Gambero Rosso, i Cento di Torino, Vanity Fair… Parlare di Vale un Perù oggi vuol dire trattare una realtà matura, importante, presente nelle guide gastronomiche più autorevoli; per questo abbiamo deciso di andare a trovare Miguel e Patricia, ma senza parlare del “percorso” (di quello hanno già scritto in tanti), bensì di risultati. Quali sono questi risultati? In brevissime parole: parlare oggi di cucina peruviana a Torino, significa parlare di Vale un Perù; luogo cult della gastronomia torinese contemporanea che fa rima con ceviche e pisco, simboli culinari ancestrali del Perù nel mondo. Quando parecchi anni fa Miguel Bustinza e Patricia Trujillo hanno inaugurato la propria avventura di ristorazione a Torino, la loro era prevalentemente una missione di stampo culturale: volevano raccontare il Perù ai torinesi che, come è prevedibile, non ne sapevano veramente nulla.
Oggi un sacco di torinesi (anche il sottoscritto), per merito di Vale un Perù, amano, esplorano, elogiano, condividono la cucina peruviana. Perché è divertente, educativa, ampia, ricca di storie e sapori. Allora c’era solo Vale un Perù, adesso l’esperienza gourmand di NATIVO (sempre in via San Paolo) e il format street food di Patria (in via Berthollet) completano l’universo di Miguel e Patricia. È cambiato tanto sì; ma ci piace immaginare un futuro in cui la curiosità, anche a tavola, ci guida alla scoperta di altre culture e di noi stessi.
C’è un amore particolare in questi piatti
«Identità e radici – incalza Miguel – sono cose diverse, ma complementari. Tradizionale non vuol dire vecchio, anzi. Non dirò mai che questo piatto è “come lo faceva mia nonna”. Anzitutto non sarebbe vero, ma poi non sarebbe giusto. Noi siamo chiamati a portare avanti la tradizione, ciò che cucinava mia nonna può essere d’ispirazione, ma questo piatto deve essere “mio”. Perché dentro ci sono io, le mie esperienze, la mia contemporaneità, le mie idee. Se no la tradizione muore». Mi piace pensare che il ceviche che si mangia da Vale un Perù, che è il migliore della città (non lo diciamo solo noi ma guide, critici, espertoni vari), sia di questo livello proprio in quanto conseguenza diretta del concetto spiegato da Miguel. Un ceviche ambasciatore di una tradizione ultrasecolare, ma allo stesso tempo figlio autentico del suo presente.
Dello stesso stampo il discorso sul pisco, distillato iconico peruviano, simbolo indiscusso del Perù, base del pisco sour (pisco, sciroppo di canna di zucchero, lime, albume d’uovo, angostura), un cocktail semplicemente irresistibile; per noi il migliore possibile, anche se chilcano, pisco passion… si difendono alla grande. «In realtà è stata una faticaccia – ci spiega Patricia – perché spiegare cos’è il pisco e i suoi utilizzi a chi nemmeno, giustamente, lo conosceva, non è stato facile. Oggi i nostri clienti arrivano e ordinano subito un pisco sour, chifles, manioca… ma non è sempre stato così». Uno dei piatti che Miguel ci propone è il ceviche nikkei, cioè peruviano-giapponese; ma non chiamatelo “fusion”, guai: «In realtà la cucina nikkei è cucina peruviana, perché nasce in Perù. Dal 1875 circa in Perù giunsero i primi giapponesi (i cinesi erano arrivati prima portando soia, zenzero…) e con il loro arrivo si creò un fruttuoso incontro di culture differenti. I giapponesi cucinavano utilizzando le materie prime del posto, e in breve nacquero vere e proprie ricette nikkei, con un’identità ben precisa. Per questo non è fusion, ma peruviana».
Il bello di Vale un Perù non è solo nel menù (colorato, gustoso, sorprendente), ma nel bagaglio emotivo-culturale che ti porti a casa quando ti alzi da queste sedie. C’è un amore particolare in questi piatti, e forse è il vero segreto per cui oggi, nonostante le alternative esistano, chi brama vera cucina peruviana sceglie via San Paolo. «In inverno i soldati, in Perù, e siamo a fine ‘800, bevevano il Vermouth, che arrivava proprio da Torino; e lo mischiavano con il pisco per scaldarsi, in un formato da chupito. “Per il mio capitano”, ripetevano gli osti, felici di aver trovato quella formula, mentre porgevano ai soldati da bere. Nacque così il Capitàn che, arrivato a Lima, dato il successo, divenne il cocktail che conosciamo oggi. È stato poi un po’ dimenticato dalla storia, per questo abbiamo voluto metterlo in carta da Vale un Perù». Questa è Patricia che ci racconta la storia del Capitàn: mas que un cocktail, un “Lima Connection” che lega Italia e Perù nella maniera più romantica che ci sia. Quella delle storie fascinose, che fanno innamorare, e che fanno tornare in posti come Vale un Perù. Ogni volta.