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LA BELLEZZA E LA PASSIONE, L'ARTE E LA TRADIZIONE, MA ANCHE LA VITALITÀ CONTEMPORANEA DI DUE CITTÀ CHE RIASSUMONO IDEALMENTE STORIA E ANIMA DI UNA TERRA ANTICA. MORESCA PER 700 ANNI, CULLA DEL FLAMENCO E DELLA CORRIDA, L'ANDALUSIA INCANTA COI SUOI MONUMENTI DAL FASCINO INEGUAGLIABILE
Siviglia, Cordoba e Granada, dove tutto è già accaduto lasciando tesori inimitabili. Quando si affronta il tema della civiltà globale e si parla di melting pot, lo sguardo dovrebbe risalire indietro nel tempo, fino al Medioevo, e puntare dritto verso questa terra, la più meridionale della penisola iberica. Nelle città fiabesche dell’Andalusia moresca la popolazione era composta per un 40 per cento da nativi di religione musulmana, per un 20 per cento da ebrei e – almeno a Granada – da oltre un 10 per cento di genovesi e veneziani attratti da seta e cotone; a completare il palinsesto, cristiani iberici, arabi e mori africani.
Quando Ferdinando e Isabella completarono la Reconquista ereditarono un patrimonio monumentale unico e una civiltà multietnica che non aveva eguali in Europa, realtà che venne rapidamente cancellata con l’Inquisizione. Ma ciò che ancora oggi possiamo ammirare rappresenta la più evidente eredità di al-Andalus, uno stato islamico e spagnolo che preservò le arti classiche e la filosofia nel cuore del Medioevo, un ponte ideale con la cultura greca e romana, un luogo dove fiorirono – come in poche altre parti del mondo – architettura, matematica, scienza e vita urbana. Con l’arrivo dei re cristiani l’Andalusia abbracciò la nuova fede con spirito risoluto, così alcázar e cattedrali trasformarono le moschee e i palazzi dei califfi. In questa terra che sembra geograficamente guardare all’Africa – distante solo 14 chilometri – la regola è sempre stata la sintesi, la coesistenza di elementi vecchi e nuovi; storicamente tutto trova il suo posto, si è sempre lavorato per somme, mai per sottrazioni. Così anche gli ultimi arrivati, i gitani, oggi 500mila, dalla fine del Quattrocento sono parte integrante di un panorama culturale che ha nel flamenco il vessillo imprescindibile.
Tra Siviglia, Cordoba e Granada incontriamo l’anima più profonda della Spagna ed è un’anima che non ammette compromessi. Ogni passione viene vissuta con toni risoluti e adesione profonda, dal culto delle icone mariane alle processioni del giovedì santo, dalla corrida al flamenco. Sovente l’ebbrezza accompagna la nostalgia e il fatalismo, altrettanto spesso l’audacia e i colori accesi esaltano uno struggente rapporto tra amore e morte, come nelle veroniche del torero, come nel cante jondo intonato dai gitani. Tutto potrebbe sapere di antico, di immutabile, ed è molte volte così, ma oggi le città andaluse offrono anche tanto altro. Siviglia e Granada non sono certamente solo un museo a cielo aperto: la frequentazione degli atenei le rende realtà aperte e cosmopolite, la grande attenzione per il turismo ha incentivato sicurezza e pulizia, il dinamismo e la creatività sono evidenti nella ristorazione, negli approdi di tendenza, nelle gallerie d’arte, nella vitalità diffusa e coinvolgente.
I residenti non hanno alcun dubbio: «Sevilla es la ciudad más bonita del mundo». Sicuramente esagerano, ma dai sortilegi della città col più grande centro storico di Spagna (e uno dei tre maggiori in Europa) si resta sedotti e complici, prigionieri di una bellezza antica e di riti perpetuati nel tempo.
Siviglia è sole e volants (le vele che riparano vie e piazze dal sole), chitarra flamenca e case dai muri imbiancati a calce, sherry e fiori d’arancio, Semana Santa e Feria de Abril (il suo corrispettivo laico e pagano, celebrato due settimane dopo le funzioni sacre), duende (lo spirito misterioso del flamenco) e preghiere, da rivolgere obbligatoriamente alle due icone mariane della città, Esperanza de Triana e Macarena. Il patrimonio artistico della città espone due gioielli che sono un eloquente trattato di storia, nati con l’Islam e ‘convertiti’ al cristianesimo.
La Cattedrale – definita dai suoi progettisti «un edificio così grandioso che i posteri penseranno che eravamo pazzi» – venne edificata sui resti dell’antica moschea, demolita per farle spazio. Le sue dimensioni gigantesche ne fanno la più grande chiesa gotica al mondo, e, secondo recenti misurazioni, anche il più grande edificio della cristianità. L’interno sbalordisce e ‘sottomette’ coi suoi spazi, su tutto domina la pala d’altare dorata, anche questa la più grande del mondo. All’esterno si alza verso il cielo il magnifico campanile della Giralda (che significa banderuola e battezza la statua girevole in bronzo posta sulla cima), riconosciuto simbolo della città. In questo caso il sincretismo è perfetto: la torre era l’antico minareto, lasciato intatto dai cristiani con la sola aggiunta della cella campanaria.
La tomba di Cristoforo Colombo nella Cattedrale di SivigliaIn prossimità della Cattedrale si trova l’Alcázar, edificio iconico di Siviglia, luogo del potere temporale di califfi e sovrani. Nato come insediamento romano, ospitò la sfarzosa corte degli Abbasidi, dove i sovrani edificarono un harem per 800 concubine; in seguito venne trasformato in cittadella dagli Almohadi (cuore di fortificazioni che si estendevano fino al Guadalquivir) per poi passare, dopo la Reconquista, ai re di Spagna. Pietro il Crudele ricostruì completamente l’Alcazar nello stile mudéjar, sviluppato dai mori convertiti al cristianesimo. Per secoli work in progress e cantiere perpetuo, l’edificio – sontuosamente formato da palazzi, patio incantati e giardini (qui sono state girate diverse scene de ‘Il Trono di Spade’) – ci racconta di un luogo concepito dal gusto islamico e vissuto dai sovrani cattolici, sontuosa sintesi di bellezza e potere. Dai luoghi simbolo della fede e del governo ci si può addentrare nel Barrio de Santa Cruz, il quartiere delle case imbiancate dalla calce, delle grate alle finestre, dei silenziosi patio dove la corte, che ospita talvolta una fontana, è il cuore nascosto della vita quotidiana. Spesso gli edifici propongono il decoro di maioliche colorate, qualche volta le vie sono indicate con targhe in tre lingue: castigliano, arabo ed ebraico.
Ma comprendere Siviglia vuol dire anche confrontarsi con due tradizioni dalle radici profonde: il flamenco e la corrida. Gesti rabbiosi, rapide pause che immobilizzano il tempo, la voce usata come lamento e talvolta minaccia, sguardi come saette, la voce che interagisce con la chitarra e qualche volta la comanda, il violento suono ritmico dei tacchi, non c’è niente come il flamenco.
Altra anima della Spagna multiculturale, questa forma d’arte in movimento ha schiette radici gitane e condensa danza, rito e canto. A Siviglia si può assistere a esibizioni di flamenco in molti locali, meglio se in quelli popolarissimi, ma va assolutamente vissuta l’esperienza proposta dal Museo de Baile Flamenco (calle Manuel Rojas Marcos, 3 – www.museoflamenco.com), fondato dalla grande interprete Cristina Hoyos. Attraverso uno stimolante itinerario multimediale, i visitatori percorrono un viaggio nel tempo e nella storia, per poi approdare nella raccolta sala centrale, dove ogni giorno (prenotazione indispensabile) vanno in scena performance di assoluto livello.
E ora la corrida. Fenomeno controverso, e non ci inoltreremo nelle polemiche, anche questo è un rito imprescindibile del panorama andaluso. Amata da Hemingway, Picasso, Cocteau e Lorca, la corrida perpetua un mito arcaico che risale al Minotauro, impone il sacrificio di un essere forte e leggendario, il toro, attraverso una cerimonia dove la spada fronteggia le corna, dove amore e morte eseguono una danza, la corrida è come il flamenco, esprime gli stessi sentimenti. A Siviglia il tempio della tauromachia è La Maestranza (visitabile, ma per le corride la stagione va da marzo a ottobre), un’arena a suo tempo frequentata da Orson Welles, Geraldine Chaplin, John e Jacqueline Kennedy.
Per tutti i toreri questo è il banco di prova, non si è grandi matador senza passare da Siviglia; per gli appassionati, è semplicemente un tempio, come il Bernabeu o il Camp Nou se si ama il calcio. La varietà dei tori destinati alla corrida – i toros bravos – non viene allevata per altre ragioni. Sono animali splendidi che vivono, liberi e curati con grande rispetto, nelle ganaderias vicino a Siviglia. I tori vanno a combattere tra il terzo e il quarto anno di età e valgono una cifra che varia tra i 20 e i 40mila euro. Presso l’ufficio informazioni della Provincia di Siviglia (Plaza del Triunfo, 1) si può recuperare l’elenco completo delle ganaderias visitabili su appuntamento. Noi consigliamo la ganaderia Dehesa La Calera di Gerena (Tel. 0034.954238132 – www.dehesalacalera.com): scenario tipicamente andaluso, grandi spazi, tori in libertà e cordiale cortesia rurale.
Prima di lasciare la città, merita una visita la spettacolare icona della ‘nuova Siviglia’: il Metropol Parasol (Plaza de la Encarnación), ideato da Jürgen Mayer e completato nel 2011 in Plaza de la Encarnación. Può ricordare un’astronave aliena, o un gigantesco fungo, come lo definiscono gli abitanti, ma sicuramente non lascia indifferenti. Salendo in cima si domina la città e davvero sembra di essere Capitan Harlock alla guida del suo vascello spaziale.
di ALESSIA BELLI
Siviglia è un’esplosione di colori da condividere con le amiche. Ecco qualche consiglio per regalarsi una giornata tutta al femminile. Olé!
Procedendo da Siviglia verso Granada, una deviazione d’obbligo porta a Cordoba. Patria di Seneca la città è stata per tre secoli capitale dell’impero musulmano occidentale, riconosciuto fulcro delle arti e delle scienze, ammirata in tutto il mondo. Simbolo universale dell’architettura religiosa, circondata dalla Judería coi suoi vicoli tortuosi, che ospitavano gli antichi quartieri arabi ed ebraici, la Mezquita di Cordoba è un edificio senza paragoni. Divenuta cattedrale senza smettere di essere moschea, è un capolavoro dal misticismo formidabile. La moschea originale, realizzata con ampliamenti progressivi, era una foresta di oltre mille colonne (oggi ne restano 856), dove lo sguardo si perdeva attraverso infiniti allineamenti e prospettive. Con la Reconquista cattolica, si decise di edificare una cattedrale senza distruggere questo capolavoro, così la Cattedrale dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima in Cordoba venne edificata al centro della moschea, circondata dal colonnato musulmano. Da cinque secoli il coro e la Capilla Mayor (sovrastata dalla luminosa crociera) emergono come in un incantesimo, avanzando di pochi passi si transita da una fede all’altra per poi tornare nella precedente, l’occhio è ingannato dall’improvviso contrasto che appare quasi naturale, si resta prigionieri come in una tavola di Piranesi. Ma quello che non si può spiegare è la forza spirituale che trasmette l’intero edificio: la contemporanea presenza di due religioni, l’arte purissima creata dalla fede, l’equilibrio azzardato di due mondi invitano a un raccoglimento che non prevede parole.
Circondata dalla natura e fortificata attraverso la bellezza, Granada è unica. Ma è anche doppia, perché la geografia e la storia hanno posto il suo monumento simbolo – la fortezza dell’Alhambra – in posizione dominante, separato dal contesto urbano (a sua volta cinto da mura), più a guardia di se stesso che della propria comunità. Nessun castello può vantare una simile evoluzione: edificato per difendere, pur mantenendo la funzione originale, col tempo divenne lo scrigno prezioso e sensuale dell’architettura moresca, l’insieme di palazzi e giardini più sofisticato dell’arte europea.
Vista dall’esterno, l’Alhambra appare per quello che era: la ‘fortezza rossa’ che prende il suo nome (al-Qal’a al-hamra in arabo) dal colore delle mura, tutto sommato un edificio austero, che potremmo anche vedere al valico dei monti. Ma, superato l’ingresso, ci troviamo di fronte a un susseguirsi di meraviglie. I bastioni proteggevano una vera e propria città, con residenze, palazzi, case, caserme, harem, terme, giardini e moschee. Il tutto concepito dai sultani Nasridi, che si impegnarono in tre secoli di abbellimenti continui; dopo di loro, solo secoli di incuria, ma il tempo qualche volta è galantuomo, così l’Alhambra sopravvisse.
L’unico edificio cristiano degno di nota è il palazzo di Carlo V, celebre per il cortile circolare, capolavoro visionario del Rinascimento. Incanto e stupore guidano ogni esplorazione della ‘fortezza rossa’, un’atmosfera romantica e struggente accompagna il percorso.
Cuore del complesso, i Palacios Nazaríes, con le eleganti decorazioni in stucco che anticipano l’arte contemporanea: «Con la sua ripetizione regolare di motivi, la decorazione non cercava di catturare l’occhio per guidarlo in un mondo immaginario ma, al contrario, lo liberava di tutte le preoccupazioni della mente. Non trasmette alcuna idea specifica, ma una disposizione dell’essere, che è a un tempo armonia e ritmo interno», ci spiega Titus Burckhardt. In questo complesso di edifici l’armonia di forme, spazi e dettagli crea un incanto continuo: nel Serrallo, col Salone degli Ambasciatori e la Corte dei Mirti; nel Generalife, sede estiva dei sultani, col giardino creato per essere il paradiso del Corano in terra; nell’Harem col Patio Dei Leoni, l’immagine archetipica di Granada, che fece scrivere a Washington Irving (nei ‘Racconti dell’Alhambra’): «È impossibile contemplare questa scena, così orientale, senza percepire il legame con il mondo incantato delle favole arabe… Questa è la dimora della bellezza, come se fosse stata abitata fino a ieri».
L’anima moresca e gitana di Granada si respira nei due barrios che fronteggiano l’Alhambra: Albaicín e Sacromonte. Il primo è il più vasto quartiere arabo-medioevale di Spagna. In un’atmosfera fuori dal tempo, candide case popolari, ma anche eleganti ville con giardino ‘segreto’ (le carmenes), si affacciano su vicoli ripidi e tortuosi. In alto il Mirador de San Nicolás espone un panorama mozzafiato sull’Alhambra, dietro la cornice maestosa della Sierra Nevada. Sacromonte è la capitale gitana di Spagna, dove i nativi hanno storicamente abitato le case-grotte (cuevas) che si aprono sulla collina.
Ogni notte va in scena il rito del flamenco, ed è un rito familiare che si ripete da generazioni. Dai clan di Sacromonte sono emersi numerosi interpreti (chitarristi, cantanti, danzatori e danzatrici) che hanno segnato la storia. Naturalmente vanno evitate le trappole per turisti. Chi vuole scegliere la tradizione puntando sul sicuro, prenoti alla Zambra María la Canastera (Tel. 0034.958121183 – www.marialacanastera.com), cueva tipica gestita dagli eredi di una leggenda del canto e della danza gitana. Fondata nel 1953 la zambra ha visto la presenza – tra i tanti – di Ernest Hemingway, Henry Fonda, Glenn Ford, Yul Brinner, Ornella Muti e Paco de Lucía.
I dintorni di Granada offrono un contesto naturalistico imponente e ricco di tesori. Terre che hanno visto l’alba dell’uomo, come a Guadix, cittadina dove ancora oggi 4500 persone vivono in cuevas scavate nella collina. Nei primi insediamenti trogloditi vennero occupate le grotte naturali, ma, a partire dal Medioevo, la dolcezza del suolo e la ricerca di una temperatura costante indussero gli abitanti a creare abitazioni sotterranee. Attualmente, nel Barrio de las Cuevas si trovano 2mila abitazioni con queste caratteristiche, alcune, antichissime, quasi completamente interrate (si vede solo la porta e una finestra), altre, le più recenti, costruite in parte all’esterno. L’insieme offre un contesto fiabesco dal fascino ancestrale, ideale per il cinema. Molte le pellicole girate a Guadix, dal ‘Don Chisciotte’ di Orson Welles a ‘Indiana Jones e l’ultima crociata’ di Steven Spielberg.
Natura maestosa e insediamenti primordiali anche per l’ultima tappa del nostro viaggio: il deserto di Gorafe, caratterizzato da un’impressionante successione di precipizi e calanchi scolpiti nella roccia. Altra eccellenza del territorio è il Parco del Megalitismo, dove sono stati identificati oltre 200 dolmen (ma si calcola che ce ne siano almeno altrettanti ancora da scoprire), la più alta concentrazione in Europa. Sosta d’obbligo ai bagni termali di Alicún, dove, nelle immediate vicinanze, è stata riscontrata una misteriosa fonte di energia. In alcuni punti si può avvertire tramite il palmo della mano, provare per credere. Le esplorazioni nell’area, per essere godute pienamente, richiedono il supporto di una guida esperta. L’italiano Massimo Sabattini (m_sabattini@hotmail.com) garantisce competenza e incontenibile entusiasmo. Posta agli estremi confini meridionali dell’Europa occidentale, l’Andalusia ha 25mila anni di storia alle spalle. Mori e cristiani, ebrei e gitani, ogni popolo ha lasciato tracce e devozioni, passioni inarrestabili e tradizioni solenni, arte e civiltà. A 14 chilometri dall’Africa, questo è l’ombelico del mondo.
(Foto di FRANCO BORRELLI)