Alcuni anni fa aveva definito l’art week torinese inflazionata, paragonabile a un rumore bianco. È ancora dello stesso parere?
«Nelle vesti di cittadino appassionato di arte contemporanea credo che la settimana dell’arte sia un’ottima opportunità per stimolare e incuriosire anche i non esperti del settore. Da critico d’arte, però, rimango dell’idea che questo appuntamento ci consegni un’offerta culturale inflazionata: in pochi giorni si sommano e sovrappongono molteplici stimoli difficilmente apprezzabili in tutta la loro essenza, tanto da creare metaforicamente un ronzio, un rumore bianco appunto, di poco valore. L’arte, dal mio punto di vista, ha invece bisogno di un’osservazione più accurata, di un approfondimento più lento, condizione impossibile da trovare in una fiera. Figuriamoci quando i visitatori non vogliono rinunciare a nessuna delle location e degli eventi in calendario a Torino in quella settimana! La fiera è una passerella, una straordinaria occasione per i professionisti del settore di fare business, certo, ma resta un museo dell’effimero dal momento che il grande pubblico non ha la possibilità di cogliere il vero significato delle opere esposte. L’ideale sarebbe bilanciare occasioni interessanti per il mercato dei grandi collezionisti e occasioni perché tutti possano usufruire dell’arte con un approccio più pedagogico».
Da dieci anni attende alla cura di mostre ed eventi d’arte contemporanea, occupandosi dell’ampio ventaglio di aspetti che caratterizzano tale attività: dall’ideazione progettuale alla formulazione di un apparato teorico scientifico, dagli studi di allestimento alla cura di cataloghi e alla divulgazione tematica attraverso corsi e conferenze
Se le fiere sono i musei dell’effimero, che alternative proporrebbe per valorizzare la Torino dell’arte contemporanea?
«Per prima cosa penserei a moltiplicare le iniziative legate all’arte contemporanea. Qualche cosa già si fa, come Exposed, il festival della fotografia che si terrà a Torino a maggio, un nuovo tuffo nell’arte contemporanea questa volta dedicato agli appassionati della macchina fotografica. Mi potreste contestare dicendo che allora sarà di nuovo un rumore bianco, ma è sempre un modo per attirare l’attenzione pubblica. E poi, ripeto, bisognerebbe offrire ai cittadini la possibilità di elevare la loro fruizione nei confronti dell’arte, in maniera distribuita, non concentrata nell’art week torinese. Alla GAM, per esempio, è prevista per tutto il 2024 una programmazione di altissimo livello. Eppure, difficilmente una mostra riesce ad attirare il pubblico in maniera continuativa durante i suoi tre mesi di apertura. Perché? Come invertire la rotta? Sul come fare concretamente, lascio la parola a chi è più esperto di me… Io mi esprimo da critico!».
In questa trasformazione, che ruolo avrebbero le gallerie torinesi?
«Certamente anche le gallerie di Torino potrebbero dare il loro contributo: senza tralasciare il ruolo dei collezionisti, colonna portante per la loro sopravvivenza, sarebbe un sogno che si avvera vedere le gallerie frequentate tutto l’anno, al di là della Notte delle Arti contemporanee. Una spinta potrebbe arrivare dalla nascita di una vera rete che, attraverso eventi e inaugurazioni, aumenti l’appeal da parte di curiosi e appassionati».
Un ultimo consiglio per chi si sta avvicinando all’arte contemporanea da non esperto.
«Andate a visitare le mostre che vi incuriosiscono, con sguardo vergine, senza pregiudizi, nella consapevolezza che l’arte contemporanea è provocazione. E poi, se avrete voglia e tempo, cercate di approfondire. Scoprirete un mondo favoloso».