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Home > People > Interviste > Michele Vietti Uno sguardo attento al futuro delle aziende piemontesi
OBIETTIVO DI QUESTO SPECIFICO PERIODO È FAR NASCERE NUOVE IMPRESE, AIUTARLE A CRESCERE E A INNOVARSI, SFRUTTANDO OGNI RISORSA, OPPORTUNITÀ E COLLABORAZIONE DISPONIBILE. E FINPIEMONTE SI È DATA QUESTA MISSIONE
Eccoci con Michele Vietti, presidente di Finpiemonte, nel giorno del suo compleanno, per una conversazione che immaginiamo interessante e ricca di spunti. Con lui è certamente possibile tracciare un quadro generale della situazione delle aziende piemontesi, partendo da uno scenario attuale e immaginando le traiettorie di sviluppo del futuro.
Prof. Vietti, cosa l’ha spinta ad accettare un incarico così significativo in una fase così complicata di Finpiemonte?
«Direi proprio perché è un incarico altamente impegnativo, come ha detto lei. In questo momento la presidenza di Finpiemonte è sicuramente una sfida importante: la società ha attraversato anni difficili, è stata spesso oggetto di polemiche e critiche, soprattutto a causa delle note vicende giudiziarie che l’hanno coinvolta. Finpiemonte resta però fondamentale per l’azione della Regione Piemonte ed è importante che torni ad essere un punto di riferimento per il territorio, non solo attraverso la gestione dei bandi, ma anche con l’erogazione di servizi di consulenza alla Regione e alle imprese. C’è la necessità di assicurare a Finpiemonte una governance stabile e capace di definire una strategia di medio-lungo periodo, anche in ottica di collaborazione tra i territori e con le altre finanziarie regionali. In questa prospettiva la mia posizione di presidente dell’Associazione nazionale delle finanziarie regionali e di Finlombarda può essere un valore aggiunto per fare sinergia ed economia di scala, fermo restando l’ambito di competenza territoriale di ciascuna delle nostre istituzioni».
Come ha chiuso il suo primo bilancio dell’anno appena trascorso?
«Nel complesso Finpiemonte è una società che funziona, certamente dotata di competenze e professionalità. Il 2022 è stato un anno ancora attraversato da una profonda crisi economica ed è stato necessario destinare risorse importanti per interventi di carattere emergenziale, nella forma di ristori e bonus una tantum. Si è trattato di operazioni indispensabili, ma finalizzate solo alla “sopravvivenza” delle imprese. Con la nuova programmazione e le tante iniziative, di cui abbiamo gettato le basi in questi mesi insieme alla Regione, vogliamo riprendere ad aiutare le imprese a nascere, crescere e innovarsi, sfruttando al meglio le opportunità di cofinanziamento e i fondi pubblici».
Le imprese, soprattutto quelle più piccole e meno strutturate, devono avere un quadro di riferimento normativo chiaro ed essere supportate nella comprensione e nell’applicazione delle regoleQuanto conta oggi il ruolo delle finanziarie regionali nello sviluppo dei territori?
«A mio giudizio contano molto, anche per una questione di caratteristiche intrinseche. Le finanziarie regionali sono soggetti ibridi, che si trovano, per loro stessa natura, all’intersezione tra il settore pubblico e quello privato. In questo senso sono in grado di conciliare le finalità del policy maker con quelle degli investitori di mercato, svolgendo un ruolo essenziale nel “mettere a leva” le risorse pubbliche disponibili, potenziandone e moltiplicandone l’impatto sul territorio con l’apporto di capitali privati e, in molti casi, anche con fondi propri. Per sfruttare al meglio le potenzialità delle finanziarie occorre però un’azione di semplificazione e armonizzazione delle diverse norme cui sono sottoposte che, moltiplicando vincoli e controlli, rendono loro difficile competere sul mercato».
Il tema della semplificazione in questo Paese torna sempre e ormai più che un principio direttivo sembra una speranza, spesso purtroppo vana. Per Finpiemonte in cosa si traduce?
«Significa che le imprese, soprattutto quelle più piccole e meno strutturate, devono avere un quadro di riferimento normativo chiaro ed essere supportate nella comprensione e nell’applicazione delle regole. I nuovi regolamenti europei consentono alcune semplificazioni, ad esempio, in fase di verifica della spesa, con l’utilizzo di costi standard e controlli più mirati in funzione del rischio. Accanto alla semplificazione è importante anche la capillarità della diffusione delle informazioni: riuscire cioè a raggiungere una platea di imprese più ampia e variegata rispetto al passato, con una comunicazione funzionale alla tipologia di beneficiari da intercettare. Per questo motivo, sono state riconfermate le collaborazioni con le associazioni del territorio che possono essere la nostra cassa di risonanza verso il sistema produttivo».
Se dovesse enumerare, in estrema sintesi, tre azioni fondamentali da mettere in campo, quali indicherebbe?
«Semplificare; favorire maggiore collaborazione pubblico-privato; ampliare la gamma di agevolazioni a disposizione del territorio».
Professore, quanto alla sua esperienza politica, lei ha arricchito il dibattito politico di saperi molteplici e competenze trasversali. Quali soddisfazioni ne ha tratto?
«Ringrazio per l’apprezzamento e confesso di essere molto contento di aver lasciato un’eredità della mia esperienza politica. La Riforma del diritto societario, la Prima Riforma del diritto fallimentare e l’unificazione dell’Ordine dei commercialisti sono alcune espressioni del mio modo di fare politica che, veicolando saperi e conoscenze, è riuscito – anche per un po’ di fortuna – a tradurli in norme e in provvedimenti legislativi».
… e cosa pensa della nuova classe politica?
«Posso dire che ci sono persone in gamba, come è sempre stato, e sprovveduti. Certo è che il venir meno dei partiti ha impoverito molto la formazione della classe politica: il partito un tempo era una scuola che, per gradi, faceva approdare alle responsabilità successive. Oggi, spesso, si approda per saltum e ci si trova poi impreparati».
A proposito di partiti che non ci sono più, lei ha una storia politica di tradizione cattolica. Oggi il mondo cattolico risulta estremamente parcellizzato e, per citare l’onorevole Bodrato, i cattolici in politica non contano più nulla. Lei crede che la dottrina sociale della Chiesa possa svolgere ancora un ruolo nel mondo politico?
«Sì, sono totalmente d’accordo con l’affermazione di Bodrato. La diaspora del mondo cattolico che nella Prima Repubblica si ritrovava, pur con tante differenze, nella Democrazia Cristiana, ha prodotto l’irrilevanza dei cattolici che si sono dispersi in altri movimenti, i quali, pur riprendendo qualche loro idealità, non rappresentano il pensiero della dottrina sociale. Una dottrina che secondo me continua ad avere una sua validità, soprattutto dopo la fine delle ideologie, la crisi dell’ubriacatura liberista succeduta alla caduta del muro e poi alla globalizzazione siamo rimasti completamente orfani di qualunque riferimento culturale prima che politico. Perciò credo che la dottrina sociale, tanto ricca quanto poco conosciuta, possa rappresentare ancora una bussola per i cattolici che volessero tornare a contare in politica».
Lei è stato anche vicepresidente del CSM. Nella sua veste di avvocato e giurista, cosa pensa della separazione delle carriere di magistrati giudicanti e inquirenti?
«Io sono sempre stato tendenzialmente freddo sulla separazione delle carriere. Però, più passa il tempo, più mi convinco che probabilmente è un approdo inevitabile perché, con la riforma del codice di procedura penale, si proclama la parità delle parti in dibattimento. Ma assistiamo a uno strapotere del pubblico ministero il quale – disponendo di tutti gli strumenti di accertamento istruttori e, in particolare, delle intercettazioni che sono magna pars dell’attività di ricerca della prova – arriva al dibattimento in una posizione assolutamente squilibrata rispetto alla difesa. Allora se il pubblico ministero deve essere la pubblica accusa non c’è ragione perché fruisca delle stesse garanzie che tutelano la terzietà del giudice».
Tornando al tema centrale e riportando una voce che periodicamente si manifesta: sarebbe possibile la fusione di Finpiemonte e Finlombarda?
«Pensare a una fusione, al momento, è prematuro. Ma non lo è affatto pensare a un coordinamento e a una sinergia organizzativa e funzionale più stretta. Mettere a sistema informazioni, progetti, prospettive… di solito porta benefici a tutti; soprattutto quando chi collabora ha come detto qualità e competenze per farlo bene».
(foto FRANCO BORRELLII)