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Città di carta

di Giulio Biino

L’anno che verrà

Torino, Inverno 2022

Piero non vedrà il nuovo anno (ma probabilmente lo abita già considerata la sua straordinaria capacità di guardare avanti), mentre Lucio ce lo ha consegnato per sempre L’anno che verrà e tutti, il 31 dicembre, pensiamo che: «L’anno che sta arrivando tra un anno passerà». Sono ormai 10 anni che Lucio ci ha lasciato ma ci manca come se fosse ieri. Piero invece se ne è andato lo scorso 13 agosto e non sarà facile colmare quel vuoto. Piero Angela a Torino ci era nato, il 22 dicembre 1928, mentre Lucio Dalla nacque a Bologna (e chi non lo sa?) il 4 marzo 1943. Avevano una grande passione in comune e proprio Torino fu il loro primo palcoscenico. Infatti Piero, prima di scoprirsi straordinario divulgatore scientifico, si guadagnava da vivere con la musica. E la sua musica era il jazz. Nei primi anni cinquanta formò un trio in cui si alternarono vari contrabbassisti e a cui si aggiunsero spesso solisti di richiamo, quali ad esempio Nini Rosso e l’ex cornettista di Duke Ellington. Suonò anche con il chitarrista Franco Cerri di cui era amico e del quale raccontò che nel 1946, non potendo comprare il biglietto, andava a sentire i concerti da fuori, raggiungendo in bicicletta il retro del locale torinese in cui si esibiva con il Quartetto Cetra. «Nella nostra musica c’è la passione – diceva – una specie di virus che continua negli anni e non finisce mai. Allora, la cosa interessante è che i musicisti che amano il jazz magari fanno il loro lavoro, ma poi si ritrovano dopo, per suonare. Questo perché la musica jazz è creativa». Proprio quel jazz che fu la vera passione anche di Lucio Dalla. Da assoluto autodidatta imparò, a soli 12 anni, a suonare il clarinetto esibendosi in alcuni gruppi dilettantistici della città. In qualità di clarinettista divenne membro di un complesso jazz bolognese di cui faceva parte anche il regista Pupi Avati il quale, sentendosi “chiuso” dal talento di Dalla, abbandonò presto il gruppo, trovando in futuro la via del cinema. Sempre a quel periodo risale l’incontro con Chet Baker. Lucio, poco più che ragazzino e già virtuoso al clarinetto, venne invitato a suonare più volte con il grande jazzista, che all’epoca viveva a Bologna.

Se si fossero incontrati si sarebbero immediatamente riconosciuti: i jazzisti non hanno bisogno di parole. Mi sembra di vederli: Piero al pianoforte e Lucio al clarinetto. Uno sguardo, un semplice sguardo e poi la musica

Alla fine del 1962 approdò a Torino dove suonò per alcune sere nella leggendaria sala Le Roi – Lutrario provocando numerose dispute con i padroni del locale che disapprovavano la sua abitudine di esibirsi scalzo, affibbiandogli l’etichetta di “disadattato senza calzini”. Nel merito ricorderà divertito: «Una sera me li dimenticai e mi pitturai i piedi, così da farli sembrare dei calzini». In quel periodo poteva capitare di incontrarlo, non ancora impostosi al grande pubblico, nei bar di via Po alla ricerca di cento lire per far suonare i suoi pezzi nei jukebox. Piero cessò la sua carriera di “musicista” nel 1952 rimanendo tuttavia un cultore del jazz e suonando spesso insieme a jazzisti professionisti; quando una trasmissione da lui condotta toccava argomenti in qualche modo connessi con la musica, per esempio i fenomeni acustici, coglieva sempre l’occasione per esibirsi al pianoforte. Lucio invece fece della musica la sua vita e nel 1979, a chiudere il disco intitolato Lucio Dalla, ci regalò una delle sue canzoni manifesto: L’anno che verrà, nel cui tramonto delle utopie e delle illusioni sembra chiudersi idealmente il decennio degli anni di piombo. Se si fossero incontrati si sarebbero immediatamente riconosciuti: i jazzisti non hanno bisogno di parole. Mi sembra di vederli: Piero al pianoforte e Lucio al clarinetto. Uno sguardo, un semplice sguardo e poi la musica: «L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, io mi sto preparando, è questa la novità».