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Torino, Inverno 2022
Quante volte abbiamo pensato che il tempo vola o, al contrario, non passa mai? Percezioni molto naturali perché, pur essendo una realtà assoluta, anche il tempo è misurato dai nostri sensi. Per chiarire il concetto, prendo ad esempio la mosca, che si muove in un mondo che per noi potrebbe essere quello di un video al rallentatore: i suoi “occhi” inviano gli impulsi di luce al cervello 250 volte al secondo, contro i nostri che lavorano a 60 immagini al secondo, cosicché anche il nostro più veloce movimento per acchiapparla, alla mosca sembrerà una sequenza in slow motion e troverà il modo di mettersi in salvo. Anche la tecnologia ha superato la velocità dei nostri sensi: ad esempio, ci sono telecamere che riescono a produrre 200 immagini al secondo. E allora, come mai ci vorrà ancora molto perché la computer vision, ovvero la visione artificiale, si avvicini alla velocità con cui un meccanico esperto riconosce un pezzo difettoso o un radiologo sappia scoprire patologie dalla lettura di una lastra radiografica? Perché la velocità non è solo nei sensori, ma anche nel cervello: il cervello della mosca è nato per reggere la velocità dei suoi occhi, così come il nostro è compatibile con la velocità dei nostri organi di senso per andare a ricercare nella sua memoria, alimentata da anni di esperienza, come interpretare i segnali. I computer, anche se velocissimi, sembrano più lenti solo perché hanno la necessità di dover ricostruire la base di esperienza prima di poter sfruttare la velocità dei loro sensori. Cosa succede se al nostro cervello colleghiamo organi sensoriali più veloci di quelli naturali? Lo sottoponiamo certamente a uno stress, perché comunque è nella sua natura elaborare e immagazzinare continuamente tutto ciò che gli arriva, per aumentare la sua base di conoscenza cui potrà un domani attingere all’occorrenza. Il frutto velenoso della tecnologia è proprio quello di amplificare a dismisura le nostre opportunità di comunicare e apprendere, condannando il nostro cervello, iperconnesso da strumenti tecnologici, a un continuo sovraccarico di attenzione.
Dovremmo sempre ricordare che la tecnologia deve aiutarci a prendere decisioni velocemente per vivere meglio, e non a vivere più velocemente
E invece dovremmo sempre ricordare che la tecnologia deve aiutarci a prendere decisioni velocemente per vivere meglio, e non a vivere più velocemente. Lo “smart working”, ad esempio, sarà veramente smart solo quando ci eviterà lo stress e i rischi di ore di viaggio per una veloce riunione, e non invece per consentirci molte più riunioni nello stesso tempo. Non siamo programmati per essere veloci, ci rimettiamo in quantità e qualità: continuamente connessi, sollecitati a reagire in tempo reale a messaggi e chat, bombardati da immagini e suoni, rischiamo che il nostro cervello tratti tutte le informazioni provenienti dai nostri sensi come un rumore di fondo, disabituandoci alla riflessione e alla libertà del pensiero. Forse è qui il significato profondo che Lucio Dalla aveva nascosto nella speranza di una trasformazione che tutti quanti – forse inconsapevolmente – stiamo già aspettando, la stessa che auguro ai lettori di Torino Magazine: tutto l’armamentario tecnologico che ci accompagna quotidianamente, non ci faccia perdere la consapevolezza della realtà e del tempo, presente e futuro, ma anzi regali maggior tempo alla nostra natura riflessiva, aumentando i momenti di pensiero lento, quello dei giorni di festa, come se fosse «Tre volte Natale e festa tutto il giorno», lontani da mail e messaggi, PC e smartphone.