto di Candiolo».
Parlando di passione, invece, quanto è rilevante nel prosieguo di un’attività come quella del dottore commercialista?
«Tantissimo. Fare il commercialista non vuole dire occuparsi solo di numeri, anche perché, come diceva il nostro indimenticato presidente Aldo Milanese, “a fianco di ogni impresa c’è almeno un commercialista”. Oggi il mondo imprenditoriale ci riporta al nostro ruolo di consulenti aziendali. Da sempre poi credo che si debba cercare di restituire quello che si ha avuto la fortuna di avere. Da parte mia, mi metto a disposizione della categoria partecipando alla vita dell’Ordine di Torino e del Consiglio Nazionale. Di recente, per esempio, ho seguito la revisione delle norme di comportamento del Collegio sindacale nelle società non quotate. Inoltre c’è sempre qualcosa da imparare: è difficile oggi immaginare l’impatto sul nostro lavoro dell’intelligenza artificiale, se non per le pratiche che riguardano l’ordinario. Grazie al contributo della nuova generazione e alla mentalità open minded dello Studio, siamo noti per la vocazione tecnologica senza mai dimenticare la nostra identità e passione, ovviamente».
(foto MARCO CARULLI)