Home > Places > Viaggi del Direttore > Magiche luci sul Baltico, antiche storie, futuro sostenibile
Il suo colore è quello dell’acciaio, cupo e bruno col cielo velato, ma, in alcuni tratti della costa di Rügen, diventa verde smeraldo, blu di Prussia all’orizzonte. Più solenne che rasserenante è un mare carico di storia e di storie. Come dice lo scrittore Massimo Miro: «Ha un fascino irresistibile per quanto inspiegabile. È come un gorgo di vuoto nell’animo umano». Quando il tuo sguardo si affaccia sul Baltico, ultimo mare d’Europa prima del Grande Nord – più in alto la cartografia colloca solo la penisola Scandinava e il Mar Glaciale Artico – hai l’evidente sensazione di trovarti al confine di due mondi separati dalle acque. Quello a noi più prossimo – il continente, dove la Germania ha sempre avuto un ruolo egemone per storia, economia e cultura – e l’altro freddo e differente, dove le terre emerse sono scandinave, dove nel mare navigano cetacei immensi, dove la mitologia baltica ha tenuto lontano il cristianesimo fino al XII secolo, quando già il resto d’Europa era cristianizzato da tempo. Nel pantheon governava Dievs, personificazione del cielo, Pekons signore del tuono, la dea Laima, personificazione del fato (favorevole o avverso), Veinas, signora dei serpenti e dei defunti, e tante altre divinità animiste legate al mondo della natura, della luce, del mare, delle navi, delle piante, della terra… Da segnalare anche la presenza benevola dei “prussiani”, che Adamo da Brema descrive di colore blu, rubicondi in viso e dai capelli lunghi. Rifiutano qualsiasi autorità e hanno il compito di salvare coloro che sono in pericolo nel mare.
Compito prezioso perché il Baltico offriva la vita – pesca e commerci – ma incuteva paura per mostri, tempeste e pirati. Sul suo nome il copyright porta l’autorevole firma di Plinio il Vecchio, che coniò il termine Baltia. Le gelide acque custodiscono ancora oggi i propri segreti, lasciando che, a volte, vengano svelati. Si calcola che sotto la superficie si trovino oltre 20mila tra relitti e parti di essi. Una conservazione dovuta alle basse temperature, alla scarsa salinità e all’assoluta oscurità; tre fattori che rendono lentissimi i processi di decomposizione del legno. Ma, oltre alle navi, può comparire qualcosa di ancora più misterioso. È il caso del presunto “UFO del Mar Baltico”: un grande oggetto rilevato dall’Ocean X Team di Peter Lindberg, cercatore di tesori sommersi, l’uomo che, nel 1997, rinvenne una goletta con 2400 bottiglie di champagne Heidsieck & Co, poi rivendute a 2200 euro l’una. In questo caso niente bollicine, ma una strana forma, quasi perfettamente circolare, che poteva essere – queste le ipotesi – una navicella spaziale (affine nelle forme al Millennium Falcon di Star Wars); la leggendaria navicella spaziale Haunebu costruita dai nazisti; una sorta di Stonehenge inabissata durante epoche remote; o un fenomeno naturale risalente a 20mila anni or sono, forse la spiegazione più ragionevole, ma che non spiega forme levigate e scanalature.
L’intera costa del Baltico estrae, lavora e commercia una gemma strettamente legata alla sua storia: l’ambra, già conosciuta e apprezzata 6000 anni fa, persino presente nel corredo funerario del faraone Tutankhamon. Gli antichi romani la diffusero in tutto il loro sterminato impero, più tardi furono le navi della Lega Anseatica ad offrirla in ogni dove. Anche in questo caso la storia si intreccia come la leggenda, perché nella mitologia l’ambra è sinonimo di lacrime, quelle delle sorelle di Fetonte che piansero la sua morte, quelle degli uccelli marini evocate dai vichinghi, quelle della dea delle sirene Jūratė, versate alla morte del suo amato, ucciso dal dio del tuono. Quando si diradano le nebbie di folklore, leggende e magia, possiamo far luce sulle sue origini, comunque antichissime. L’ambra è una resina fossile, che può essere “pescata” nel mare (ed è la pratica più antica, simile alla ricerca delle pepite d’oro), oppure estratta sulla terraferma. La sua fortuna è legata a una certa disponibilità della materia prima, aurea e trasparente, ma assai meno costosa rispetto alle pietre preziose. In più il pregio estetico è sempre andato di pari passo coi significati alchemici e curativi. L’oro del Mar Baltico, apparentemente inesauribile, continua a fare il giro del mondo. Ma cercarlo nella sua terra d’origine ci connette con Fetonte e Jūratė, vuoi mettere?
Verrebbe da definirla una città anfibia, tanto il suo rapporto col mare è stretto, mescolando geografia, storia, economia, sport e cultura. La sua posizione si è rivelata, sin dall’alto medioevo, perfetta per un grande porto, ben disegnato dalla natura e protetto dalle insidie del mare aperto, incastonato nel fondo di un fiordo – lungo 17 chilometri – dove il fiume Eder si getta nel mare. Ma la vera svolta avvenne nel 1895, quando fu varato il Canale di Kiel, che ancora oggi collega il Mare del Nord con il Baltico. Il successo del suo porto, rilevante anche dal punto di vista militare, fu la causa dei devastanti bombardamenti angloamericani durante il secondo conflitto mondiale. L’80% dell’abitato, e tutto il centro storico, venne raso al suolo. Cosi oggi ci si trova di fronte a una città moderna, che ha evitato, almeno in gran parte, la ricostruzione frettolosa del dopoguerra, dominata da edifici funzionali ma privi di ogni pregio estetico. Kiel, invece, è sobria ma piacevole: tanti spazi verdi, grandi viali alberati, molte piccole abitazioni con giardino che collegano l’abitato con la campagna circostante. I suoi 250.000 abitanti si percepiscono ma quasi non si vedono.
La ragione della visita è quel profumo di salsedine che fa da preludio alla promenade (Kielline per i nativi) lungo l’immenso porto, che ospita gigantesche navi da crociera, battelli da pesca, boathouse e velieri in legno, tantissimi velieri, come mai ci è capitato di vederne in un porto contemporaneo. Se li isolate con lo sguardo dal contesto circostante, avrete la sensazione di un balzo indietro nel tempo, centocinquant’anni almeno, quando la navigazione a vela collegava città e continenti. Il rapporto tra Kiel e il mare si può perfezionare visitando l’Helmholtz Centre for Ocean Research, con la sua vasca all’aperto per le foche, e lo Schifffahrtsmuseum Kiel, nome assolutamente impronunciabile (arricchito da ben tre effe consecutive…) per una struttura che racconta le due attività chiave dell’economia regionale: l’industria marittima e la pesca. Toccante la visita al Memoriale Navale: torre di mattoni rossi alta 72 metri, eretta per ricordare i marinai periti in mare. Dalla terrazza panoramica il fiordo di Kiel si disegna nitido come una mappa. Altro panorama, ma più rivolto al centro cittadino, si può ammirare salendo sulla torre del municipio. L’arteria cittadina più amata è la Holstenstraße: grandi magazzini monomarca, negozi di pregio, ma anche attività con “progetti meritevoli” sostenuti dalla municipalità. È il caso di derHeimathafen (numero civico 2-12) che mette in campo una selezione infinita di vinili vintage (ottimi prezzi, impossibile sottrarsi all’acquisto), ma anche oggettistica design di pregio e una selezione di gourmandise internazionali. Un ibrido contemporaneo da prendere a modello. Sulla medesima via, a poche centinaia di metri, si trova la chiesa di San Nicola (ancora in ristrutturazione per pochi mesi), che ospita la sua sfolgorante pala d’altare, un libro aperto sulla vita di Gesù. Sempre in centro il mio approdo gastronomico preferito: Lüneburghaus, ristorante dove la tradizione germanica viene proposta con accordi originali e ingentiliti. Ricercato e originale l’ambiente, che richiama i jazz club degli anni Cinquanta.
Se avete modo di scegliere la data per un viaggio che comprenda Kiel puntate sul mese di giugno, quando si disputa la Kieler Woche, tra le massime regate al mondo, senz’altro la più partecipata e coinvolgente. I numeri rendono bene l’idea: 5000 partecipanti, 2000 imbarcazioni, 3 milioni di spettatori, tutte le classi impegnate, nazionali e internazionali, olimpiche e d’altura, oltre a un numero imprecisato di amatori. Tutto si svolge lungo il fiordo e in mare aperto, mentre la città vive una festa continua dalla tarda mattinata a notte fonda. Ovunque stand gastronomici internazionali e padiglioni dedicati alla cucina germanica, dove la birra scorre a fiumi. Dal pomeriggio la musica prende il potere, con palchi in tutte le piazze del centro. Fulcro della Woche metropolitana la piazza del municipio, dove viene allestito un palco mastodontico che rimanda ai grandi festival internazionali. Ogni sera si esibiscono almeno quattro gruppi di levatura internazionale, mentre la kermesse gastronomica accompagna quella musicale. Kiel è una città particolarmente attenta alla sostenibilità ambientale: cura delle acque e del patrimonio marino, riciclo e riutilizzo dei rifiuti, valorizzazione del verde pubblico. Un impegno che vede i privati assecondare l’impegno della municipalità. Esemplare la gestione dell’Hotel Birke, struttura posizionata a 5 chilometri dal centro (dieci minuti d’auto), in un contesto idilliaco: prati, boschi, casette come in una fiaba dei fratelli Grimm. La gestione familiare vede in prima linea Rainer Birke, Jasmine Birke e Florian Buchebner. I servizi sono tutti all’insegna della sostenibilità: uso dei materiali, accessibilità delle strutture, cucina bio, possibilità di organizzare passeggiate nella natura. Ricca di opportunità la grande spa, favolosa la piscina con caminetto. Al Birke offrono pacchetti che combinano soggiorno e servizi, una tentazione per sintonizzarsi col respiro del Baltico.
La politica sottomessa all’economia e alle sue priorità, l’alleanza tra le grandi forze dell’imprenditoria per dettare regole volte al profitto, la capacità di imporre prezzi concordati a priori, la presenza di un potere parallelo rispetto a quello politico, trasversale, influente, ricco, perché fondato sulla ricchezza perseguita da soggetti paritetici. Siamo nel XXI secolo? Stiamo parlando degli straricchi del Gruppo Bilderberg? O del World Economic Forum di Davos? No, ci riferiamo ai principi della Lega Anseatica, la più grande alleanza commerciale del medioevo (e non solo) nata, sulle rive del Baltico, nel XII secolo. I principi che la costituirono restano di grande attualità, perché propongono una ben dosata formula di vincoli e di privilegi, mettendo al centro la città – coi suoi mercati – e anteponendola agli stati nazionali, pesanti per gabelle e burocrazia. Vince “il piccolo” che, alleandosi, diventa grande, formando una rete di protezione che ne tutela l’economia e l’indipendenza. Le principali città furono: Lubecca (più volte definita la regina della Lega Anseatica), Amburgo, Brema, Berlino, Kiel, Rostock, Stralsund, Wismar, Danzica, Stettino, Amsterdam, Groninga, Copenaghen, lo stato monastico dei cavalieri teutonici, Visby, Tallin, Riga, Kaliningrad… in tutto 70 e oltre 130 collegate. Ma in ogni città d’Europa, anche mediterranea, esisteva un “fondaco anseatico”, che stoccava e distribuiva merci. Le navi della lega operavano tra il Mare del Nord e il Baltico, fino alla Russia. L’alleanza si potrebbe definire tanto solida quanto “destrutturata”, non esisteva infatti un regolamento vero e proprio, né un tesoro unitario, né un esercito o una flotta comune. Vigeva il principio della reciproca assistenza e della protezione contro i nemici comuni, tutte le decisioni erano assembleari, poi ratificate dalle singole città. Nel periodo di massimo splendore la lega sconfisse prima il re di Danimarca e poi quello di Scandinavia, le armi dei commercianti erano invincibili. Il tramonto avvenne senza un atto preciso: a partire dal 1492 le rotte verso le Americhe spostarono il baricentro della navigazione, mentre in Europa si impose l’ascesa degli stati nazionali, più forti e meno inclini alle autonomie. Era il tramonto di un’epoca. L’ultima città anseatica ad ammainare bandiera fu Lubecca, la regina, dove il mito non si è mai arreso.
Lubecca è una meraviglia sostanzialmente preservata dalla storia. Se alloggiate all’Holiday Inn – ottima scelta, posizione strategica, ambientazioni e design che reinterpretano la storia della città, confortevole piscina e sauna – fate una passeggiata nel parco e, in pochi munti, arrivate alla Burgtor. Valicandola entrate in una macchina del tempo, perché la città vecchia è ancora quella concepita durante gli anni della Lega Anseatica. Con numerosi capolavori di gotico baltico e oltre 1000 edifici storici tutelati. I devastanti bombardamenti del secondo conflitto mondiale hanno miracolosamente risparmiato la quasi totalità del centro storico: una favola medioevale che si propone come un’isola, circondata dal fiume Trave e dal suo affluente Wakenitz. La visita può essere lasciata al caso, perché le distanze da percorrere sono brevi e il naso resta costantemente levato verso i tetti aguzzi e i campanili delle sue sette chiese. Certamente vale una sosta la piazza del municipio, eclettica, colorata, con gli ampi portici a cingerne le forme.
La chiesa di San Pietro – pesantemente danneggiata durante i bombardamenti e ricostruita completamente solo nel 1987 – ha due particolarità: un interno totalmente spoglio e tinteggiato di bianco, dall’evidente misticismo, e una torre di 107 metri, che permette di salire (in ascensore, o a piedi, se volete) fino a quota 50, dove Lubecca si offre come una mappa affrescata. I tetti del centro, gli edifici gotici, le chiese, il fiume, tutto appare nitidissimo e distinguibile. Il Burj Khalifa del medioevo anseatico. Tra le porte d’accesso alla città la più popolare è la Holstentor, imponente edificio con due torri aguzze, curiosamente inclinato nella parte posteriore, con effetto “Torre di Pisa”. Sul frontale compare, ben visibile, l’iscrizione S.P.Q.L. di ispirazione romana, dove la lettera conclusiva sta per Lubecensis in luogo di Romanus. Si può scoprire una città dall’acqua all’insegna della sostenibilità? In più sentendosi protagonisti della navigazione? A Lubecca è possibile grazie a Boat Now, che vi propone di guidare un piccolo battello elettrico circumnavigando tutto il centro storico. Le istruzioni sono di una semplicità assoluta, il percorso elementare, le soste quando volete,
per fotografare, rilassarvi o godere di uno scorcio particolarmente interessante. Con la bellezza del centro storico che fa da sfondo, si scopre una città moderna, che è cresciuta lungo gli argini, mimetizzata nel verde, ma in perfetta armonia col contesto storico e ambientale. Il museo per eccellenza di Lubecca è quello dedicato alla Lega Anseatica, l’European Hansemuseum. Si trova in un austero edificio anticamente adibito allo stoccaggio delle merci e alla guarnigione della città. La visita, particolarmente consigliata agli appassionati di storia, ci riporta indietro nei secoli con installazioni multimediali, curatissime ricostruzioni d’ambiente, suoni e colori di un’epoca lontana. Più tradizionale, e artisticamente pregevole, il Museum Behnhaus Drägerhaus, dove la collezione comprende notevoli tele ottocentesche e opere di due star indiscusse: il tedesco Caspar David Friedrich e il norvegese Edward Munch, che visse in città all’inizio del XX secolo. La Lubecca gastronomica merita un discorso a parte, dove tradizione e modernità dialogano felicemente. Iniziamo dalle radici più classiche e approdiamo al Café Niederegger, tempio consacrato al marzapane.
Il perché di tanto amore ha una spiegazione storica, che ci riporta indietro di quasi mille anni, al debutto della Lega Anseatica. I mercati veneziani che approdarono a Lubecca portarono in dote, tra le tante mercanzie, questo dolce mediorientale a base di zucchero, mandorle e spezie. Fu amore immediato e la ricetta venne perfezionata col tempo. Ma il grande successo arrivò solo nel 1806, quando Johan Georg Niederegger fondò il suo stabilimento e questo meraviglioso caffè storico che ne porta il nome, gestito con maestria dai suoi eredi. Non ho mai gustato marzapane migliore: soffice, delicato, di armonia memorabile. La ricetta è segreta, ma si narra che sia l’acqua di rose l’ingrediente strategico. Al secondo piano è stato allestito un piccolo museo che racconta la storia di questo dolce leggendario, attraverso luoghi e protagonisti che lo hanno reso celebre. La ristorazione in città riflette il mood contemporaneo della cucina tedesca: prodotti bio, sapori di prossimità, antiche ricette messe in scena come spunto, con accordi etnici che spaziano dal Mediterraneo verso ogni dove.
Il Newport è un locale che ha occupato una zona dismessa sulle rive del fiume, per creare un avamposto sofisticato e accattivante, internazionale nelle soluzioni architettoniche, panoramico verso la città vecchia e lo skyline delle sue chiese. Ma c’è di più, i proprietari hanno anche realizzato un porto turistico, destinato a movimentare tutta l’area attraverso un’offerta ricca di opportunità. Detto che la serata inizia con ben concepite proposte di mixology, si passa a una cucina fantasiosa, di terra e di mare, dove il Baltico si lascia ispirare dall’Italia, dalle spezie mediorientali, da contaminazioni di un’Asia vicina e ammiccante. Al Fangfrisch Lübeck è invece il mare a dettare la rotta, ma le soluzioni sono solo apparentemente semplici. Il loro motto è “appena pescato”, con una certificazione che garantisce l’utilizzo di materie prime esclusivamente regionali. Cotture e preparazioni ci connettono con il linguaggio della modernità, ma l’anima resta quella dei piatti anseatici della tradizione, concepiti sulle navi e nel porto. Un’evoluzione colta sul nascere, coinvolgente e vincente nei risultati.
Thomas Mann, che vi ambientò una sequenza letteraria de I Buddenbrook, affermò di aver trascorso a Travemünde i momenti più belli della sua vita. E questa fu, a partire dal 1802, una delle prime mete balneari nell’Europa settentrionale. Con parte del successo dovuta alla sua grande spiaggia candida e alla vicinanza con Lubecca, di cui ancora oggi è un distretto. Posta alla foce del Trave, la località può essere esplorata con i piccoli battelli che congiungono le due rive. La storia di Travemünde, come approdo dell’aristocrazia russa ottocentesca, si incontra nel Seebadmuseum, e il faro ci fa capire che siamo ai confini col mare aperto. In giro aria di tempi lontani, ricordata dalle particolari sedute in vimini, chiuse sui tre lati per riparare dal vento.
Le usava certamente Thomas Mann e oggi sono le medesime, disposte in file regolari ad osservare il mare. La spiaggia e l’ampia passeggiata ti fanno pensare a un mondo perlomeno fermo agli anni Cinquanta, immutabile nei suoi riti. Unico neo, impossibile giustificarlo, è il grattacielo che si alza solitario al centro di questo scenario balneare. Un vero ecomostro, peccato. Si torna a respirare l’atmosfera di quella che fu definita la Saint-Tropez del Baltico, varcando la soglia dell’Atlantic Grand Hotel; per ammirare la sua scenografica “balsaal”, dove si dava appuntamento la nobiltà nordeuropea, che incontrò sia Thomas Mann che Fëdor Dostoevskij, risoluto amante del vicino casinò.
Tappa finale della nostra visita a Travemünde la Sandskulpturen: un contesto sorprendente per maestosità ed efficacia nelle realizzazioni. In un’area di 3500 metri quadrati gli artisti hanno lavorato oltre 10.000 metri cubi di una particolare sabbia locale, l’unica in grado di reggere la parte verticale delle opere esposte. Il tema dell’esposizione varia ogni anno, nel 2022 fu la natura, quest’anno è la volta del cinema. Cosi, francamente sorpresi e sicuramente ammirati, ci aggiriamo tra Clint Eastwood, il Padrino, il Re Leone, i supereroi Marvel, Stan Laurel e Oliver Hardy, Charlie Chaplin, la Famiglia Addams, Godzilla, Nosferatu, Harry Potter, Asterix, Spiderman e tanti altri… Le altezze delle statue in sabbia arrivano fino a 8 metri. Ogni tanto ci si volta e si pensa che prendano vita. Il fascino senza età di queste figure regala una forma concreta al mito, quello del cinema, mai celebrato con tanta forza espressiva.
Difficile immaginare qualcosa di simile se non la si vede. L’Ozeaneum di Stralsund – bella cittadina anseatica dove passa il ponte che collega la terra ferma all’isola di Rügen – si posiziona come una candida astronave proprio sul fronte del porto, circondato da un contesto marittimo di tutt’altra epoca. Ma è proprio questo il primo motivo di stupore: l’accostamento funziona, conquista, seduce. Merito dello studio Behnish & Partnes, salvaguardare un patrimonio in evidente pericolo. La parte più spettacolare dell’Ozeaneum esibisce la fauna marina in ambienti spettacolari e luminosi. Di particolare effetto la grande vetrata, che occupa un’intera parete, alta più di dieci metri, dove i pesci si muovono in completa naturalezza, creando coreografie teatrali sempre differenti. Di sicuro effetto l’allestimento dell’auditorium, dove ci si accomoda su comode chaise longue; in alto le riproduzioni dei grandi cetacei nelle dimensioni originali. Luci e suoni, siamo sott’acqua con loro. Didattico e spettacolare, ludico e scientifico, questo è il museo del mare di nuova generazione. Lo visitano un milione di persone all’anno, e aspetta voi.
Esistono località dove il dato geografico è superato dalla meraviglia, dalla sorpresa, dalla potenzialità evocativa di luoghi diversi da ogni altro. Sono approdi che possiamo definire “ispirazionali”, per la mente, per l’arte, per il benessere spirituale. Nell’isola di Rügen c’è una natura che si connette con l’anima, modificando – per pochi istanti, o una vita intera – il tuo rapporto col reale. Te ne accorgi di fronte a quelle scogliere di gesso bianco alte più di cento metri, sormontate da foreste verde smeraldo. Il mare dove si tuffano è una tavola cristallina di un altro verde, quello trasparente dei mari tropicali; mentre all’orizzonte irrompe il blu oceanico che non immagineresti a queste latitudini. Una casa dell’anima – ma anche una musa – che stregò Bismarck, Thomas Mann, Albert Einstein e generazioni di menti sensibili. Bene, e adesso ragioniamo per priorità, ripercorrendo gli obiettivi della nostra esplorazione. Cominciamo dallo Stubbenkammer, il gruppo di scogliere di gesso più monumentale dell’isola, dove osserva le acque, con sguardo di sfida, il Königstuhl (dal traduttore “sedia del re”): promontorio dipinto Caspar David Friedrich nel 1818, uno dei suoi capolavori. Oggi ci si avvicina al precipizio tramite un’elegante passerella di acciaio. Poi si guarda e si smette di pensare, la Sindrome di Stendhal nella natura. A pochi chilometri, facendo base nel villaggio marinaio di Sassnitz, si entra – a piedi, scegliete un agevole punto di partenza – nel Nationalpark Jasmund. Gli alberi altissimi compongono un sipario verticale che cancella ogni rapporto col tempo. Poi si scende verso la bianca spiaggia di ciottoli e si ammirano le scogliere dal basso, alte, imponenti, disposte a parata come candidi guerrieri pietrificati.
Sempre alberi di imponenza preistorica circondano il Naturerbe Zentrum di Rügen, dove due strutture in legno consentono di salire in alto, tanto in alto da sopravanzare le cime. Sono impalcature che rispettano il contesto naturalistico che le ospita; alte e circolari, consentono una scalata agevole senza fatica. Arrivati in cima l’idea è quella di essere a Jurassic Park, se apparisse un Tyrannosaurus rex nessuno proverebbe stupore. A pochi chilometri, di fronte a un’ampia spiaggia dal fascino mediterraneo, sorge il Colosso di Prora: otto edifici identici e affiancati, di circa 500 metri ciascuno, concepiti da Clemens Klotz sono uno dei pochissimi esempi superstiti di architettura razionalista del Terzo Reich. Obiettivo assicurare alle famiglie tedesche, con il più grande edificio del mondo a scopo ricreativo, un luogo dove trascorrere le vacanze. Dopo la guerra Prora fu occupata dai russi, e poi destinata dalla DDR a scopi ricreativi come all’origine. Oggi l’ultima riconversione, questi giganti geometrici, a 150 metri dalla spiaggia, diventeranno (e stanno già diventando) appartamenti di lusso col progetto Novasol. Ma l’anima degli edifici ha un cuore tenace: la guardi dal mare e Prora sembra essere sempre la stessa. Ancora un tuffo nel passato a Sellin, dove, scendendo la Wilhemstrasse verso il mare, si osservano due quinte di edifici che fanno pensare a Montecarlo. Ma a Montecarlo di inizio Novecento.
L’approdo finale è di una suggestione straniante: un lungo molo che termina nel Seebrücke, padiglione adagiato sull’acqua con torrette, vetrate e tetti aguzzi. Alle sue spalle il Tauchgondel, cupola subacquea che tanto sarebbe piaciuta a Jules Verne. A Rügen si mangia bene? Certo che si. Alla Schilligs Gasthof di Hafenweg trionfo del bio e della cucina di prossimità. Sapori semplici ma irrinunciabili, con carni prodotte da loro e pescato in arrivo dal molo prospiciente. Chilometro zero? Molto, ma molto di più. Nella località balneare di Binz, lo Strandhotel Dorint ospita il ristorante Olivio: ingredienti tedeschi certificati e ricette di ispirazione mediterranea. Difficile gustare carni di questa levatura, il miglior indirizzo del viaggio. Due gioielli ancora, prima di lasciarvi. Nei pressi di Binz domina la foresta il castello ottocentesco di Granitz, onirico ed eclettico espone le sue forme moresche in Pomerania. A Cap Arkona vanno nuovamente in scena le candide scogliere di Rügen, segnalate da due fari tra i più belli del Baltico. Un luogo di tale bellezza che venne scelto per celebrare i riti in onore di Svetovid e del suo oracolo equino, leggendario stallone bianco che poteva decidere tra guerra e pace.
(Foto di MARCO CARULLI)