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Roger Federer

il Re delle ATP Finals

di Matteo Musso

Autunno 2022

QUEST’ANNO NON LE GIOCHERÀ – IL SUO PASSO D’ADDIO È STATO DEGNO DELLA SUA LEGGENDA – MA È IL CAMPIONE CHE LE HA VINTE PIÙ DI TUTTI, SEI VOLTE. FEDERER NON È STATO SOLO IL PIÙ GRANDE, MA È IL SINONIMO STESSO DEL SUO SPORT, PER L’INFINITA CLASSE IN CAMPO E FUORI. IL SUO ULTIMO COACH È UN MONCALIERESE D’ADOZIONE, CON LUI HA FIRMATO LE PIÙ RECENTI VITTORIE

Un altro modo per dire tennis? Roger Federer. Il migliore per molti, inimitabile per tutti, anche nel momento del congedo dal tennis giocato. Non vedremo più un giocatore così e non assisteremo più a un addio come quello di Re Roger. Chi potrà mai dire basta scortato dalle leggende Laver, Borg, McEnroe e dai rivali di una vita Nadal, Djokovic e Murray, com’è successo a lui?

Ha vinto tanto e tutto, ha regnato e abdicato, e ha fatto tutto questo con un tennis che esisteva solo nella sua testa e nel suo braccio destro. Quando è atterrato tra i mortali del mondo del tennis ha indicato una nuova strada: i più stolti guardavano la racchetta, i più saggi il suo immenso talento, che gli ha permesso di attraversare 24 anni di circuito ATP praticamente senza sudare. Ha elevato il gioco così in alto che per quasi un lustro nessuno è riuscito non dico a impensierirlo, ma nemmeno ad avvicinarlo, a guardarlo in faccia.

Roger Federer

Roger Federer

Il primo a bussare alla porta dell’Olimpo è stato Rafa Nadal, e tra i due è nata una delle più straordinarie rivalità e amicizie nella storia dello sport. La recente foto nell’arena londinese dei due “vecchi” eroi piangenti, uno al passo d’addio, l’altro non troppo distante, con le mani che si sfiorano, è già da incorniciare e tramandare ai posteri. Servizio, dritto, volée, rovescio a una mano, tweener vincenti, l’invenzione del SABR (Sneak Attack By Roger) – una risposta al servizio praticamente in demi-volée con relativa discesa a rete. Oscar Wilde diceva che la vita imita l’arte; nessuno potrà mai, invece, imitare Federer. Nemmeno i suoi più grandi avversari, che pure chiuderanno la carriera con più titoli Slam dello svizzero. Tuttavia, un’atleta non lo si giudica solo dalla bacheca, ma da quanto ha cambiato e inciso nel suo sport, dalla capacità di emozionare e ispirare. Chi sa entrare nel cuore delle persone ha qualcosa di speciale, che prescinde persino dalla bontà del suo lavoro.

Roger Federer rovescio

King Roger di speciale non aveva solo variazioni, angoli, immaginazione. Federer è uno di quei rari casi in cui la qualità dell’individuo supera persino l’eccezionalità del professionista. Non tutti sanno che la Laver Cup nasce dalla volontà di Federer di omaggiare e aiutare economicamente il campione australiano: «Sai che in un’esibizione qualunque guadagno quanto Laver in tutta la sua carriera?», spiega una sera lo svizzero al suo manager Tony Godsick, ponendo le basi per la creazione del torneo. «Se ami davvero il tuo sport, devi studiarne la storia per capire com’è diventato quello che conosciamo oggi», scriverà lo stesso Roger nella prefazione dell’autobiografia di Laver.

Un gentleman, peRFetto in campo e fuori, anche nel momento di procreare: due gemelle e due gemelli, noblesse oblige. La sua storia, tuttavia, non è fatta esclusivamente di gloria e successi. Da ragazzino impreca, lancia racchette, piange a dirotto a ogni sconfitta. A 16 anni fa volteggiare il ferro del mestiere come un boomerang e taglia il telo che copre un campo nel cantone di Berna: per punizione si alza all’alba per una settimana e aiuta il custode a pulire i bagni del centro sportivo e a preparare i campi di prima mattina. «So che non dovrei farlo, il fatto è che non mi perdono nessun errore», spiega all’epoca il futuro numero 1.

Roger Federer e Ivan Ljubicic

Roger Federer e Ivan Ljubicic

Vedere dieci soluzioni quando la maggior parte dei tennisti è già felice di individuarne una, è un enorme vantaggio, ma nasconde al suo interno la capacità, per nulla scontata, di scegliere ogni volta quella più redditizia. Quando ci riesce, fa il vuoto. Non c’è scenario migliore di Wimbledon per rivelarsi al mondo e Roger sceglie il 2001. Secondo un’antica leggenda, nottetempo, sotto l’enorme telo verde che copre il Centre Court, gli dei del tennis si danno appuntamento per scegliere chi ammettere nel tempio. Quell’anno Federer sconfigge agli ottavi di finale Pete Sampras, reduce da sette championship nelle precedenti otto edizioni: è il passaggio di consegne. Una manciata di anni prima Gianni Clerici, immortale “Scriba” del tennis, anticipò tutti: «Ho rivisto Laver, ma è diventato destro, e dev’essersi tinto di nero i capelli».

Roger Federer fan

 

Sono 103 i titoli vinti in carriera, tra cui 20 tornei del Grande Slam, 28 Masters 1000 e 6 ATP Finals, oltre alla Coppa Davis con la Svizzera. L’accoppiata Parigi-Londra nel 2009 e la finale degli Australian Open 2017 sono forse le perle di una carriera unica anche nelle sconfitte.

Fondamentale nel plasmarlo da giovanissimo è il coach australiano Peter Carter, che lo accompagna fino al suo ingresso nel circuito professionistico. L’ultimo a sedersi nel suo angolo è l’amico e padrino dei suoi figli Ivan Ljubicic, con cui sarà capace di vincere gli ultimi tre major in carriera. Scappato da un campo profughi durante la guerra nei Balcani, Ljubicic trovò riparo e fortune proprio a Moncalieri, dove, nei primi anni ’90, si allenavano i campioni italiani Camporese, Furlan e Caratti. È lì che Ivan conosce Riccardo Piatti, l’allenatore che gli cambierà la vita e lo condurrà al numero tre del mondo e a lottare proprio con i FabFour. Nel dicembre 2015 Ljubicic, racchetta già appesa al chiodo, va a cena come d’abitudine con Federer e rispettive mogli, e ancora non sa che si tratta di un colloquio di lavoro: «Non sapevo stesse cercando un altro coach. Ero fiero pensasse che avrei potuto dargli un qualcosa in più. Erano cinque anni che non vinceva uno Slam e credevo fermamente potesse riuscirci ancora. È stato il momento più importante della mia carriera». L’aspetto più difficile nell’allenare Federer? «Migliorarlo! Una ventina di volte mi è successo di essere in campo e non riuscire a dire una parola perché non c’era niente da dire talmente era perfetto. E ti senti anche stupido, perché pensi: “Questo mi paga e io non ho niente da dirgli?!”».

Chissà invece se Matteo Berrettini, vicino a Federer durante il passo d’addio, avrà una nuova occasione al Pala Alpitour dopo le lacrime del 2021: «Prima di conoscerlo sapevo che era una bella persona e un grande giocatore – racconta ancora Ljubicic, che di Berrettini è il manager – ma non mi aspettavo questa profondità di pensiero. Matteo è il ragazzo che si avvicina di più a Roger dal punto di vista umano». Che atterri quest’anno o il prossimo sotto la Mole, Federer ha promesso che non sparirà. Lo rivedremo, in campo o con chissà quale ruolo, ma il tennis resta il suo mondo e non lo tradirà. Non l’ha mai fatto.

Roger Federer esulta

 

(Foto dii DEPOSITPHOTOS)