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IMPARIAMO A CONOSCERE MEGLIO IL CAMPIONE DEL MONDO DI CHIVASSO, CHE SI DEFINISCE “TORINESE”, E POI PERFEZIONISTA, RISERVATO, OSSERVATORE, RIFLESSIVO, INNAMORATO DELLA FAMIGLIA E DELLA FIDANZATA CHE SPOSERÀ NEL 2024. MA, QUANDO ABBASSA LA VISIERA DEL CASCO, CONTA SOLO VINCERE E DIVENTA SEMPLICEMENTE IL NUMERO UNO, COME HA VOLUTO FAR SCRIVERE SULLA CARENA DELLA SUA DUCATI
L’Apprendista Dottore. Da ragazzino, lo chiamavano così. Di tutti gli allievi piloti dell’Academy di Tavullia, l’esclusivo “collegio” di Valentino Rossi, era quello coi voti migliori. Sulla pista sterrata del Ranch come in palestra: il primo ad arrivare, l’ultimo ad andarsene. Educato, modesto. E felice. Anche se a 16 anni, per inseguire un sogno, aveva dovuto lasciare la sua Chivasso: la famiglia, la scuola, i pomeriggi con gli amici in centro a Torino, le partite della Juventus. Ma lo aveva già confessato alla maestra Raffaella, proprio sui banchi delle elementari Mazzucchelli: «Cosa voglio fare quando sarò grande? Correre con Valentino: imparare da lui come si fa a vincere». Il titolo iridato in Moto2 nel 2018. Poi quello in MotoGP, festeggiato a novembre con una Ducati. Francesco “Pecco” Bagnaia, 26 anni, campione del mondo. Da mezzo secolo un italiano non trionfava su una moto italiana: l’ultimo era stato un certo Giacomo Agostini, in sella alla MV Agusta.
Sì, l’Apprendista ha imparato: «Mi piace fare le cose senza fretta, serenamente: mai forzare. E so di avere ancora tanta strada davanti. Questo è solo l’inizio». Suona più di una promessa. Pecco vive a Pesaro con la fidanzata e il cane, Turbo, un simpaticissimo bassotto: il Ranch di Tavullia, dove continua ad allenarsi con gli altri ragazzi, è così vicino. Ma se potesse, tornerebbe oggi stesso a Chivasso. E per sempre. «Ci vado comunque, appena posso. A parte Domizia (e Turbo), i miei affetti sono tutti lì». Il papà si chiama Pietro, come quello di Max Biaggi: imprenditore, titolare di un’azienda di ascensori a Mappano, ha lavorato per una stagione anche come team manager della squadra VR46 nel CIV, il Campionato Italiano Velocità. È un appassionato di equitazione, avrebbe voluto che quel figlio talentuoso montasse a cavallo: «Invece il giorno che per curiosità l’ho portato a vedere una gara di motociclismo è impazzito di gioia – ricorda Pietro, e forse ci soffre ancora un pochino – Gli ho preso una mini-moto, all’inizio lo facevo girare su piazzali privati a Chivasso e in qualche piccolo circuito. Aveva 7 anni, con una tuta usata siamo andati su una pista di Alessandria: correva così forte che un amico mi ha consigliato di farlo partecipare alle gare della Federazione, perché così sarebbe stato più sicuro».
La mamma è Stefania, anche lei grande sportiva (un passato nell’offshore), curiosamente lo stesso nome di quella di Valentino Rossi. Un fratellino sedicenne, Filippo. E la sorella Carola, 20 mesi più adulta. Pecco l’accarezza con lo sguardo: «Da piccoli le facevo mille dispetti, lei sopportava sempre. Col passare degli anni è stata costretta a seguirmi nei circuiti di tutta Italia, col resto della famiglia. Sono sicuro che avrebbe voluto andarsene in giro con le sue amiche. Invece...», sorride il pilota.
Carola dal 2017 lo assiste ufficialmente nel paddock, e oggi cura i suoi profili Twitter, Instagram, Facebook: i follower complessivi – per ora – sono poco meno di 2 milioni. Certo non paragonabili ai 22 del Dottore, nonostante il ritiro dalla MotoGP (adesso Valentino corre con le auto nel campionato Gran Turismo). Bagnaia, come al solito, non ha fretta: «È giusto rendere i tifosi partecipi della tua vita. Dobbiamo aprirci, comunicare: cosa c’è di male? Tik Tok è divertente: lo uso, però non faccio balletti. Un altro ragazzo di Chivasso come me, Khaby Lame, ha 142 milioni di follower. Non ci arriverò mai: anche se Carola fa un gran lavoro, sui social. Non ne sono ossessionato: altrimenti rischia di diventare una palude da cui poi è difficile uscire. Negli anni passati facevo troppa attenzione a quello che la gente diceva di me: certi commenti mi hanno ferito ed è stato qualcosa che mi ha limitato, dal punto di vista mentale. Ora basta, non è più il caso di perdere energie».
Carola dice, di Pecco: «Come me è timido, riservato, fatica ad aprirsi, ha bisogno di qualcuno su cui contare. Insomma: ci aiutiamo a vicenda. Quando s’arrabbia diventa intrattabile, guai a contraddirlo. Meglio lasciare che gli passi. È una persona intelligente, sa cambiare idea. Perfezionista, anzi: precisino». Pecco dice, di Carola: «È paziente, preziosa. La domenica della gara vive in simbiosi con Domizia: un po’ per la tensione, e un po’ per superstizione, quel giorno non mangiano neanche una briciola. Pazze». Domizia è Domizia Castagnini, anche lei naturalmente torinese, fashion buyer: il nonno era Gianfranco Leoncini, giocatore della Juventus, lei fidanzata di Pecco. «Mi sono innamorato di lei nel 2011, avevo 14 anni. Ma ne ho impiegati 5, prima di conquistarla». Al primo vero appuntamento è andato a prenderla con la macchina, neopatentato: «E a Torino, in piazza Castello, ho toccato il marciapiede con l’auto: che figuraccia. Oramai era già cotta di me».
Il 24 dicembre scorso cosa è successo? «Le ho dato l’anello, le ho chiesto la mano. Alla chiesa del Monte dei Cappuccini. Ha detto sì. Un anno magico. La data delle nozze? Dobbiamo fare il corso pre-matrimoniale, trovare il posto giusto, buttare giù la lista degli invitati. C’è tempo. All’inizio era previsto per quest’estate, ma a luglio si sposa Luca Marini (fratello di Rossi, uno dei suoi migliori amici, ndr). Un’idea ce l’avrei: festa per pochissimi amici tra qualche mese in Sardegna. Poi, con calma, la cerimonia ufficiale. Però mi sa che rimanderemo tutto al 2024». In casa, cucina quasi sempre lui: «Stare ai fornelli mi rilassa. Mi diverte. E mi piace vivere con calma, lentezza, serenità: sarà che in pista vado troppo veloce. Quest’inverno è stato il periodo più bello di tutta la mia vita: a casa con la famiglia, prima a tavola e poi leggendo un buon libro in poltrona». C’è una bellissima fotografia che ha scattato in cucina, vigilia dell’ultimo Natale, con diversi cabaret di gnocchi appena preparati insieme a nonna Luciana. «Noi la chiamiamo Uci: il nome l’ha storpiato mia sorella Carola da bambina, lo faceva con tutti. Secondo voi perché invece di Francesco mi chiamano Pecco?».
Noi piloti torniamo ragazzi che condividono la stessa passione. Amici che si rispettanoForse non a caso è sbocciato nella stagione in cui Rossi ha detto addio alle moto: il vecchio re ha abdicato, viva il re! Però che diversità, tra quei due. Quando abbassa la visiera del casco, Bagnaia diventa un animale da gara: sceso dalla moto, ritrova una naturale, misurata eleganza. Un modo di porsi sincero e discreto. Uno stile molto piemontese, lontanissimo dai canoni romagnoli di Valentino. «Mi ha insegnato tutto, o quasi. Caratterialmente siamo diversi, in qualche modo ne sono orgoglioso: non avrebbe avuto senso provare a copiarlo, meglio continuare a essere me stesso». Dimenticatevi allora le pantomime del pesarese al traguardo: tipo il passaggio dato a una bambola gonfiabile che rappresentava Claudia Schiffer (per prendere in giro il rivale Biaggi, fidanzato con Naomi Campbell), i sette nani, la corsa in bagno, Robin Hood e il Pollo Osvaldo, i vigili urbani che gli fanno una multa per eccesso di velocità. No: se Pecco vince – ed è successo la bellezza di 11 volte nell’ultimo anno e mezzo – al massimo stringe forte il pugno, in segno di gioia. «Valentino è esuberante, simpatico, aperto, divertente. La battuta pronta, gli scherzi, le risate. Io sono più chiuso, riservato. Non parlo molto. Timido? Un pochino. La parola giusta potrebbe essere: torinese. Preferisco stare zitto, osservare. Riflettere».
In 26 stagioni di motomondiale, Rossi ha fatto collezione di “nemici” e battaglie: Biaggi, Gibernau, Stoner, Lorenzo, Marquez e mille altri. Bagnaia, invece: «In gara non mi tiro mai indietro: non ho paura di nessuno, farei tutto pur di vincere. Però, una volta tagliato il traguardo è finita. Noi piloti torniamo ragazzi che condividono la stessa passione. Amici che si rispettano. Quest’anno, col mio compagno di squadra Bastianini saranno sicuramente scintille. Ma Enea è una brava persona e un grande talento, ci conosciamo da quando eravamo bambini: come si fa a non volergli bene?».
Confessa di avere vissuto dei momenti difficili. «È successo prima di incontrare Valentino. Dieci anni fa, nella stagione motomondiale d’esordio, avevo chiuso con zero punti. Dopo solo 5 gare, il mio capotecnico mi aveva preso da parte e mi aveva fatto capire che lì non avrei mai avuto un futuro. Il mondo mi stava per crollare addosso. Ero poco più di un bambino che faceva sacrifici enormi: pieno di speranze, cocciuto. I professori del liceo Martinetti di Caluso insistevano: “Cosa perdi tempo con le motorette, pensa al tuo futuro. Studia, che sei bravo coi libri”. Però non ho mai dubitato. E poi, all’improvviso sono arrivati loro due». Valentino Rossi e Uccio Salucci, che del Dottore è l’amico d’infanzia e oggi cura la sua squadra nel paddock. Gli hanno parlato per la prima volta sulla pista di Brno, in Repubblica Ceca: «In sostanza il loro consiglio è stato: “Sorridi di più, ragazzo”. Non sono mai stato un tipo musone, ma chi aveva voglia di sorridere in quel momento? Poi hanno incontrato papà Pietro, che mi aveva seguito nella corsa australiana di Phillip Island, e (incredibile!) gli hanno detto che avrebbero voluto portarmi nella loro Academy di Tavullia». È stato il momento-chiave della sua carriera: negli occhi di Bagnaia si accende una strana luce, quando lo racconta: «Valentino mi ha salvato la vita». Dieci anni insieme, passati in fretta.
Gli piace leggere libri: «Romanzi, meglio se a tema sportivo. “L’arte della Vittoria” di Phil Knight. E la biografia di Roger Federer, un personaggio che mi ha sempre ispirato». A proposito: il tennista svizzero dice che il segreto è fare le cose con calma. «Ma la verità è che lui ha sempre saputo di essere il più forte, ecco perché è così sereno. Io? Ci sto provando: cerco di essere sempre me stesso, di dare il massimo rispettando tutti. E la notte, dormo profondamente». Alcuni film lo ispirano, dice: «Uno in particolare, americano: “Coach Carter”, storia di un allenatore che ha dovuto soffrire e lottare per far crescere la sua squadra. E alla fine, ce la fa. Diciamo che il mio è un contesto sociale e familiare migliore del suo, però ci vedo delle similitudini».
Anche fisicamente, tra il Maestro e l’Allievo c’è una bella differenza. Valentino, capelli chiari, un paio di centimetri sopra il metro e 80, costretto a fare i conti con un’altezza e un peso che lo hanno sempre un po’ penalizzato. Pecco si è fatto crescere la barba, è bruno, 1,75 per 65 chili: sembra disegnato per la nuova Ducati, un gioiello di genio e stile italiano. Guarda un po’: il Dottore a un certo punto aveva provato a vincere il titolo iridato con la moto emiliana, lasciando la Yamaha. Furono due sciagurate stagioni, senza neppure un GP vinto. Che delitto. «Momenti diversi. Quando sono arrivato io, la Rossa era in crescita. Però aveva problemi con le gomme, non girava bene in curva. Mi sono subito messo a dialogare con meccanici e ingegneri: perché il successo è sempre una combinazione di cose, un gioco di squadra. In fondo, sono solo quello che porta la moto all’arrivo. È andata bene, o no?».
Il primo successo in Aragona, nell’autunno del 2021, dopo aver sorpassato 7 volte (!) Marc Marquez negli ultimi 3 giri: un segno del destino. Nel 2022 i gran premi vinti sono stati 7, protagonista di una rimonta che a metà campionato pareva impossibile. Quartararo aveva 91 punti di vantaggio. «Ho dubitato una notte, non di più. Il mattino seguente sono tornato a lavorare duro. Senza perdere tempo in chiacchiere o scuse. Non c’è bisogno di urlare, per farsi sentire: bastano i fatti». Si dice che gli appassionati di motociclismo vogliano il campione “maledetto”, sregolato: tipo Marco Lucchinelli, che trent’anni fa saliva sul podio fumando una sigaretta. O Jack Miller: l’australiano festeggia i successi bevendo Prosecco DOC direttamente dallo stivale. «Non è il mio genere. Anche se qualche mese fa, l’ho fatta grossa». Ibiza, primi di luglio: al volante di un’auto in affitto, perde il controllo e finisce in un fosso. Ne esce illeso, nessun altro veicolo è coinvolto. Intervengono i militari della Guardia Civil, scatta il test: è 3 volte oltre il limite massimo tollerato. Patente ritirata. «È bastato un bicchiere. Non reggo l’alcol. Non accadrà più, ho imparato la lezione. Promesso».
Oliviero Toscani sostiene che gli sportivi dovrebbero impegnarsi pubblicamente per fare di questa società un posto migliore. «Ha ragione. Apprezzo Lewis Hamilton, un campione schierato contro il razzismo e per i diritti dei più deboli. Ma io sono ancora giovane, mi sento immaturo sotto tanti punti di vista: non credo di poter essere un riferimento, non è il momento. Posso però mandare dei messaggi positivi ai ragazzi: uno di questi è essere trasparente, sincero, onesto in tutto quel che faccio. A costo di non piacere. L’ho imparato da Valentino, che non ha mai voluto essere a tutti i costi un personaggio. A lui è riuscito così, naturalmente». Pecco Bagnaia però è diverso. «Lui ha vinto 9 mondiali, è una leggenda. Io sono a quota 2. Ma posso permettermi di dire che ci assomigliamo un pochino, nella sensibilità alla guida? Alcune volte è un vantaggio, in altre forse servirebbe più “ignoranza”. E poi, la determinazione: non mi arrendo mai».
All’esordio nel motomondiale aveva il numero 21, quindi è passato di categoria (Moto2) e ha preso il 42. All’arrivo in MotoGP ha cambiato ancora: 63. Per la nuova stagione che comincia in Portogallo a fine marzo, Bagnaia ha scelto la tradizione, mettendo il numero 1 sulla carena. Come si faceva una volta. «Rappresenta quello che sono: è arrivato il momento di omaggiare il titolo vinto». L’ultimo era stato Stoner, nel 2012. Valentino è sempre rimasto fedele al 46. «Non abbandono del tutto il mio vecchio 63, mi farà ancora compagnia sul casco», dice Pecco. Scaramanzie. A proposito: in questo secolo, solo il Doc e Marquez sono riusciti a rivincere il titolo l’anno successivo. «Sarà difficile, complicato: questa Ducati va fortissimo, ma i nostri avversari vogliono la rivincita. Quest’anno dovrò fare grande attenzione al ritorno di Marquez, al solito Quartararo. E a Bastianini. Non sarà facile, però sono abbastanza ambizioso e determinato per farcela. Ho imparato a pensare a una gara per volta. Posso gestire tutta questa pressione. Restando calmo, per andare sempre più forte».
(Foto DUCATI)