Nel 1999 usciva al cinema La fame e la sete, un simpatico film diretto e pluri-interpretato da Antonio Albanese. Se parliamo di questo film ci viene subito in mente una scena in particolare, ovvero quella in cui Alex Drastico, figlio del defunto cui ruota attorno la storia, e la madre devono scegliere il carro funebre per il morto. Di fronte a ogni proposta la madre (una splendida Lucia Guzzardi) non sembra accontentarsi e chiede insistentemente: «Di più!».
A volte la cucina italiana sembra chiedere solamente “di più”: più sperimentazione, più internazionalità, più colore, più TikTok… E alla fine di questo carrozzone in pochi si ricordano che in teoria al centro del dibattito culinario dovrebbe esserci il cibo.
Se il grande racconto della ristorazione cittadina fosse un ampissimo cinema, il ristorante Ca’ Mia– Casa Albano sarebbe un’ottima pellicola da proiettare. Perché? Perché è incastonato nella tranquillità delle curve sopra Moncalieri, perché ha delle sale shabby chic fighissime e una cantina da Le mille e una notte… ma, nonostante ciò, al centro mette sempre le proprie ricette.
Marco, Davide e il loro team sono i veri mattatori di Ca’ Mia
Ricette non banali, mai esasperate, figlie dell’esperienza. D’altronde Marco Albano è figlio d’arte, fiero timoniere di un ristorante che ha ereditato e poi plasmato a sua immagine e somiglianza. Ca’ Mia è un luogo classico ma con una nota cosmopolita, sa di Francia e Soho; con una cucina che è intrinsecamente curiosa e desiderosa di scoprire, ma allo stesso tempo oculata, rispettosa dei gusti e delle tradizioni. Ve la riassumono meglio i piatti preparati da Marco e da chef Davide Tedesco.
Iniziamo con i fiori di zucca ripieni, panati nel panko e appoggiati su una coulis di pomodoro: certamente la tradizione, ma il panko è tanto nipponico quanto funzionale nel rendere croccante e delicato il tutto. Proseguiamo con un risotto alla barbabietola, spuma di caprino e crumble di arachidi: un bel gioco di sapori e consistenze, in cui l’arachide dà quel non scontato sprint in più.
Ci incamminiamo poi verso il climax del pasto con le costolette di maiale, chutney di pesche, demi-glace al miele e mele fresche: un cult, una certezza che gira come quel film che amiamo fin da bambini e guarderemmo cento volte. Concludiamo con una bella costruzione di dessert, parole chiave: cioccolato, ricotta, fichi; ovvero fresco, gustoso, sorprendente nel giusto. Degni titoli di coda di un pasto ricco, stimolante e senza sbavature. Come dovrebbe essere.
Sottolineiamo questa sensazione a Marco, che è affilato come la sua cucina, e ci risponde così: «Che tu sia cliente, fornitore, amico… quando ti siedi da Ca’ Mia devi essere coccolato. Se no per quale motivo mangi fuori? Servono precisione, competenza e dedizione, dall’ampia scelta del vino alla brioches di benvenuto, fino a tutte le voci del menù che cambiano stagionalmente. Ogni dettaglio deve essere al posto giusto, è il nostro mestiere».
Marco sa essere anche un simpatico, ma su certe cose sicuramente non si scherza… E allora ci torna in mente una delle prime volte che siamo stati qua. Seduto al tavolo di fianco a noi c’era un signore americano, parlottava non benissimo l’italiano, era molto elegante, ma soprattutto era felice. Perché? Perché guardava i colori attorno e sorrideva, scorreva la carta dei vini ed era contento, e quando gli hanno elencato una lista di piatti consigliati per assaggiare qualcosa di tipico, era al settimo cielo. Era coccolato, lui lo sapeva e noi lo notavamo. Ed è così che funziona da Ca’ Mia, che tu sia nato a Torino, Boston o Londra: ci si sente un po’ sempre a casa.