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Torino, Autunno 2022
Difficile scrivere che in autunno cadranno le foglie quando chi ti leggerà le avrà già viste cadute, ma lo si può fare perché così accade sempre, ogni anno in questo tempo. Questo tempo però è così “speciale” che non vi sono più certezze, neppure se cadranno davvero le foglie e allora un semplice articolo potrà apparire nel tempo come una profezia. Le ragioni delle nostre incertezze sono ampiamente e tristemente note e si sono susseguite, imposte e accavallate con tale forza che il Covid sembra lontano secoli. Dalla posizione privilegiata che offre la storia guardando se stessa, c’è da rimpiangere il tempo del lockdown in cui eravamo a casa tranquilli, al caldo, a leggere un libro o a guardare un film o quando il musicale flash mob animava strade e cortili e si accendevano le candele sui davanzali del mondo per sentirsi tutti uniti nei confronti della mala sorte. Sui balconi c’erano striscioni che invocavano l’ottimismo con la scritta “Ce la faremo!”, per fiducia nella scienza o per intercessione di Dio. C’era un mondo unito contro un’emergenza sanitaria, il virus lo si chiamava nemico e alcuni provvedimenti come il coprifuoco ricordavano antiche guerre. Riuscivamo ad accettare anche la drammaticità della morte perché il destino può essere crudele, ma è accettabile. Poi quando i fiori nei cimiteri erano ancora freschi, da qualche parte, il sorriso per troppo tempo celato sotto la mascherina non ha più fatto capolino. Il sorriso gemma sorrisi, l’assenza di questo fa corrugare le sopracciglia. I bagliori di una guerra più inaccettabile del destino hanno trascinato una parte del mondo in un tempo in cui non c’è più il tempo neppure di scavare le fosse, ogni umanità è calpestata da un odio inventato dal nulla. Eppure era il tempo in cui il mondo iniziava a preoccuparsi di salvaguardare l’ambiente e si facevano mille questioni su ogni tipo di presunto diritto.
L'ottimismo conviene, è necessario alla vita stessa, danza con la speranza anche senza musica. Chiudiamo fuori dalla porta il senso di impotenza, coltiviamo piante e buoni sentimenti perché siano questi un giorno a farci dire, ne è valsa la pena.
Ora l’unico diritto che davvero conta è quello alla vita ed è pur difficile farlo rispettare e quando non si sa garantire quello, tutti gli altri perdono di importanza. La cronaca contemporanea è tristemente nota, l’autunno è certamente incerto. Stiamo imparando a tollerare l’incertezza a condizione che non ci metta fretta. Chi può influire su questa stagione del mondo e le sue foglie dovrebbe prendere una decisione importante e solo apparentemente paradossale,
decidere di non decidere, per prendere tempo e consentire alla natura delle cose e degli uomini di avere il tempo di porre rimedio. Anche la provvidenza ha bisogno di tempo per interrompere la corsa dei cavalli dell’Apocalisse, il barbiere per tagliare i capelli a Sansone prima che decida di tirare giù le colonne del tempio e morire con tutti gli odiati filistei. Se l’articolo precedente aveva per titolo, Un’estate come se non ci fosse un domani, in cui una sfrenata voglia di vivere ha distratto tutti dai funesti presagi, che quello sia solo un curioso modo di dire per continuare a credere invece nel valore della vita. E che la collina al di là della quale si vedevano i bagliori dei lampi del temporale, non diventi quella del romanzo di Richard Adams, in cui a seguito della distruzione della conigliera, un gruppo di conigli costruisce una città sotterranea sotto una collina. In fondo lui lo aveva inventato solo per tenere buone le sue bambine nei lunghi viaggi in macchina nelle campagne inglesi. L’ottimismo conviene, è necessario alla vita stessa, danza con la speranza anche senza musica. Chiudiamo fuori dalla porta il senso di impotenza, coltiviamo piante e buoni sentimenti perché siano questi un giorno a farci dire, ne è valsa la pena.