Coinvolgente e determinato, gentile e convincente, con un sorriso che si apre spontaneo e ti porta verso immediate sintonie, Walter Rolfo è un uomo nato per la comunicazione interpersonale. Con lui ci si sente immediatamente a proprio agio, perché d’istinto ti fidi, seguendolo nei suoi ragionamenti senza opporre resistenza. E fai bene. Perché la storia di Walter Rolfo parla per lui: una carriera ricca di riconoscimenti internazionali, tante buone idee realizzate, un successo costante, ma – ed è quello che più conta, perché di merce rara si tratta – nessuno scandalo, nessuna polemica fuori dalle righe, nessuna disavventura imbarazzante da nascondere come polvere sotto il tappeto.
Sono fortunato, se mi fosse data la possibilità di scegliere – come nel film ‘Sliding Doors’ – non cambierei nulla. La mia formazione è stata fondamentale
In più, una doppia indole personale e professionale, quella legata all’anima e alla creatività, che troviamo nei suoi show, e quella imprenditoriale: Walter si è laureato in ingegneria, quindi programma con cura ogni passaggio, studia, progetta, mette a budget ogni voce delle sue azioni. E i conti tornano sempre, perché deve essere così, per il suo pubblico come per i suoi clienti. Mentre iniziamo a parlare mi colpisce un piccolo, singolare dettaglio: le lancette del suo orologio sono 11 minuti avanti. Conoscendolo bene, intuisco che non può trattarsi di una casualità, e infatti non lo è. Ma me lo spiegherà più avanti…
Cominciamo dal fondo. Nella tua carriera sei stato un mago, o meglio un illusionista, di fama internazionale. Ma oggi hai iniziato un nuovo percorso, con altri obiettivi. Dove vuoi arrivare?
«Io amo la magia e non la rinnego. Grazie alla magia ho potuto vivere al di sopra delle mie possibilità fin da quando ero un ragazzino, fin da quando, tredicenne, vendevo i miei spettacoli al telefono proponendo preventivi dettagliati agli adulti. Tra i 20 e i 21 anni facevo già grandi show nei maggiori casinò di Atlantic City e di Las Vegas. E, anche se a prima vista può sembrare strano, la mia formazione universitaria mi ha aiutato moltissimo, perché magia e ingegneria hanno il medesimo approccio alla realtà: entrambe vogliono risolvere i problemi e ti insegnano che nulla è impossibile. Magia e ingegneria ti fanno capire che c’è una soluzione a tutto e, se quella soluzione esiste, occorre trovarla. Oggi, però, questo ambito professionale mi ha dato tutto quello che cercavo, e anche tutto quello che potevo desiderare, quindi ho deciso di non esibirmi più sul palco come mago ma solo in sessioni formative, in veri e propri ‘coaching live show’».
«Mi interessa il concetto di felicità e voglio aiutare le persone a essere felici, senza dover ricorrere ai venditori di fumo che affollano il panorama con pubblicizzatissimi percorsi di formazione miracolosa. Oggi la ricerca della felicità, e del successo, è diventata un business perché la nostra società ha soddisfatto i bisogni primari, così si ricorre a soluzioni che vogliamo rapide e indolori; ma, se è vero che l’impossibile non esiste e lo si può realizzare, bisogna comprendere che l’impossibile non è gratis, e va conquistato. Ho imparato che senza costanza, fatica e impegno non si ottiene nulla. Per questo ho sempre lavorato 20 ore al giorno per tutta la vita. Ma, tornando al mio progetto, voglio regalare i miei percorsi di formazione, raggiungendo anche quanti non se li potrebbero permettere. E garantendo loro i medesimi risultati che so di poter offrire alle aziende, ormai tantissime, che si rivolgono a me per cambiare modo di pensare, per allenare i propri dipendenti al cambiamento continuo che stiamo vivendo. E, anche in questo caso, non mi dimentico mai di essere un ingegnere: una mia convention non deve solo portare entusiasmo, ma dopo, sul campo, i numeri devono crescere. Francesca Galli, direttore commerciale di Dodo, gruppo Pomellato, afferma che, dopo la mia attività di coaching, i risultati sono cresciuti del 30%: e, su un fatturato di più di 60 milioni di euro, sono cifre importanti. Ma potrei fare molti altri esempi simili».
Cambieresti qualcosa della tua vita?
«Sono fortunato, se mi fosse data la possibilità di scegliere – come nel film ‘Sliding Doors’ – non cambierei nulla. La mia formazione è stata fondamentale. I miei avevano una scuola guida e ho imparato fin da bambino a rispettare il lavoro, ho imparato il valore delle entrate e delle uscite. Per me era un gioco, ma un gioco altamente educativo. I miei primi testi ‘da mago’ sono stati il ‘Manuale di Paperinik’ e il ‘Manuale di Silvan’. Mi addestravo e imparavo, imparavo e mi addestravo. A soli 14 anni guadagnavo, forse, più di un dirigente di una grande azienda (sorride, NDR). Ma non ho mai smesso di credere in due cose: nei libri, dove trovi sempre la soluzione giusta, e nei sogni, che dovrebbero sempre guidare le nostre azioni. Da qui ho cercato di analizzare le situazioni e trovare soluzioni efficaci. Se ti guardi intorno ed esamini le occasioni, capisci sicuramente quali e come siano gli scenari da affrontare. E io ho sempre cercato di farlo, da quando – in occasione di Italia 90 – vendevo milioni di palloncini alle mie esperienze americane, dalle numerose trasmissioni televisive che ho condotto all’attività di scrittore, nella quale mi sono cimentato recentemente. Oggi posso dire di aver fatto nella vita quello che volevo. Da adulto faccio quello che sognavo da bambino».
E gli spettacoli di magia li hai abbandonati o, anche quelli, li vedi in una logica evolutiva?
«La magia è un mondo che vedo in continua evoluzione, e io mi sono messo dall’altra parte della barricata: un tempo ero il mago sul palco, oggi – con Masters of Magic – creo grandi spettacoli con altri artisti. L’obiettivo è portare in scena qualcosa di nuovo e di rivoluzionario: fare nel mondo della magia quello che il Cirque du Soleil ha fatto per il circo. I trucchi restano, ma ci deve essere spazio per la musica, i colori, lo spettacolo, i costumi, lo stupore che passa attraverso la narrazione. Questi di Masters of Magic, ormai, sono show degni di Broadway e, in assoluto, si possono considerare i più avanzati al mondo. Merito anche di Alessandro Marrazzo, regista e famoso showdesigner internazionale. Ma, come nello sport, anche in Masters of Magic vince la squadra. E non smetterò mai di ringraziare i formidabili ragazzi della mia Magic Gang e Luana Codignoni, che condividono con me questo progetto unico al mondo».
Oggi, con la tua attività di coaching inneschi un cambiamento che fornisce un formidabile valore aggiunto alle aziende. Cosa rende possibile questo risultato?
«Da molti anni le grandi imprese si interrogano su come motivare i propri dipendenti, come farli sentire parte della medesima squadra, come rendere migliore e sostenibile la vita aziendale; questo nell’area vendita, ma non solo. Fino a poco tempo fa, si ricorreva ad attività di team building, si mettevano insieme le risorse per vacanze di gruppo e pratiche sportive. Ora il mercato è profondamente cambiato e quelle tecnichesono obsolete. Oggi occorre lavorare sul miglioramento delle persone, perché tutti vivono delle difficoltà, ma tutti possono affrontarle meglio, da un’altra prospettiva, da un diverso punto di vista. Io sono un coach che aiuta le persone a essere migliori e, di conseguenza, a essere migliori per la propria azienda. Col mio lavoro, col mio studio, mi sono guadagnato la fiducia di realtà come Juventus, Coca Cola, Philip Morris, Fondazione CRT, BasicNet, FCA, Wind, Ferrero e Lavazza. Eugenio Sidoli, presidente e amministratore delegato di Philip Morris, mi ha definito ‘ingegnere dello stupore’; Andrea Agnelli, presidente di Juventus FC, mi ha detto che so andare oltre i limiti, scoprendo il segreto per abbattere l’impossibile».
Quindi, qualcosa di ‘magico’ lo troviamo anche lì?
«Sicuramente la mia esperienza sulla scena è fondamentale. Amo stare con le persone, nella mia vita ho lavorato con qualsiasi tipo di pubblico e ho imparato a ‘respirare con lui’. Per usare una metafora, posso dire di aver fatto molte, moltissime ore di volo e questo mi ha insegnato a creare sempre un’atmosfera speciale, armonica, anche con 3mila persone, e a ridurre, volta dopo volta, gli imprevisti. Nell’approccio lavoro sulle soft skills: capacità di stampo cognitivo e comunicativo, caratteristiche personali importanti che influenzano il modo in cui facciamo fronte alle richieste dell’ambiente che ci circonda. Sono diverse dalle hard skills, addirittura più affascinanti, meno verticalmente legate ai ruoli e alle competenze. Il mio ‘prodotto coaching’ è sartoriale, accurato, ha un profilo di target alto perché ha un rating alto, esattamente quello che richiedono le aziende che puntano all’eccellenza e al successo. Non c’è nulla di preconfezionato: per me è prioritario studiare bene il cliente e le sue aspettative. Questo per adattare – di volta in volta – il ritmo, i contenuti, il colore, la scenografia, valutando con estrema attenzione gli spazi a disposizione e soprattutto gli obiettivi dell’azienda».
Che soggetti ti trovi di fronte?
«Ho lavorato per ogni tipo di azienda e persona. E ho capito che non contano il censo, la posizione sociale, il ruolo aziendale; quello che ci fa stare bene, che ci rende felici, è solitamente indipendente da questi parametri. Quello che conta sono gli affetti, gli obiettivi e le persone che abbiamo intorno. Queste cose fanno la differenza. Spesso un soggetto è portato a migliorarsi solo quando prende schiaffi: ecco, io lo aiuto a cambiare senza bisogno di essere schiaffeggiato dalla vita. La responsabilità è sempre di chi comunica, per questo curo maniacalmente i miei speech e li ritaglio su misura per le persone che ho di fronte. Lavoro per platee anche di 5mila persone e voglio che ognuna tragga il massimo giovamento dal tempo passato insieme. E poi studio sempre con cura il mio pubblico, perché se non ‘respiriamo insieme’ è colpa mia, se non passano i concetti/insegnamenti è sempre colpa mia».
Capita spesso?
«Mai (sorride di nuovo, NDR), perché io ho tante ore di volo!».
Su cosa agisci principalmente?
«C’è un concetto base: la vita è semplice. Tutti abbiamo degli alti e bassi, sempre. Dobbiamo imparare a goderci i picchi e a minimizzare le valli. E nelle valli ci si finisce inaspettatamente, proprio perché, fino a poco tempo prima, non ritenevamo possibile quell’impedimento, quel problema. Occorre avere coscienza di questo e puntare sulla componente positiva della nostra vita. Quando mi chiedono “come stai?”, io rispondo “bene, perché ho scelto di essere felice”. Fa stare bene gli altri e aiuta me a essere coerente con la mia filosofia. E poi occorre eliminare le cose stupide che non contano, quotidianamente, con cura e precisione. Dopo i miei incontri di coaching il complimento che più mi rende orgoglioso è: grazie, mi sento meglio perché mi porto a casa qualche cosa di utile per la mia vita».
E ora?
«Ora è venuto il momento di restituire, offrendo una migliore possibilità di vita attraverso la felicità anche a coloro che non hanno potuto raccogliere quello che avrebbero meritato, quelli che sono più infelici, che hanno un reddito che impedisce loro di intraprendere un percorso di rinnovamento. Lo farò costituendo un’apposita Fondazione della Felicità e, a breve, ci saranno i primi appuntamenti nazionali».
Ma adesso me lo sveli il mistero dell’orologio avanti di 11 minuti?
«Certo. Il 13 gennaio del 2012 mi trovavo sulla Costa Concordia, quella che naufragò davanti all’Isola del Giglio. All’ora di cena avevo un importante appuntamento di lavoro e mi presentai a tavola in giacca e cravatta, una tenuta formale ed elegante per l’occasione. Ci eravamo appena seduti quando sentii un rumore sordo e violento, seguito da un forte scossone. Dal mio bicchiere il vino finì sulla camicia, e sulla cravatta, macchiandomi completamente. Io passai i seguenti 11 minuti irritato, pensando a quella macchia gigante. Trascorso quel tempo si udì un secondo rumore seguito da un secondo scossone, ancora più forte del primo. Da quel momento in avanti dimenticai la macchia e pensai solo più a salvarmi la vita. Ecco, da allora il mio orologio è sempre 11 minuti avanti. Serve a farmi capire il senso del tempo e a dare valore alle cose veramente importanti della vita».
Dopo tante ore di volo, un consiglio ai passeggeri?
«Imparare a pensare come un mago. Forse non è indispensabile, ma aiuta moltissimo, soprattutto a scegliere di essere felici».
(Foto di FRANCO BORRELLI e ARCHIVIO)