Torino, Estate 2023
Discutere di intelligenza artificiale in questo periodo storico è impresa tutt’altro che semplice nella misura in cui su questo tema si scontrano visioni totalmente differenti ai limiti del campanilismo calcistico. Per un verso si registrano le posizioni di chi sostiene ed enfatizza le innumerevoli potenzialità del ricorso a questa tecnologia ritenendo che da essa possano derivare solo opportunità e vantaggi e chi, diversamente, immagina un futuro catastrofico e simil-apocalittico di cinematografica memoria in cui l’uomo sarà suddito della macchina. Entrambe le prospettive appaiono errate, l’intelligenza artificiale – sebbene a un livello potenzialmente più elevato, complesso – è una forma di evoluzione tecnologica e, come tale, il suo sviluppo futuro dipenderà dal modo in cui il fattore umano sarà in grado di governarlo e disciplinarlo.
In altre parole, non si tratta di individuare cosa sia possibile fare o non fare ma cosa è umanamente, socialmente ed eticamente accettabile nel rapporto con la macchina
La differenza fra l’intelligenza artificiale e le altre tecnologie del passato è che mentre queste ultime erano ausiliarie alla realizzazione di processi o alla mera aggregazione di dati, l’intelligenza artificiale comporta un output “simil-creativo” il cui rischio è quello dell’affidamento acritico da parte dell’operatore umano, se non addirittura di sostituzione. Uno dei settori rispetto ai quali occorre immaginare un impatto più incisivo è quello del mondo HR. L’intelligenza artificiale è, infatti, già presente a vari livelli e con impatti differenti in questo settore sin dal momento della selezione dei candidati, ma anche nella gestione dinamica del rapporto e finanche agli aspetti relativi alla formazione del personale. Se vale la “regola” per la quale il diritto “si muove” con un fisiologico ritardo nel disciplinare fenomeni già presenti nella realtà, non deve sorprendere che le prime disposizioni in materia di intelligenza artificiale siano state pensate per questo settore e ci si riferisce, in particolare, alla proposta di direttiva UE in materia di lavoro sulle piattaforme digitali che dedica un capo specifico alla “gestione mediante sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”. La rilevanza dell’impatto di queste tecnologie nel mondo HR è ulteriormente dimostrata dalla previsione nel c.d. “decreto trasparenza” (D.lgs 104/2022) dell’obbligo d’informazione sui sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. Avendo a mente le sfide che ci attendono, la questione da porsi non è in termini di contrapposizione fra l’enfatizzazione di quali e quante siano le opportunità derivanti dall’applicazione dell’intelligenza artificiale e nemmeno – al contrario – come tale forma di sviluppo tecnologico vada fermata, limitata o anche solo rallentata. In altre parole, non si tratta di individuare cosa sia possibile fare o non fare ma cosa è umanamente, socialmente ed eticamente accettabile nel rapporto con la macchina. L’opportunità nasce, quindi, dalla corretta individuazione del punto di equilibrio del rapporto uomo-macchina. Laddove sia estremamente orientato verso la macchina, evidentemente, il rischio potrebbe essere quello della spersonalizzazione con ogni conseguenza in termini di perdita di valore. Al contrario prediligere una forte limitazione del fattore tecnologico a favore di quello umano comporterebbe una perdita di opportunità e di valore che indubbiamente deriva dall’apporto dell’evoluzione tecnologica. In ultima analisi, escludere o ghettizzare uno dei due elementi non è generativo di valore aggiunto; ciò che è da ricercare è invece una relazione in cui ciascuna delle due parti integri i limiti dell’altra.